Oliva Doc


di Francesca Savino.
Lanciato da Bertolucci in “Io ballo da sola”, Ignazio Oliva è tra gli interpreti della serie tv “Braccialetti rossi”. E vorrebbe dirigere documentari.

Ignazio, sei uno degli attori liguri più talentuosi in circolazione. Come è iniziata la tua carriera?

A dire la verità, è iniziata quasi per caso. A 19 anni mi sono iscritto a Scienze politiche e parallelamente ho iniziato a frequentare un corso di recitazione al Teatro Cinque a Milano. Due anni dopo è capitata l’occasione di fare il mio primo film, Come due coccodrilli di Giacomo Campiotti; è stata una bella esperienza, ma mai avrei pensato che recitare sarebbe diventato il mio mestiere. Col secondo film, Io ballo da sola di Bernardo Bertolucci, ho davvero iniziato a credere che sarei potuto diventare un attore professionista, ma visto che non mi sentivo abbastanza strutturato mi sono preso del tempo per studiare e mi sono iscritto alla East 15 Acting School di Londra: avevamo lezione tutto il giorno e facevamo uno spettacolo dopo l’altro, è stato un anno indimenticabile. Al mio ritorno ho finito l’università e mi sono trasferito a Roma, dove, tra teatro, tv e cinema, la mia carriera è iniziata.

In quel periodo hai anche iniziato a dirigere dei documentari.

L’organizzazione si chiama AMANI e con loro ho fatto molte esperienze di volontariato che spesso si sono tradotte in documentari. E’ una strada che avrei voluto approfondire, sono appassionato di sociologia e mi piace esplorare l’umano in tutte le sue sfaccettature, ma in Italia purtroppo coi documentari non si campa. In ogni caso amo il mio lavoro, che è fare l’attore.

Se non sbaglio nella tua vita c’è anche un altro grande amore, e ha a che fare col calcio…

Non sbagli! Sono genovese e tifo Genoa da quando sono piccolo e il mio primo lavoro di regia è stato Con i pantaloni rossi e la maglietta blu,  un documentario dedicato all’integrazione di cinque giocatori tunisini nel Genoa di Franco Scoglio, allenatore al tempo della squadra e personaggio unico.

Torniamo al cinema. Il tuo primo ruolo davvero importante, e forse quello per il quale sei più ricordato, è quello di Luca, il musicista cieco di Onde di Francesco Fei. Come ti sei preparato e cosa hai provato nell’interpretare un ruolo del genere? E in generale come ti prepari quando devi interpretare un nuovo ruolo?

Il ruolo di Luca è certamente uno di quelli che ho amato di più, è stata una grande sfida perché si trattava di un personaggio davvero molto lontano da me. Ho iniziato a prepararmi innanzitutto leggendo molti libri sulla cecità; poi ho lavorato con una ragazza cieca a Roma per un paio di settimane, seguendola costantemente nella sua vita quotidiana. Infine, ho visto molti film con mostri sacri come Gassman e Pacino che interpretavano non vedenti. A quel punto mi sono messo in gioco e ho provato ad entrare nella psicologia di un cieco: da solo e con l’aiuto del regista ho cercato di trovare la mia personale forma fisica di cecità. Per quanto riguarda, poi, il lato psicologico, il testo indubbiamente aiuta molto a capire chi e come sia un personaggio, ma il lavoro da fare è anche quello di interrogarsi su ciò che è accaduto prima di quel determinato periodo di tempo narrato dal film: bisogna cercare di capire quel personaggio da dove viene, come è cresciuto e in quale contesto familiare, gli amici, gli amori, il lavoro e tutto ciò che riguarda lui prima del tempo narrato dal copione. Questo lavoro ad esempio mi è servito tantissimo per interpretare un violinista russo in Il tempo dell’amore di Campiotti, un altro ruolo, molto tosto, che ho amato tantissimo.

Un’altra esperienza forte è stata quella di recitare in Diaz di Daniele Vicari, anche perché nel 2001 hai partecipato al documentario collettivo Un altro mondo è possibile, proprio sul G8.

Sì, assolutamente. Come hai detto, io al G8 c’ero e ho visto, fuori dalla Diaz, quelle 90 persone massacrate. Ci tenevo tantissimo a far parte del cast di quel film, lo avrei fatto anche in ginocchio ed emotivamente è stato pesante ma molto bello farlo.

Arriviamo all’oggi. Puoi anticiparci qualcosa sui tuoi prossimi progetti? C’è un film in particolare a cui ti piacerebbe prendere parte o un ruolo in particolare che ti piacerebbe interpretare?

In generale direi che è bello interpretare ruoli che sono lontani da quello che sei; mi piacerebbe interpretare un personaggio molto negativo, mi è capitato ma non spessissimo. Quanto al futuro prossimo, ho recitato in due film presentati al Festival del cinema di Roma: Se chiudo gli occhi non sono più qui, di Vittorio Moroni, in concorso nella sezione Alice in città, e Il venditore di medicine di Antonio Morabito, un regista esordiente. Poi esce una serie tv a cui tengo molto, Braccialetti rossi di Campiotti, ambientato in un ospedale pediatrico.

Nel tuo futuro ti vedi più attore di fiction e di cinema oppure ti piacerebbe tornare a teatro?

Nel futuro mi vedo attore, non ha importanza se in tv, al cinema o in teatro, l’importante è riuscire a continuare a fare il mio mestiere e riuscire con esso a far vivere bene la mia famiglia. Certo, il teatro è forse quello che meno aiuta da questo punto di vista, purtroppo. Siamo in un momento di grande crisi, ma nonostante questo spero che il nostro governo ricominci a investire nella cultura in generale e nel cinema in particolare. E spero che il cinema indipendente abbia un po’ più di spazio.

Un sogno nel cassetto?

Per quanto riguarda il lavoro, mi piacerebbe lavorare con Garrone, Sorrentino o Crialese, tre registi italiani che stimo molto. Sognando in grande, sarebbe bellissimo fare un film con Ken Loach.

Ma sempre per la serie “Sognamo in grande”, se potessi scegliere cosa preferiresti, lavorare con Ken Loach o che il Genoa vincesse lo scudetto?

Che domande, ovviamente che il Genoa vincesse lo scudetto, Grifone tutta la vita!

Postato in Attori, Numero 100.

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