Noi siamo le colonne. Sonore.

di Barbara Zorzoli.
Insieme ad Aldo De Scalzi, Pivio ha composto la musica per un centinaio di film.
Lavorando con Ozpetek, D’Alatri, Marco Risi, i Manetti Bros…

No, non sono fratelli. Tra loro, dunque, nessun gene in comune, ad eccezione di quello della musica (Aldo De Scalzi è il fratello di Vittorio De Scalzi dei New Trolls). Pivio e Aldo De Scalzi sono il fiore all’occhiello made in Genova del mondo delle colonne sonore nazionale e non. Un paio di anni fa, in occasione di un loro concerto al The Space di Genova, ho avuto il privilegio di presentare l’evento. In quest’occasione non ho esitato a definirli dei Barbapapà delle colonne sonore. Quale definizione potrebbe loro calzare meglio per descrivere la loro versatilità, nonché l’adattabilità, nel suonare le immagini che di volta in volta registri di piglio diverso propongono loro? Due anni dopo ho l’occasione di conversare amabilmente con Pivio, per una di quelle che vengono definite interviste telefoniche che scorrazzano nel tempo, dal passato al presente con una piccola divagazione sul futuro.

Quando nasce la tua passione per la musica in generale e poi, nello specifico quella per la musica da film?
La passione per la musica nasce quando avevo tre anni. Sin da piccolo ho ascoltato musica. Mio padre mi faceva ascoltare- volente o nolente- musica lirica dalla mattina alla sera. Poi crescendo, verso i sei anni, ho iniziato ad ascoltare anche la radio, ascoltando le cose più disparate. Ascoltavo già la musica dei gruppi pop dell’epoca… nell’età in cui di solito i bambini ascoltano lo Zecchino d’oro, io ascoltavo gli Who! La curiosità verso i generi è nata da subito. Per quello che riguarda la musica e il cinema, in qualche modo la cosa va di pari passo; sempre mio padre è stato inconsapevolmente artefice del mio amore perché, appena poteva, mi portava a vedere anche due film al giorno, a Genova…potevi ad esempio vedere un western e subito dopo una commedia o un western e un peplum, c’era una grandissima produzione all’epoca, sto parlando dell’inizio degli anni sessanta. Evidentemente ‘questo virus’ mi è entrato in circolo, e quindi, quando poi è successo il fattaccio, ossia quando finalmente mi sono dedicato definitivamente alla musica da film, è come esploso.

C’è stata una colonna sonora in particolare che, all’epoca, ti aveva stregato con la magia “musica più immagini”?
Sicuramente ero molto colpito dalle colonne sonore dei film western, non è un caso, infatti che Tarantino sia andato a pescare da tutto il repertorio musicale di questi film, dove era presente una grandissima maestria. In tempi un po’ più maturi ci sono state delle colonne sonore che mi hanno aperto gli occhi: Morricone per C’era una volta in America, ma anche tutte le colonne sonore del periodo d’oro di Sakamoto mi hanno veramente molto colpito. Anche i film di Atom Egoyan con colonna sonora di Dehanna, mi hanno sempre in qualche modo turbato. Stabilire, invece, la colonna sonora della proprio vita, è difficile. Io sono onnivoro, ascolto tantissima musica di varia natura, e quindi poi in qualche modo trovo sempre degli spunti interessanti nelle cose più disparate. Ed è per questo che faccio fatica a collocare un punto di partenza ipotetico di questo amore per le colonne sonore. Ci sono molte esperienze musicali -diversissime tra loro- che mi hanno segnato: dalla musica punk, alla musica etnica passando per quella orchestrarle, riemergono tutte in me anche in maniera involontaria.

Immagino lo stesso discorso valga anche se ti chiedo se c’è un disco, un Cd o un album a cui ti senti particolarmente legato…
Sì, vale lo stesso discorso perché è davvero complicatissimo scegliere. Ho diverse migliaia di dischi in casa e tutti partecipano attivamente alla mia crescita emotiva. Se dovessi, dire in questo momento – dato che sto leggendo un libro abbastanza interessate, uscito di recente, “Come funziona la musica” di David Byrne – allora sicuramente un disco che mi aveva molto colpito all’epoca era “My Life in the Bush of Ghosts”, album che David Byrne aveva composto con Brian Eno. Lo considero uno punto di riferimento importante soprattutto per l’approccio a volte quasi naïf che ha alla musica. Io non sono un accademico, sono un autodidatta, e quindi, necessariamente, vedo le cose anche in maniera un po’ più trasversale. Quel disco devo dire che effettivamente aveva numerosi spunti interessantissimi. Ed è tutt’ora estremamente vitale nonostante siano passati più di trent’anni. Però tengo a precisare che sto parlando di questo disco solo perché, combinazione, sto leggendo questo libro che me lo ha rimesso in mente…

