Quel che resta di Cannes 2011


lars von trierTutti d’accordo, o quasi. Quella del 2011 è stata una delle migliori edizioni di Cannes degli ultimi tempi, forse un po’ povera di novità, più festival di conferme che di sorprese. Alcuni film sono già usciti anche da noi o ne parliamo in questo numero: Malick, Dardenne, Moretti, Rohrwacher, Refn, Sorrentino, Ceylan… Ecco allora un pugno ulteriore di segnalazioni, non il meglio del festival ma dieci flash su quello che potrebbe o dovrebbe uscire nelle nostre sale.

KAURISMAKI – Presente con Le Havre, che per molti era il miglior film del festival, l’ideale Palma d’oro. C’è il suo solito mondo, la sua poesia puntinista, perfino il tema d’attualità dei clandestini: da vedere quando uscirà, ma non ai livelli di L’uomo senza passato o Nuvole in viaggio.

VON TRIER – Più che per Melancholia ha fatto discutere per le sue dichiarazioni e il cartellino rosso ricevuto dagli organizzatori. Una censura quanto meno contraddittoria, in un festival pomposamente proteso a rivendicare in ogni occasione la libertà di parola dei cineasti: ma la tolleranza, si sa, è un valore da imporre solo all’altra parte del mondo.

WOODY ALLEN – Stavolta le cartoline arrivano da Parigi e trasportano il protagonista (Owen Wilson) tra i miti della Lost Generation: Midnight Paris è il teatrino alleniano della vita in forma di rosa purpurea del Quartiere Latino. Il trionfo della maniera.

VAN SANT – Il suo Restless è stato confinato nella sezione “Un certain regard”, forse perché bocciato dagli stessi produttori e non abbastanza sperimentale per i gusti festivalieri. Ma la sua storia di adolescenti alle prese con i sentimenti, la morte, la precarietà del tempo merita attenzione.

BRUNO DUMONT – Anche il suo Hors Satan è stato dirottato in “Un certain regard”. Qualcuno l’avrebbe voluto in concorso, altri lo trovano ripetitivo: ma l’ennesimo rapporto tra personaggi estremi in un paesaggio livido è tutto tenuto sul filo di un’autentica tensione di cinema. Un regista destinato a declinare nelle mode cinefile prima ancora che il pubblico italiano abbia potuto scoprirlo.

GUEDIGUIAN – I cinefili snobbano Guediguian, visto come il Ken Loach dell’Estaque. Ma il suo mondo operaio dove tutto sta cambiando è raccontato con giustezza di tocco tra dramma e umorismo, Darroussin interpreta a memoria la parte del sindacalista integerrimo improvvisamente preda del dubbio, e insomma Le nevi del Kilimangiaro sarà un film che i festivalieri sdegnano, ma che in sala merita di essere visto.

KIM KI DUK – Dopo un lungo silenzio, il regista coreano torna con Arirang, diario no-budget sul suo eremitaggio in una capanna, dove racconta solo se stesso, i propri gesti, le proprie riflessioni sulla vita e sull’arte. Il narcisismo autoriale tra impudenza e sperimentalismo.

JEFF NICHOLS – Take Shelter è stata la rivelazione della Semaine de la critique, col suo gruppo di famiglia nell’occhio del tornado e dell’apocalisse dell’America profonda. Provenienza Sundance (e ti pareva), ottime accoglienze a Cannes: probabile che esca anche da noi.

GERARDO NARANJO – Messicano, quarant’anni, in Miss Bala bracca una ragazza che vorrebbe diventare Miss Baja California ma finisce incastrata dalla malavita. Inseguimenti, sparatorie, boss e schiave, droga e violenze: è il nuovo cinema criminale messicano da esportazione, ma raccontato a un ritmo infernale.

MIHAILEANU – Il regista di Il concerto e Train de vie è uno dei più sopravvalutati del mercato para-essai: inopinatamente invitato in concorso, porta una versione di Lisistrata ambientata nel mondo arabo (La source des femmes). Un disastro da segnalare.

Postato in Festival, Festival di Cannes, Numero 94.

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