Addio a Claudio G. Fava


di Renato Venturelli
La sua idea della vita e della morte, Claudio G. Fava l’aveva raccontata anni fa. E’ come in una battaglia del ‘700, diceva. Cominci giovane, con la divisa fiammante e le armi lucidate. Avanzi nelle retrovie cantando con gli altri, spensierato. Poi inizi a sentire i primi spari in lontananza, e a poco a poco i rumori si fanno più forti, vedi laggiù del fumo, senti l’odore della polvere da sparo. Cominci a capire che si fa sul serio. Avanzi ancora, qualcuno là davanti cade, vorresti fermarti, ma da dietro ti spingono. Sei costretto ad avanzare ancora, iniziano a cadere i soldati delle file davanti alla tua, poi quelli al tuo fianco. Resti sempre più solo, ormai sei in prima fila…

Un’immagine epica, fantasiosa e terribile al tempo stesso, in linea con alcune delle grandi passioni di Claudio G.Fava, grande competente di storia, di divise militari, di cinema bellico.
Ho avuto la fortuna di conoscerlo abbastanza bene, da quando era tornato a Genova a metà degli anni Novanta. Mi aveva subito chiamato nella giuria del premio Voci nell’ombra, ci sentivamo spesso. Parlavamo ovviamente molto anche di Genoa.
Da persona ironica qual era, e da uomo del suo tempo, aveva una visione pacata del calcio. Era cresciuto in un’epoca in cui essere genoano era semplicemente la cosa naturale per chi era nato genovese. Non l’ho mai sentito nominare l’altra squadra cittadina, viveva in un mondo in cui non era nemmeno stata fondata, così come non l’ho mai sentito parlare di ultras. Ricordava la tribuna dell’anteguerra in cui il massimo della contestazione riguardava signorotti che davanti alla sconfitta dicevano “belli i mè chinze franchi…”. Si era entusiasmato per Verdeal, perché argentino atipico: “quando lo incontravi in via XX settembre aveva l’eleganza di un inglese”. Forse per questo non provava invece una grande passione per Meroni, un po’ troppo anarchico e presessantottino per i suoi gusti.
Di Claudio G. credo si sia detto tutto: le sue famose recensioni sul “Mercantile”, il passaggio alla Rai, le presentazioni dei film in tv che lo hanno reso popolare a intere generazioni, la rassegna su Melville e quella su Bogart, Beautiful e i polizieschi tedeschi, il suo gusto irrefrenabile per calembour e imitazioni, la passione per la lingua e il doppiaggio che lo ha spinto a dirigere per anni il festival “Voci nell’ombra”. Fino alle iniziative dell’ultima parte della sua vita: a cominciare dalla Stanza del cinema di Palazzo Ducale, dove era la star incontrastata degli incontri tra il pubblico e i critici genovesi. E naturalmente la lunga collaborazione con FilmDoc, per cui curava da anni la rubrica di dialogo con i lettori.
Sempre ironico ed elegante nei modi, Claudio G.Fava ha però sempre dimostrato una virtù che solitamente viene dimenticata: quella di saper imporre con nettezza le sue scelte, di fare sempre le cose nel modo “giusto”.
Non era facile pubblicare sui quotidiani recensioni così lunghe e con schede così dettagliate di cast & credits: ma lui lo fece in un’epoca in cui nessuno osava.
Le presentazioni dei film in tv diventarono leggendarie solo quando cominciò a farle lui. Per la sua straordinaria arte della conversazione, per la sua competenza e la sua presenza scenica, certo: ma anche per qualcos’altro. Non a caso, Paolo Sorrentino, dopo aver vinto l’Oscar, ha voluto ricordare che con le presentazioni di Fava il film in tv diventava un evento, qualcosa che si aspettava con emozione. E così anche in seguito: Voci nell’ombra era un vero festival, con folle di doppiatori che venivano da Roma perché c’era il senso di un autentico avvenimento. La Stanza del cinema non era con lui solo un luogo di discussione, ma un piccolo luogo di spettacolo.
Alcuni anni fa, gli segnalai che nella scuola di mia figlia gli studenti avrebbero voluto averlo con loro per parlare di cinema. In quel periodo non stava molto bene, nicchiava. Gli dissi: be’, puoi andare per una mezzoretta. Lui rispose quasi sdegnato: ah no, se uno dice che va, deve andare davvero! Andò, parlò con gli studenti per ore nel cortile del Colombo, si prese una bronchite, ma di concedersi solo per una mezzoretta non se ne parlò nemmeno!
Era anche questo Claudio G.Fava. Fino all’ultimo. Quando gli chiesi, meno di un mese fa, se poteva venire a presentare il numero 100 di Filmdoc, mi disse che la salute stava andando male. Erano già i segnali di quello che sarebbe successo. Ci lasciammo rinviando ogni decisione alla vigilia. Ma lunedì 31 era là, sofferente, eppure brillante e spiritoso come sempre. Ancora una volta non si era risparmiato. Il giorno dopo, mi telefonò addirittura a casa, per scusarsi se era dovuto scappar via salutandomi appena nell’affollamento del dopo-presentazione. Era l’ultimo regalo che ci aveva fatto: generoso e gran signore fino all’ultimo.
(renato venturelli)