Occupandoti di musica strettamente legata alle immagini, c’è, invece, un film che di cui tu e Aldo avete curato la colonna sonora, che è per te particolarmente significativo?
Per quello che riguarda la mia cinematografia, sono molti i film a cui mi sento legato: il primo è Bagno Turco, che ha dato la stura a tutta la mia carriera, perciò è indimenticabile. Ma ci sono altri film che mi rappresentano molto bene, sia per le scelte musicali fatte sia per il rapporto avuto con tutto ‘il contorno’, come El Alamein. Oggi è una giornata un po’ strana, perché stamattina con Aldo De Scalzi abbiamo tenuto un seminario al Centro sperimentale di Roma, punto di partenza per i nuovi artisti che verranno. Sempre oggi, qui a Roma, si terrà una giornata interamente dedicata a noi con al proiezione di tre film di cui abbiamo firmato le musiche, con al termine un nostro incontro col pubblico. I tre film sono Bagno Turco (di Ferzan Özpetek), Complici del Silenzio (di Stefano Incerti) e El AlameinLa linea del fuoco (di Enzo Monteleone). In fase di organizzazione abbiamo dovuto in qualche modo limitare la nostra scelta a tre film, ma avrei voluto poter aprire una finestra anche ad altri film, ad esempio, mettendo almeno un film dei fratelli Manetti ad esempio una delle loro commedie che ci hanno molto divertito. Con i fratelli Manetti abbiamo un rapporto decennale durante il quale abbiamo realizzato più di una ventina di film…

A livello professionale, come compositori, tu e Aldo avete messo a punto negli anni un metodo di lavoro piuttosto preciso o, andando incontro alle esigenze di registi differenti, cambiate approccio di volta in volta?
Una delle prime regole che abbiamo imparato sin da subito è che, in realtà, non esistono regole. Esiste una sorta di metodologia implicita nel momento in cui iniziamo ad occuparci concretamente della realizzazione della colonna sonora. Però la fase precedente, la fase progettuale, cambia di volta in volta in funzione del contesto. Tendenzialmente ci troviamo a lavorare su un materiale preesistente, per intenderci , un film già più o meno montato, su cui interveniamo dopo aver avuto parecchi incontri con il regista e il montatore per stabile qual è il progetto, quale potrebbe essere il suono che in qualche modo fa da collante a tutta la situazione. Questo a livello macroscopico. A livello microscopico si tratta invece di discutere, sempre con il regista e il montatore, scena dopo scena, la scelta musicale più adatta… è tutto molto più complicato di quanto stia dicendo. Ci è capitato però anche di partire semplicemente da una sceneggiatura. In questo caso abbiamo iniziato ad imbastire dei brani musicali che sono rimasti tali e quali nel film e che hanno permesso al montatore di montare le scene proprio partendo dalla nostra musica, non il contrario. A volte è successo di lavorare in parallelo con il montatore… Non c’è una reale metodologia che sia univoca. Ogni volta cambia, i registi hanno talvolta approcci personali molto diversi tra di loro, perciò in qualche modo c’è questa sorta di, chiamiamolo ‘adattamento alle condizioni a contorno’. Qualche volta siamo noi stessi ad imporre una linea, anche se la parola imporre non mi piace, perché in realtà il cinema è un’opera collettiva, perciò maggiore è la collaborazione migliori sono i risultati.

C’è un momento particolarmente emozionante che vi trovate a vivere ogni volta che siete alle prese con la stesura di una colonna sonora?
Sono tanti in realtà. Può essere il momento in cui uno si rende conto che ha azzeccato il linguaggio corretto, che può essere sia nel momento della scrittura sia della realizzazione o ancora, il momento in cui si partecipa al mixaggio con gli altri suoni. Quando te ne rendi conto è ovviamente emozionante. Quando siamo stati coinvolti nel primo film, Bagno Turco, avevamo un atteggiamento, un approccio quasi divertito, perché non credevamo che fosse possibile che un regista come Özpetek decidesse di darci in mano un progetto come quello. E abbiamo concretizzato, almeno io ho concretizzato, che qualcosa di veramente magico era successo solo nel momento in cui c’è stata la proiezione del film al Festival di Cannes, e ho visto la gente che applaudiva entusiasta… io in quel momento lì non capivo nulla… perché è davvero un’emozione pazzesca. Però, questa stessa emozione, l’ho provata anche in altri momenti, magari non così forti – perché poi quella era la nostra prima esperienza, quindi è un po’ come la prima fidanzatina con cui fai l’amore, non te lo dimentichi- ebbene, con i paragoni del caso, è accaduta una cosa del genere. Quando mi rendo conto che la magia si sta concretizzando, beh quello è effettivamente un momento molto emozionate. Aldo e io cerchiamo comunque di mantenere questo approccio verso l’emozione, che deve essere una nostra emozione prima ancora di quella traslata verso il film. Noi dobbiamo divertirci ed emozionarci per poter partecipare ad un progetto, sennò non ne vale la pena. Chiaro che adesso che abbiamo alle spalle un centinaio di colonne sonore, c’è anche una componente di professionalità che man mano è cresciuta, però è fondamentale per noi trovare sempre uno stimolo ad aver la sensazione di poter creare qualcosa di nuovo.

