Maledetti vi vedrò


di Renato Venturelli.
La Cineteca D.W.Griffith continua a riproporre film dimenticati, maledetti, scomparsi. Come Una voglia di morire di Duccio Tessari, girato ad Arenzano negli anni ’60.

Alla ricerca dei film dimenticati. Nell’era di dvd, tv satellitari, youtube e muli vari, la Cineteca D.W.Griffith continua tenacemente a riproporre in sala e su pellicola film spariti dalla circolazione, di cui si cominciava a perdere la memoria. L’ultima riproposta è Una voglia da morire (1965) del genovese Duccio Tessari, un film girato in gran parte ad Arenzano, un sarcastico attacco a cinismi e ipocrisie della borghesia italiana negli anni del boom che a suo tempo era stato sequestrato per oscenità, e quando fu sbloccato non ebbe praticamente più una vera circolazione.
Da allora, era diventato un film invisibile, dimenticato da tutti. Scritto da Tessari a partire da un soggetto di Enzo Gicca ed Enzo Battaglia, prende il via ad Arenzano con la morte di una prostituta ammazzata in strada, e prosegue poi nell’ambito della buona borghesia milanese: la donna uccisa aveva infatti scarpe e indumenti intimi da gran signora, un imprenditore padano scopre sul giornale che la targa di un’auto coinvolta è quella di sua moglie, un suo amico si ritrova in casa la consorte sconvolta dopo una vacanza in Riviera… E la verità a poco a poco viene fuori: le mogli dei due cumenda erano andate per qualche giorno in vacanza ad Arenzano, avevano cominciato a sedurre uomini per noia, e quindi erano scese a battere in strada per scoprire se funzionava meglio la sfrontatezza dell’una (Regine Ohann, la vittima) o la seduzione più discreta e signorile dell’altra (Annie Girardot).
Alberto Lionello è il marito preoccupato che corre nel grande albergo di Arenzano per indagare su quanto è successo alla moglie, ma a dominare la scena è Raf Vallone nella parte dell’imprenditore cinico che s’è fatto da sé e non conosce scrupoli morali. Ogni sua scena è un fuoco di fila di battutacce sarcastiche, è l’uomo venuto dal nulla che sa di non avere protezioni di classe e che quindi deve sempre cavarsela nel modo più spregiudicato. Ha sposato la Girardot, di famiglia bene, ma poi la chiama “la contessa” e irride le sue pretese di coscienza sociale e morale: “Non parlare di fango, tu conosci solo quello di Ischia!”. E lei ribatte contrattando sistematicamente il proprio matrimonio: ho sempre vissuto nel lusso, quando rischiavo di perderlo ti ho sposato e tu ti sei impegnato a garantirmelo…
La spavalderia con cui Tessari negli anni ’60 giocava allegramente con i generi, dal peplum al western, smontandoli implacabilmente (“la grossa differenza tra me e Sergio Leone è che lui ci crede e io no…”), s’incanala qui in un gioco al massacro dell’etica borghese che esibisce il sorriso beffardo e il compiacimento cinico dietro la critica sociale. La riviera ligure diventa così il luogo del peccato a portata di mano per una borghesia sempre pronta all’accomodamento feroce e ipocrita al tempo stesso, cui tutti finiscono per offrire la propria complice disponibilità.
In mezzo, Tessari si ritaglia una particina come attore, sfoggia qualche frecciata criptata (si sente il cognome di un famoso proprietario di sale cinematografiche genovesi dell’epoca…), martella la colonna sonora con la Mina di “E’ l’uomo per me” ed offre a Raf Vallone uno dei personaggi più debordanti della sua carriera. Il continuo slittamento dei generi ci ricorda inoltre che queste conclusioni imperniate sul più beffardo disincanto non erano solo la conseguenza della possibilità anni ’60 di affondare più apertamente nella critica sociale rispetto al passato, ma funzionavano anche come soluzioni formali, compiaciuti finali ad effetto, parenti prossimi dei colpi di scena. E’ il pessimismo comico tanto amato dallo spettacolo dell’Italia del boom.
E Tessari mescola nella “Voglia da morire” il gusto per l’intrigo giallo con la commedia all’italiana, la critica divertita al cinismo ipocrita con i tentativi di affrontare più liberamente l’erotismo: un esempio di quello che il regista definiva un cinema dove l’impegno c’è, ma senza virgolette. “Sono convinto – scriveva – che spettacolo e divertimento siano alla base del giuramento di Esculapio che un autore cinematografico deve fare con se stesso e con il suo pubblico”.
All’epoca, il film venne comunque accolto anche come un’incursione di Tessari in un cinema più serio ed impegnato rispetto alla sua produzione più schiettamente di genere. Al tempo stesso, la storia delle signore milanesi che si mettono a battere il marciapiede in Riviera agganciando camionisti creò ovviamente problemi, provocando quel sequestro che sta all’origine della scarsa circuitazione e dell’insuccesso commerciale. “La Procura della Repubblica di Lucca il 20 luglio 1965 procede al sequestro del film e l’8 gennaio 1966 condanna Duccio Tessari a sei mesi di reclusione e lire 60.000 di multa per aver diretto un film’osceno’; viene comunque concessa la sospensione condizionale della pena. Il 5 ottobre 1967 la Procura d’Appello di Firenze procede al dissequestro della pellicola e assolve Tessari, lo sceneggiatore Gicca Palli, il soggettista Enzo Battaglia e il produttore Sergio Sabini (anch’essi condannati in primo grado)”, ricorda Fabio Melelli nel suo Kiss Kiss…Bang Bangil cinema di Duccio Tessari, appena uscito per le edizioni Bloodbuster.
Il dissequestro avvenne peraltro troppo tardi per far riavere a Una voglia da morire una normale circuitazione. “Il film era completamente sparito dalla circolazione – ricorda Massimo Patrone della Griffith – Oltre a noi, ne hanno una copia unica alla Cineteca Nazionale, ritrovata avventurosamente dentro scatole che avevano la scritta di tutt’altro film…”. (renato venturelli)

LA CINETECA GRIFFITH
Attiva dagli anni ’70, la Cineteca D.W.Griffith collabora con le principali cineteche e manifestazioni internazionali, fornendo con continuità i suoi “tesori” per eventi prestigiosi sia in Italia che all’estero. Ha appena partecipato al festival di Roma con due rarissimi corti di Otto e 1/2, ha fornito alla Cineteca di Vienna L’orribile segreto del dottor Hichcock, capolavoro horror necrofilo di Riccardo Freda, ha proiettato alla Tosse una copia del Rigoletto di Carmine Gallone che è l’unica copia esistente in Italia e probabilmente al mondo. E a marzo dell’anno prossimo tre suoi film voleranno a New York per la seconda rassegna Yellow Fever dedicata al giallo italiano.

Postato in Archivi, Numero 100.

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