Riflessi di Genova nella voce


di Tiziana Voarino.
Intervista a Mario Cordova, attore, doppiatore, direttore di doppiaggio.

Mario, sei un affermato attore di cinema, tv, teatro, doppiatore e direttore di doppiaggio di elevato profilo. Abiti e lavori a Roma – e non potrebbe che essere così –  ma è a Genova che sei cresciuto, vero?
È a Genova che sono cresciuto. Il legame con questa città, me lo porto nel cuore. Ricordo nitidamente dove abitai in via Magenta, la zona di Castelletto, piazza Manin, piazza Corvetto, il liceo Cristoforo Colombo che frequentai. Buona parte della mia formazione di attore risale a quegli anni, ma la nota più bella e prolungata, che mi rimane e mi appartiene fin da piccolissimo, è la mia fede calcistica: la Sampdoria. Sono appassionato da sempre, ora ne leggo sui quotidiani liguri e la seguo durante le partite del campionato. Torno spesso a Genova, mio fratello Antonio ci abita e non perdo occasione per fargli visita.

Ho maturato la formazione di attore proprio al Teatro Stabile di Genova. Durante quegli anni studiai, tra gli altri, con Marco Sciaccaluga, Anna Laura Messeri, Renzo Trotta, Luciana Lanzarotti, Enrico Campanati. Per un anno lavorai anche al Teatro Aperto della città con compagni come Gianni Fenzi, che per altro fu assistente di Squarzina. E Nel ’73 partecipai alla messa in scena per l’Ente Lirico Genovese della Giovanna D’Arco al Teatro Margherita.

Hai lavorato in teatro, poi nel cinema, per la televisione. Non ti sei fatto mancare nulla?
In teatro mi sono esibito moltissimo: mi sono dedicato persino agli spettacoli con i burattini. Non mi sono fatto mancare neanche il musical. Nel 2006 con Alessandro Preziosi sono stato al Sistina di Roma e poi in giro per i teatri del centro-sud con Datemi tre caravelle – nel ruolo del re di Spagna, Ferdinando D’Aragona, ho pure eseguito una canzone come solista.
Poi il cinema e la televisione. Ho recitato in film come Sotto il vestito niente di Vanzina e in varie produzioni Rai come Storia di Anna, Piccolo mondo Antico, Nero Wolfe; mi sono anche confrontato con la breve e lunga serialità come L’Onore e il Rispetto, Distretto di Polizia 10, Centovetrine e, più recentemente, Le tre Rose di Eva (andati in onda su Mediaset). Fare l’attore mi ha attribuito il grande privilegio di poter scegliere quale interpretazione costruire sul personaggio con le movenze, l’espressione, l’intonazione ed anche “il lusso” di permettermi di morire decine di volte, sempre in modi diversi.

Ma è il doppiaggio il tuo mondo? A quali doppiaggi sei più affezionato?
Il doppiaggio lo considero il mio vero lavoro. Al mio mondo appartengono ore e ore trascorse nel buio degli studi di registrazione, colonne sonore da missare, leggii, microfoni, scritti originali, scritti trasporti, senso delle immagini che deve coincidere con il movimento delle labbra e delle parole pronunciate, grande responsabilità.
E sono particolarmente orgoglioso per aver spesso doppiato Richard Gere, un attore importante, che mi ha permesso di spaziare nell’interpretazione di molti tipi di personaggi. Jeremy Irons è l’attore di cui preferisco essere “il doppio sonoro”, perché è un grande uomo e un attore di spessore. L’ho conosciuto all’anteprima del film Lolita: oltre a complimentarsi vivamente con me, in spagnolo, mi chiese di essere sempre io a dargli la voce in Italia. Anche se poi non è stato così.
Tra le mie performance, non posso scordare, quella di Ghost; con i sussurri di Patrick Swayze, ho fatto battere il cuore a migliaia di ragazze, a migliaia di donne.
E poi sono molto grato a Rossella Izzo, che, nelle vesti di direttrice di doppiaggio, mi ha dato la possibilità di divertirmi e non poco interpretando Rowan Atkinson (il Mr. Bean inglese, per intenderci) in Quattro matrimoni e un funerale, in cui sono riuscito a far emergere anche le più inattese declinazioni comiche della mia personalità.

