E’ stato il figlio – Grottesco d’autore

E' stato il figlioLa commedia all’italiana è lontana dal nuovo film di Daniele Ciprì: il primo da lui girato senza la complicità di Franco Maresco. Ciò che differenzia radicalmente È stato il figlio dalle opere di quel glorioso “genere” non è solo il tono esasperatamente grottesco, spinto sino al crinale con il ridicolo, ma soprattutto è lo stile.

Ciprì usa immagini esplicitamente antinaturalistiche, fa ricorso a inquadrature e a movimenti della cinepresa decisamente eccentrici, guida la recitazione di tutti gli attori verso modalità molto lontane dal realismo. Esattamente l’opposto di quello che facevano i registi della commedia all’italiana. In questo senso, È stato il figlio si colloca ancora, con legittima coerenza, su un terreno molto più vicino all’astrattezza sperimentale di Cinico Tv di quanto lo sia a I mostri di Risi o al tanto a sproposito citato Brutti, sporchi e cattivi, o anche ai film siciliani di Pietro Germi. Il processo di allontanamento dall’osservazione diretta della realtà, del resto, è dato dalla stessa struttura narrativa del film, che Ciprì incentra sull’evocazione del passato e sul tema della memoria.

Nella sala d’aspetto di un ufficio postale, infatti, un uomo racconta agli astanti la storia di una famiglia palermitana (che il film mette in scena sullo sfondo di paesaggi pugliesi) ambientata ai tempi in cui c’era ancora la lira e che, solo alla fine, si rivelerà essere la propria. Una famiglia composta da un padre che si arrangia, da una madre casalinga che fa da mangiare anche per i due genitori di lui, da un figlio ventenne con poca voglia di lavorare e da una figlia adolescente che in cortile esclude dai propri giochi chi chiede con gentilezza di partecipare. L’azione si svolge nell’estrema periferia popolare e mafiosa di Palermo, dove i giovani portano e usano con disinvolta imperizia la pistola. Due colpi mal indirizzati e la figlia stramazza nel proprio sangue. La famiglia piange, ma si getta a capofitto nelle pratiche per il risarcimento ai morti di mafia.

La legge fissa in duecentoventi milioni di lire il dovuto dallo Stato. Ci sono, però, i tempi burocratici. Per un po’ i negozianti fanno credito, poi si deve ricorrere agli strozzini; quindi, quando finalmente i soldi arrivano, riunione di famiglia per decidere il loro uso. Ha la meglio, ovviamente, il capofamiglia, che con i soldi rimasti compera una Mercedes nera, nuova fiammante. Il morbo del consumismo è entrato nelle coscienze, anche se la televisione, pur sempre accesa, non funziona più da tempo. Una figlia per un’automobile. Una macchina da amare, accudire e difendere più della figlia stessa: un feticcio per il quale si può dare la vita e uccidere. È stato il figlio è un racconto che ha per oggetto la società nella quale viviamo, ma con i cui personaggi è impossibile identificarsi, pur in negativo.
Al limite lo sguardo dello spettatore può identificarsi solo con quello del vecchio e della bambina che nel cortile assistono silenziosi ai fatti.

La commedia all’italiana è davvero lontana: questa assomiglia caso mai a una storia di pupi. Una vicenda vera e metaforica insieme: fredda come un film di Sergio Citti e aperta al sarcasmo spettacolare come uno di Roberta Torre. Ma anche una storia raccontata con coerenza stilistica e inedito respiro narrativo da Daniele Ciprì, il quale mette in scena un film eccentrico, sopra le righe, sempre eccessivamente colorato, ma anche personale, ben recitato, insieme astratto e concreto, dalla frequentazione del quale è difficile uscire indifferenti, perché in ogni suo passaggio, in ogni fotogramma, c’è chiaramente impresso il segno di un autore di cinema.

(di Aldo Viganò)

È STATO IL FIGLIO
(Italia – Francia, 2012)
Regia e fotografia: Daniele Ciprì
Soggetto: dal romanzo omonimo di Roberto Alajmo
Sceneggiatura: Daniele Ciprì e Massimo Gaudioso
Scenografia: Marco Dentici
Costumi: Grazia Colombini
Montaggio: Francesca Calvelli
Interpreti: Toni Servillo (Nicola Ciraulo), Giselda Volodi (Loredana Ciraulo), Fabrizio Falco (Tancredi Ciraulo), Aurora Quattrocchi (nonna Rosa), Benedetto Ranelli (nonno Fonzio), Mauro Spitaleri (avvocato Modica), Piero Misuraca (Masino), Alfredo Castro (Busu, il narratore), Alessia Zammitti (Serenella)
Distribuzione: Fandango
Durata: un’ora e 30 minuti.

Postato in Numero 99, Recensioni, Recensioni di Aldo Viganò.

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