Gary Cooper
di Mariangela Pierini (Le Mani, Recco 2011, 411 pp., 22 euro)
I libri sugli attori corrono sempre il rischio di essere una mescolanza di aneddoti biografici e di filmografie commentate. In questa ampia monografia, invece, la figura di Gary Cooper (1901-1961) viene analizzata dettagliatamente discutendo innanzitutto le caratteristiche interpretative dell’attore, il modo in cui venne utilizzato dallo studio-system e dai registi con cui ebbe a che fare: a partire ovviamente dalla sua “naturalezza” e dal suo “underplaying”, dalla “recitazione invisibile” che scandisce una formazione interamente cinematografica, secondo una tradizione divistica non rara all’interno del grande cinema hollywoodiano classico. Sintomatico, a questo proposito, un commento dello stesso Cooper: “Quando leggo che sono un talento naturale che non ha mai preso una lezione di recitazione in vita sua, mi chiedo cosa siano tutte quelle migliaia di ore che ho passato con Ronald Colman, William Powell, John Huston, Henry King, Sam Goldwyn, Cecil B.De Mille, Charles Laughton…”. E Orson Welles: “Gary Cooper era un attore cinematografico, il caso classico. Lo vedevi lavorare sul set e pensavi: ‘Dio mio, questa scena dovranno rigirarla!’. Praticamente, sembrava che non ci fosse. Poi vedevi i giornalieri, e riempiva lo schermo!”.
Alla ricerca della (in)felicità: il cinema di Todd Solondz
di Nicolò Barretta, Andrea Chimento, Paolo Parachini (Falsopiano, Alessandria 2011, 198 pp., 19 euro)
L’opera cinematografica di Todd Solondz analizzata attraverso una serie di temi (la famiglia, l’adolescenza, la sessualità, la società ecc.) e collocata sullo sfondo della produzione indipendente americana degli ultimi trent’anni. Con un capitolo dedicato all’analisi dei rapporti tra i film di Solondz e i fumetti indie americani, e in particolare con Daniel Clowes, autore molto vicino al regista e disegnatore fra l’altro del manifesto di Happiness. Altri rapporti affrontati: quelli con Chester Brown e con gli scrittori Raymond Carver, John Cheever, Samuel Beckett. Introduzione di Alberto Pezzotta, conversazione finale con Todd Solondz, che indica alcuni dei suoi registi contemporanei preferiti (Mike
Leigh, Terry Zwigoff, il Matteo Garrone di Gomorra, il Laurent Cantet di A tempo pieno e soprattutto Todd Haynes; negativo invece su Paul Thomas Anderson) e chiude con la frase: “il mio lavoro non è dire la verità, è raccontare storie, la verità non è interessante”.
Gli uomini oggetto
di Laurent Jullier e Jean-Marie Leveratto (Gremese, Roma 2011, 128 pp., 18.50 euro)
Il punto di partenza è naturalmente Marlon Brando, che in canottiera o in t-shirt fece esplodere all’inizio degli anni ‘50 la questione dell’erotismo maschile in termini di corpooggetto e di virilità da striptease.
Il libro di Jullier e Leveratto si presenta col formato di un album illustrato, ma come altri titoli della collana è in realtà un saggio articolato, scritto da due docenti universitari (Jullier è tra l’altro autore di “Il cinema postmoderno”). E la riflessione sul corpo oggetto maschile parte da una frase di Jean-Paul Sartre (“io esisto il mio corpo”) per rovesciarla nel suo opposto: “per l’uomo oggetto, il suo corpo lo esiste, il suo involucro lo definisce, i suoi muscoli lo giustificano”. Il percorso va dall’atletismo spavaldo di Douglas Fairbanks alla corporeità “nature” di Johnny “Tarzan” Weissmuller, da Clark Gable a Charlton Heston, dall’esibizione sadomaso del corpo continuamente martoriato di un Burt Lancaster fino ai travestitismi, al body building di Schwarzenegger, ai film di Visconti, al fascino felino (categoria in cui figurano Redford e Delon), a Viggo Mortensen e Mickey Rourke. Fino ad osservare il ribaltamento avvenuto nel cinema mainstream di oggi, dove la nudità maschile sarebbe diventata più accettabile di quella femminile. Un percorso che coincide con una liberazione del corpo maschile o del desiderio femminile? Forse, più semplicemente, un percorso che scandisce la continua ricerca di erotismi da parte dell’immagine cinematiografica.
Cinecritica n.64
(ottobre-dicembre 2011, pp.114, 6 euro)
Il primo piano della rivista del Sindacato Nazionale Critici Cinematografici (SNCCI) è dedicato in questo numero a Pasquale Scimeca, con una lunga e dettagliata intervista a cura di Cristiana Paternò, oltre a saggi di Emiliano Morreale e Anton Giulio Mancino. Altri articoli sul cinema romeno, la neoavanguardia italiana, il Risorgimento, Hemingway, Bellocchio, i documentari di Cosimo Terlizzi (con intervista), le recensioni di giovani critici vincitori del premio “Giovani e innocenti”.