Preferisci il ruolo del doppiatore o del direttore di doppiaggio?
Negli ultimi anni prediligo dedicarmi alla direzione del doppiaggio. Nel 2003 a Finale Ligure, durante il Festival Voci nell’Ombra (diretto da Claudio G. Fava, ideato ed organizzato da Bruno Astori, scomparso di recente), fui insignito dell’Anello d’Oro per il miglior doppiaggio generale della serie tv 24.
Questa è un’attività minuziosa, artigianale, che va dallo studio delle sceneggiature tradotte, all’adattamento, alla decisione delle voci, alla regia della riproduzione sonora e alla supervisione della post-produzione. Inevitabilmente, come nel far crescere un bambino, si genera un’enorme sensazione di attaccamento all’opera filmica o al prodotto televisivo che si è curato mediante un profondo studio sia dei significati voluti dal vero regista sia delle singole scene, per non parlare della scommessa che ogni volta si fa individuando come “collante” una voce piuttosto che un’altra. Una scelta anche di animi, di caratteri, di persone. Ciascuna può apportare peculiarità differenti: più forza, più debolezza, più ironia, più sensualità, più eroicità, più leggerezza; quelle corde, insomma, che rispecchiano le qualità umane. Come un direttore d’orchestra che dirige i musicisti mentre suonano con i loro strumenti una partitura, il direttore di doppiaggio impartisce ai doppiatori le indicazioni per delineare e far aderire un personaggio. È fondamentale, con i turni di lavoro massacranti che spesso costringono il doppiatore a passare da un cartone animato a un gladiatore, da un casanova a un disadattato.

A cosa stai lavorando in questo momento?
Attualmente mi sto dedicando alla direzione di Lone Survivor, un film d’azione, di guerra, scritto e diretto da Peter Berg – sarà nelle sale per gennaio – con attori del calibro di Mark Wahlberg, Taylor Kitsch ed Eric Bana. Parallelamente continuo ad essere la voce del responsabile D.B. Russel in CSI Scena del Crimine in onda su Sky, oramai all’ultima stagione.

Un tuo parere sull’attuale crisi, che si riflette anche sul settore dello spettacolo, e quali soluzioni proporresti?
La crisi dei nostri tempi è come un allagamento, un’epidemia. Dallo scadere della politica, al rimpicciolirsi dei valori umani, dalla recessione economica, al contrarsi della quantità del lavoro, pure nel settore dello spettacolo – dove si è arrivati a risparmiare persino sui mezzi dei runner, ora automuniti e rimborsati solo per il consumo della benzina, neanche per i costi di usura dei veicoli e dove si opta per luoghi di produzione a bassissima remunerazione come la Romania, la Bulgaria, l’Argentina e questo solo per risparmiare sulla retribuzione delle troupe. Fino a giungere all’inevitabile accelerazione dei tempi di lavorazione nel doppiaggio, che non permette più di essere garanzia di qualità. Ma ancor più grave è l’impoverimento e il logorio delle idee.
Il nostro contratto collettivo nazionale dei doppiatori del 2007, scaduto nel 2010, in sospeso, non è ancora stato rinnovato e rilevo una sorta di timore nell’affrontare la questione. Bisogna far tesoro della crisi, usarla come spunto per superare, non farsene spaventare. Non dobbiamo avere paura di perdere ciò che abbiamo, perché solo in questo modo possiamo conquistare altro. Come quando ci facciamo operare: sappiamo che ci porteranno via un pezzo del nostro corpo, che soffriremo e rischieremo anche la vita, ma poi staremo meglio e guariremo.

Postato in Doppiatori, Numero 100.

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