Parliamo di Genova. Lavorativamente parlando per il vostro settore, com’era quando avete iniziato e com’è oggi? E’ un terreno fertile o arido?
Allora… io credo che il problema di Genova- perché è sempre stato il problema di Genova- sia che sostanzialmente non c’è imprenditoria o ce n’è molto poca. Figuriamoci nel campo delle attività culturali. Ma proprio perché ce n’è così poca diventa una sorta di isola felice. Mi spiego meglio: si sa che il mondo del cinema italiano ha il suo epicentro a Roma, e televisivamente a Milano. Io abito a Roma da tanto tempo ma condivido la mia vita anche con Genova. Se io non potessi frequentare gli ambianti romani, probabilmente avrei grossissime difficoltà ad essere presente sul mercato rimanendo a Genova. Però è anche vero che proprio perché Genova è distante dall’Impero, ti permette di avere una visione un po’ avulsa da tutto il resto e quindi, in questo senso, diventa una specie di isola felice dove tu puoi anche pensare e realizzare le tue aspirazioni con grandissimi musicisti e basta… pensiamo ad esempio ad alcuni film che sono stati girati a Genova recentemente, ebbene lì sono solo stati filmati, ma tutto il resto delle produzione è avvenuta fuori. Genova va bene proprio perché è avulsa dal resto del mondo e quindi, nel nostro caso, possiamo concentrarci totalmente sulla scrittura e sulla registrazione delle nostre opere. Ecco il motivo per cui a Genova abbiamo uno studio. Questo fatto però non esclude che a Genova ci siano degli ottimi artisti e artigiani in grado di sviluppare idee e concretizzarle anche. E’ inutile poi che io dica: Nemo profeta in patria. Molto spesso, artisti genovesi che sono poi diventati noti a livello nazionale e internazionale, finché sono rimasti a Genova non hanno avuto il riscontro che avrebbero meritato. Basti pensare a Faber… tutto questo è pazzesco.

Per concludere. Quali sono i vostri prossimi progetti?
Stiamo, e non con poche difficoltà, tentando di uscire dai nostri confini nazionali e ampliare un po’ la nostra esperienza all’estero per varie ragioni: amiamo fare esperienze nuove, non ci manca la curiosità di scoprire altre a realtà, ma anche perché quelle pochissime occasioni che abbiamo avuto di lavorare all’estero, abbiamo intravisto un atteggiamento sensibilmente diverso rispetto a quello italiano. Occupandoci di colonne sonore, di solito, siamo gli ultimi a chiudere il cerchio produttivo, in quanto tali non veniamo molto coinvolti –non perché non lo vogliamo noi, ma perché non ce lo permettono- nella vita vera e proprio del film. E’ successo più di una volta che finito il film, non veniamo nemmeno invitati alle conferenze stampa, nonostante la nostra figura professionale venga riconosciuta anche a livello legislativo come una delle tre figure autoriali del cinema. All’estero, invece, ho sempre visto gente più motivata, che chiedeva la tua motivazione per partecipare al processo filmico, quindi un miglior rapporto con la produzione. Più collaborazione e rispetto. Non parlo di aspetti economici, parlo di rapporti interpersonali e di come poi la nostra figura venga vissuta una volta che si è arrivati alla conclusione del film. Vedo un rispetto maggiore del nostro lavoro e della professione del compositore. Quello che chiediamo è semplicemente che la nostra arte venga in qualche modo tutelata maggiormente perché noi dedichiamo molte energia e passione alle cose che facciamo… Se viene a mancare questo fuoco il rischio è di entrare in una sterile catena di montaggio, che non è quello che noi vogliamo (Pivo e Aldo hanno appena terminato alcuni nuovi lavori: un documentario di produzione americana, The Monk wiht a Camera, la colonna sonora di Song’e Napule dei Manetti Bros, e quella per The Sweepers – La banalità del crimine di Igor Maltagliati e Eppideis di Matteo Andreolli).

Pivio e Aldo De Scalzi-com’è nato il sodalizio
Galeotto fu lo studio di registrazione di Genova ‘Studio G’, e chi vi suonò. Aldo suonava ne i Picchio dal pozzo, Pivio con gli Scortilla. I due musicisti si sono incontrati lì e tutto ha avuto inizio. Dal 1980 al 1990 hanno percorso strade parallele: Aldo si era dato alla produzione musicale, Pivio si è dato allo studio (diventando ingegnere) e alla professione di manager. Le loro strade poi si sono intersecate allo scopo di imbastire il nostro progetto musicale: Trancendental. E’ il 1995, esce il CD Deposizione, primo lavoro del duo. E poi ecco giungere, nel 1997, la grande occasione: Ozpetec li vuole per Hamam – il bagno turco e tutto il resto è storia nota. Pivio e Aldo sono diventati un punto di riferimento nel panorama cinematografico (oltre 100 titoli), televisivo (Distretto di polizia e L’ispettore Coliandro) e teatrale italiano. Il loro mestiere? Tradurre le immagini in musica. Ferzan Özpetek, Alessandro D’Alatri, Marco Risi, i Manetti Bros e tanti altri hanno colto questo loro talento.

Postato in Compositori, Numero 100.

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