Per il loro primo western a pieno titolo (Non è un paese per vecchi era, infatti, solo un omaggio alle sue modalità stilistiche), i Coen Brothers hanno scelto il remake di un film del 1969, in cui già l’anziano Henry Hathaway mescolava i “generi”, anche se poi finiva col mettersi al servizio di John Wayne, il cui personaggio di sceriffo burbero e monocolo è qui ripreso con competenza attoriale da Jeff Bridges. La trama rimane fondamentalmente la stessa, attingendo entrambi i film dal romanzo pubblicato a puntate nel 1968 da Charles Portis; ma molte cose sono cambiate in quarant’anni anche nel cinema hollywoodiano. Se allora Hathaway raggiungeva il successo internazionale immergendo la leggenda western nella melassa dello stile produttivo disneyano, qui i Coen lasciano di fatto in secondo piano le sdolcinature della storia della ragazzina in cerca di vendetta (allontanandola anche attraverso la voce fuori campo e un epilogo che la vede ormai adulta), per dare molta più importanza alla riflessione sul “genere”, attraverso una particolare attenzione per il paesaggio (ottima la fotografia di Roger Deakin) e per le scene di violenza. Senza per questo rinunciare alla loro autoriale cifra stilistica che li induce a mescolare ancora una volta l’azione con i toni della commedia, i quali nascono qui non solo dal contrasto tra l’”eroismo professionale” dello sceriffo e la follia comportamentale dei banditi cui egli si trova a dare la caccia, ma anche dall’importanza che il film finisce col dare al punto di vista disincantato di Matt Damon, il Texas Ranger al quale i Coen concedono un ruolo narrativo alquanto più importante di quello che aveva nel film precedente. Il risultato non è certo il film migliore dei Coen, ma è pur sempre un film che porta con evidenza la loro firma. Il Grinta è un’opera cinematografica che si vede con piacere, abitata da bei personaggi, recitata da ottimi attori, illuminata da esterni molto suggestivi e resa accattivante da un efficace ritmo del racconto, che non si prende mai troppo sul serio, pur evitando con cura di cadere nella parodia. Insomma, è un film raro nel panorama del cinema contemporaneo e reso prezioso anche dal fatto che non cede mai né alla tentazione di ammiccare alle mode, né a quella di strizzare l’occhio agli spettatori del film precedente. Cera una volta il western, sembrano dire a ogni inquadratura i fratelli Coen. Impossibile oggi farne rivivere con credibilità sul grande schermo la leggenda e poco interessante sarebbe mitizzarne formalmente le convenzioni stilistiche e narrative, come fecero a loro tempo Sergio Leone e i suoi imitatori. Per i Coen, il western è in fin dei conti solo un modo linguisticamente compiuto per continuare a parlare dell’America secondo una prospettiva ebraica: cioè, con uno stile capace di mescolare continuamente (anche all’interno della stessa sequenza) il tragico e il comico, la malinconia per ciò che non può più essere e la consapevolezza intellettuale che l’essere umano è solo un granello di sabbia nella clessidra del tempo che passa.
Il Grinta
(True Grit, Usa, 2010)
Regia, sceneggiatura e montaggio: Ethan e Joel Coen
Fotografia: Roger Deakins
Musica: Carter Burwell
Scenografia: Jess Gonchor
Costumi: Mary Zophres
Interpreti: Jeff Bridges (sceriffo Reuben J. Cogburn), Matt Damon (La Boeuf), Josh Brolin (Tom Chaney), Hailen Steinfeld (Mattie Ross), Barry Pepper (‘Lucky’ Ned Pepper), Domhnall Gleeson (Moon), Elizabeth Marvel (Mattie Ross da adulta)
Distribuzione: Universal Pictures
Durata: un’ora e 50 minuti