J. Edgar – Storia del F.B.I. secondo Clint Eastwood

locandina j. edgarCon J. Edgar, Clint Eastwood racconta la storia degli Stati Uniti nel XX secolo, dal primo dopoguerra all’inizio degli anni Settanta, privilegiando due punti di vista che tendono a convergere: quello dei corpi che progressivamente imputridiscono sino a diventare un’amorfa massa di carne abbandonata ai piedi di un letto; e quello di una ideologia che si dimostra sempre più incapace d’interpretare la realtà entro la quale è nata e si trova ad operare.

Il corpo è quello di Leonardo di Caprio ( ma anche, per assonanza, quelli di Armie Hammer e di Naomi Watts) che, dando una maschera all’onnipotente J. Edgar Hoover, offre ancora una volta uno splendido esempio di recitazione “a levare”; mentre l’ideologia messa in scena apparentemente senza giudicarla è quella che ha caratterizzato la componente più conservatrice della storia statunitense nel corso del Novecento: pregiudiziale anticomunismo, insofferenza per l’equiparazione dei diritti per bianchi e negri, incompatibilità con le manifestazioni dichiarate di idee progressiste o di evidenti tendenze sessuali, amore per l’organizzazione del lavoro spinto ossessivamente sino al culto di meticolosi dossier finalizzati a ricattare tutti, presidenti compresi.

Introdotto dall’uso insistito della voce fuori campo, J. Edgar è un film costruito interamente sui comportamenti e fa proprio, almeno in apparenza, il punto di vista del suo protagonista. Di Hoover, infatti, racconta solo l’attività storicamente accertata, anche se poi, alla resa del conti, Clint Eastwood finisce col coniugare sullo schermo una storia molto più complessa e contraddittoria: una storia di uomini e di donne votati con una tenacia spinta anche al di là dell’evidenza a far coincidere la realtà con la loro idea del mondo; un viaggio esistenziale sempre identico a se stesso, dallo splendore fisico di una giovinezza mal vissuta alla sua putrefazione sotto il make-up pesantemente caricato della vecchiaia; un sottile percorso nei grovigli dell’animo umano cadenzato al ritmo dei 24 fotogrammi al secondo.

Ancora una volta – come in Flags of Our Fathers o in Invictus – Clint Eastwood scommette sulla possibilità di tradurre in puro cinema la storia di un recente passato e, evitando i difetti come smussando le punte più personali di quelle sue opere precedenti, consegna al grande schermo quello che è forse il suo film più scespiriano, nel quale l’autore sparisce completamente nell’autonomia dei propri personaggi e nella forza evocativa della storia raccontata. Tutto questo concorre a fare di J. Edgar un grande film che però poco concede alle aspettative dello spettatore, il quale non può far altro che o evitare di comprendere quello che accade davanti ai suoi occhi o uniformarsi all’idea che solo nell’autonomia linguistica dell’opera vanno ricercati il suo senso e i suoi significati.

Dal primo corno del dilemma nasce lo sconforto di chi, non trovando nel film neppure l’esplicito appiglio offerto ancora, ad esempio, dal messaggio edificante contenuto nel finale di Gran Torino, ha frettolosamente etichettato J.Edgar come un prodotto senile e reazionario o come anche solo un capolavoro mancato; dal secondo, invece, prende vigore la convinzione dell’assoluta coerenza espressiva di un regista che, consapevolmente in viaggio verso la rappresentazione della morte, come ci ha ben dimostrato con Hereafter, continua a guardare al presente e a indagare tramite il cinema la complessità dell’animo umano, lasciandosi sempre più alle spalle la voglia preconcetta di essere capito, per sollecitare invece gli spettatori a mettersi in relazione con quello che è lì, chiaro ed evidente, sullo schermo. A condizione che si sappia guardare quello che si sta vedendo,perché solo in questo caso accade allora che un film di Clint Eastwood dimostri ancora una volta di saper riempire gli occhi e di scaldare il cuore di chi ama il cinema.

J. Edgar
(J. Edgar, Stati Uniti, 2011)
Regia e musica: Clint Eastwood
Sceneggiatura: Dustin Lance Black
Fotografia: Tom Stern
Scenografia: James J. Murakami
Costumi: Deborah Hopper
Montaggio: Joel Cox e Gary D. Roach
Interpreti: Leonardo Di Caprio (J. Edgar Hoover), Armie Hammer (Clyde Tolson), Naomi Watts (Helen Gandy), Josh Lucas (Charles Lindbergh), Ed Westwick (agente Smith), Lea Thompson (Lela Rogers), Dermot Mulroney (colonnello Schwarzkopf), Jeffrey Donovan (Robert Kennedy), Stephen Root (Arthur Koehler), Judy Dench (Anne Marie Hoover), Ken Howard (generale Harlan F. Stone), Christopher Shyer (Richard Nixon)
Distribuzione: Warner Bros
Durata: due ore e 17 minuti

Postato in Numero 97, Recensioni di Aldo Viganò.

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