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Una risposta a Addio a Claudio G. Fava

  1. Nicoletta Grasso scrive:

    Sono sicura che il Primo che ha accolto Claudio Giorgio Fava nel paradiso dove era diretto, sia stato Bruno Paolo Astori. Entrambi dai doppi nomi, erano talmente amici, che Claudio ha atteso giusto un annetto e due mesi, e poi, il Direttore Artistico ha seguito il proprio Direttore Organizzativo. Eh sì, perché Claudio G. Fava non è solo quello che ha portato Beautiful in Italia, ma ha fatto qualcosa di ancora più grande del farci conoscere la banale saga USA. Qualcosa da essere ricordato per sempre, se fossimo un Paese più o meno erudito (che non siamo), che le altre Nazioni ci invidierebbero, e anzi ci hanno invidiato, quando esisteva. Claudio e Bruno fondarono, nel 1996, il Festival Nazionale del Doppiaggio “Voci nell’Ombra”. Non era facile; riuscirono a coinvolgere il mondo del doppiaggio, il Ministero ai Beni e alle Attività culturali, a formare una delle migliori Giurie a livello europeo che premiasse le più belle Voci nel campo del Cinema e della Televisione. Riuscirono a creare le Targhe Gualtiero de Angelis alla carriera, Renato Castellani al personaggio ligure dell’anno, Riccardo Cucciolla, all’arte della voce e alla voce come arte. Per dieci anni a Finale Ligure si alternarono tutti i Grandi doppiatori ed attori, per la gioia della schiera degli appassionati e per la felicità di Bruno e Claudio, per i quali il Festival era davvero un figlio. Era troppo bello per continuare; l’illuminato Comune di Finale preferì la sagra della porchetta alla Manifestazione che l’aveva fatto conoscere in tutto il mondo. Così il Festival divenne itinerante, a Sanremo, a Imperia, a Genova, sempre seguìto dalla professionalità dei Fondatori. La serata finale era splendida, con Claudio magister dei conduttori. C’era lo spazio per il comico di turno, non famoso, ma che da lì, partiva per il successo. Ora è tutto finito; Bruno se ne è andato l’anno passato, a 57 anni. A Pavia, al funerale, c’ero solo io. Non un doppiatore, non uno dei suoi comici (ormai arrivati a Zelig), non un collaboratore. Per Claudio era un viaggio troppo lungo, ma mi ricorderò sempre quanto mi benedisse sapendo che io ero là. Ciao Claudio Giorgio, spero che per te ci sia qualcuno in più. Ma non aspettarti riconoscenza. La giungla del doppiaggio non farà sconti neanche a te, che hai dato tanto. Il Festival scomparirà. Ma il tuo humour è travolgente; stai accanto a Elena quaggiù, e siate felici con Bruno Paolo, lassù. Sarò per sempre fiera d’aver lavorato con Voi e di essere, come te, Genoana.

    Nicoletta Grasso, Voci nell’Ombra