John Travolta a Karlovy Vary


Sorriso da eterno ragazzino, berretto blu con visiera, camminata lievemente dinoccolata, John Travolta si presenta in anticipo all’attesissima conferenza stampa felice nel notare di avere una trentina di video operatori ed un centinaio di giornalisti presenti.
Così lo accoglie la Karlovy Vary degli addetti ai lavori all’interno di un Festival che, tra gli altri, ospiterà Oliver Stone ed i tre magici creatori di Borderline Productions.
Presente per ricevere il premio alla carriera tributato lo scorso anno a Helen Mirren ed a Susan Sarandon, Travolta ha subito tenuto a precisare che era felice di avere ottenuto questo riconoscimento già dato a suoi amici quali Harvey Keitel, John Malkovitz, Andi Garcia, Danny DeVito, Jude Law.
“Gli attori che dicono di non gradire questo tipo di premio mentono o non hanno capito nulla di questo mestiere. A cinquantanove anni è bello sapere che Festival culturalmente importanti come quello di Karlovy Vary apprezzino quello che hai fatto e quello che tenterai di aggiungere nel tuo percorso artistico.”
– E’ qui anche per presentare Killing Season, il primo film interpretato assieme a Robert De Niro. Quali le sue impressioni e le sue aspettative.
“Per me è stato facile trasformarmi in questo personaggio così differente dai precedenti che ho interpretato perché sono cresciuto in una famiglia di attori che mi hanno insegnato ad accettare queste sfide senza paura ma con grande gioia. Non importa se si tratta di ballare, interpretare un dramma o una commedia: bisogna mettere lo stesso impegno e cercare di dimostrare quello che puoi valere. Con Bob prima di iniziare le riprese abbiamo studiato assieme i personaggi per affinarli al massimo e renderli credibili. Merito anche e soprattutto del regista Mark Steven Johnson che ci ha messo a nostro agio consigliando e mai interferendo nelle nostre scelte. I due ex soldati di opposte fazioni interagiscono per tutto il film ed era importante ci fosse il massimo affiatamento possibile. Il veterano statunitense che non ha superato il trauma per le nefandezze fatte in Bosnia e che si ritira come un eremita in una capanna dei monti Appalachi è visto come il pentimento di una nazione per quanto di sbagliato possa avere fatto. Quando giunge questo turista europeo l’uomo non sospetta che possa essere un ex soldato serbo assetato di vendetta; nasce una strana amicizia che si trasforma in una guerra personale in cui la posta è la vita o la morte.
– Spesso ha parlato delle sue origini, nato in una famiglia di artisti che non ha avuto molto successo. Ci dica qualcosa di loro.
“E’ stato bello crescere in una famiglia dove l’arte era la base di tutto: io non ho dovuto combattere per seguire la mia inclinazione, mai. La fortuna, le occasioni, il momento in cui tu lavori nel mestiere di attore è molto importante. La bravura è indispensabile ma non sufficiente per ottenere il successo. In un momento della mia vita in cui è lecito tirare le prime somme, posso dire di essere felice, molto fortunato e con le persone giuste che hanno creduto in me, sia come attore che come uomo. Ho imparato l’umiltà da loro ma anche la capacità di non arrendersi mai.
– Ci parli dei suoi inizi artistici e di quando ha iniziato a capire che avrebbe potuto realmente fare questo mestiere.
“Come molti miei colleghi, ho iniziato con la televisione. Il mio primo approccio col piccolo schermo è stato quando avevo tredici anni e sono stato scelto dai produttori di Emergency! creata da Harold Jack Bloom e Robert A. Cinader per interpretare un personaggio poco importante come Chuck Benson ragazzo. Ma per me è stato basilare, soprattutto perché mi ha permesso finalmente di potere dire di avere realmente lavorato in una produzione professionale tra l’altro durata sette edizioni. Da quel momento tanti piccoli ruoli televisivi fino a quando, avevo diciassette anni, Brian De Palma non mi scelse per un ruolo interessante e visibile, il giovane Billy Nolan, per Carrie. Mi sembrava impossibile di potere lavorare con un regista di quel livello affiancando attori già molto conosciuti. Poi a diciotto anni, in quel 1977 che mai potrò dimenticare, John Badham che rischiò affidandomi in Saturday Night Fever il ruolo del protagonista, Tony Manero.
– Nel prosieguo della sua carriera, la ha limitata come possibilità di interpretare personaggi differenti?
“La serata iniziale del Karlovy Vary International Film Festival mi ha confermato che più che un condizionamento è stato un momento indispensabile per la mia carriera artistica il ballerino cantante che faceva sognare le teen ager di trenta e passa anni orsono ma le cui figlie e, forse, nipoti, vivono ancora le stesse emozioni. La serata all’aperto dedicata a Grease, permettendo agli spettatori di ballare e cantare, mi ha commosso ed emozionato. Anche non avessi fatto nulla dopo questo, rimango nella memoria collettiva per un personaggio, un modo di vivere il musical. Mi creda, non è stata una maledizione la figura del ballerino cantante, ma un grande momento della mia vita che mai rinnegherò.
– Quale film preferisce tra quelli che ha interpretato?
“Con una battuta che so non essere molto originale, dirò quello che non ho ancora girato. E’ bello sapere di avere ancora produttori che credono in te, registi che richiedono la tua interpretazione. E’ l’unica vera possibilità per vivere con intensità e gioia il mestiere che ho la fortuna di fare.
La conferenza stampa doveva durare 25 minuti, si è protratta per quasi un’ora, quanto si tributa ad una star che riesce ancora ora ad interpretare perfettamente il ruolo del bravo ragazzo della porta accanto.

di Furio Fossati

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