Walt Disney
di Roberto Lasagna
(Falsopiano, Alessandria 2011, 344 pp., 23 euro)
Torna in libreria in edizione ulteriormente accresciuta e aggiornata l’ormai classica monografia di Roberto Lasagna su Walt Disney, dove ogni singolo film viene analizzato nell’ambito del contesto culturale, storico e politico in cui venne prodotto: affrontando le innumerevoli contraddizioni della figura di zio Walt, ma anche l’intuizione che lo portò a proporsi come pionieristico “artista seriale” novecentesco. Aggiornato fino agli anni della Pixar/Disney, con contributi di altri saggisti, e introduzione dell’autore dell’altra storica monografia italiana su Disney: Oreste De Fornari, che del prodigioso Walt sottolinea l’immortalità autoriale per cui “morto quarant’anni fa, continua a firmare cartoon in puro stile Disney”.
Camogli… si gira!
(Corigraf, Genova 2011, pp.48, 8.50 euro)
Quaderno abbondantemente illustrato sui film girati a Camogli, con brevi schede sui titoli principali (Preludio d’amore, Il diavolo in convento, Pezzo capopezzo e capitano ecc.), alcune riscoperte (il semisconosciuto Al mare pago io, film svizzero interamente girato nella località ligure ed interpretato da Capannelle, ma che non compare quasi mai nelle filmografie dell’attore), cenni sulle produzioni televisive e i documentari. Tra questi ultimi, da ricordare Tigullio minore, realizzato nel 1947 da Dino Risi.
Thriller italiano in cento film
di Claudio Bartolini e Luca Servini (Le Mani, Recco 2011, 268 pp., 18 euro)
All’epoca della loro uscita venivano per lo più bistrattati, confinati ai circuiti di sale popolari e al cosiddetto mercato di profondità. Da molti anni, invece, i thriller “all’italiana” sono diventati uno dei generi di culto della cinefilia internazionale, che li ha ribattezzati col termine “Giallo” partendo dal modo in cui in Italia venivano chiamati mysteries e polizieschi classici per via dei Gialli Mondadori. Nella storia dei generi in cento film della casa editrice Le Mani esce adesso questa utilissima guida al thriller italiano, filone impostosi tra gli anni ’60 e ’70 sulla scia di una crescente tendenza sensazionalista: una tendenza che affonda le sue radici nelle sceneshock della vasca da bagno di I diabolici di Clouzot o della doccia di Psycho, prosegue con produzioni inglesi o addirittura tedesche ed esplode poi nel tripudio di invenzioni formali e coloristiche, di raptus omicidi e di coreografie della violenza, di zoomate e stravaganze pop della produzione italiana. La selezione prende il via da Il rossetto di Damiani (1960), indicato come precursore, prosegue col fondamentale Mario Bava di La ragazza che sapeva troppo (1963) e Sei donne per l’assassino (1964), passa attraverso i primi titoli di Dario Argento che consacrano il filone e affonda nella produzione più intensa compresa tra il 1969 e la metà degli anni ’70, quando comincia il rapido declino (il volume tratta comunque anche titoli successivi, arrivando fino ai nostri giorni). Con molti titoli obbligati, qualche riscoperta, una sostanziale bocciatura per l’ultimo Dario Argento, anche se motivata dalla volontà di testimoniare nuove tendenze e nuovi autori. Curiosità: il regista più rappresentato è Sergio Martino (con 9 film), seguito da Mario Bava (6), Dario Argento (6), Umberto Lenzi (5), mentre per gli ultimi decenni spiccano i Vanzina con 4.
The New Neapolitan Cinema
di Alex Marlow-Mann (Edinburgh University Press, pp. 242)
Il giovane ricercatore inglese Alex Marlow-Mann con il suo ottimo libro The New Neapolitan Cinema ha circoscritto la sua analisi del cinema napoletano al periodo degli ultimi vent’anni, quello che dopo un’anonima fase di transizione seguita agli exploit di Piscicelli e Troisi nei primi anni ’80, ha visto gli autori partenopei imporsi sullo scenario nazionale e in alcuni casi internazionale.
Datando l’inizio della sua esplorazione 1990 (Matilda di Antonietta De Lillo e Giorgio Magliulo) e 1991 (Vito e gli altri di Antonio Capuano), l’autore individua i 50 film-chiave del ventennio e ne cita molti altri, senza tralasciare proprio nulla: i nuovi autori e gli artigiani, i capolavori e i film di serie B, le opere artistiche e il cinema ‘basso’, le poetiche d’autore e i filoni di genere e le formule vincenti (la postsceneggiata con Nino D’Angelo,
la ricetta canoro-sentimentale declinata sui neomelodici), le nuove realtà produttive, l’equivoco della coincidenza della rinascita del cinema napoletano e del ‘Rinascimento’ bassoliniano, il “Nuovo Cinema Napoletano” degli anni ’90 dei Corsicato, Martone, Incerti, De Lillo, Capuano e l’affermazione dell’’onda’ successiva dei Sorrentino, Terracciano, Luglio, Di Majo, Dionisio, Gaudino, Marra, Lambertini, Marrazzo. Preziose anche la bibliografia e le appendici con grafici e dati.
(di Alberto Castellano)