“Tromperie – Inganno” di Arnaud Desplechin

di Aldo Viganò.

Soprattutto il cinema francese è stato attraversato nel corso del tempo da un sottile filo rosso che lo collega alla letteratura. Questo accadeva già negli anni Trenta, quando però il realismo poetico di Prevert (ma anche quello di Marcel Carné e Jean Delannoy) non tardò a sfociare nel cinema “puro” di Jean Renoir, che non certo per caso agì in seguito come punto di riferimento degli autori della Nouvelle Vague (da François Truffaut a Jean Rivette) sino a sublimarsi nei film sempre molto letterari (ma anche squisitamente cinematografici) di Eric Rohmer che, soprattutto attraverso l’esempio di “L’amour, l’aprés-midi”, giungono infine (almeno nelle intenzioni) sino a questo “Tromperie” di Desplechin, dove la letteratura la fa da assoluta padrona, mentre quello che latita è purtroppo proprio quel cinema che, pur nel recente passato (basti pensare a “Roubaix”), il regista aveva saputo frequentare con profitto.

Ecco.  Il fatto è che, mentre in “Tromperie” la parola trionfa (e non solo sulla carta), accade che sullo schermo quasi sempre sia questa a dominare, mentre l’immagine finisce con diventare solo un suo (sovente non necessario) corollario, gettando su tutto il film un’ombra alquanto pesante di letterarietà, cosa che invece non accadeva in Renoir. E neppure in Rohmer.

Scritto dall’americano Roth in forma dialogica (e in prima persona tanto da aver voluto dare il proprio nome, Philip, al protagonista che parla con le donne da lui considerate le più importanti della sua vita), “Inganno” (in inglese, “Deception”) è stato scritto nel 1990 e pubblicato da Einaudi nel 2006. Il suo principale e ricorrente interlocutore (insieme alter ego, o soggetto di desiderio sessuale, e a volte anche antagonista) è la una donna: la sua amante inglese che viene sovente a trovarlo nello studio dove Philip, scrittore già celebre, scrive – rigorosamente con penna e inchiostro e, essendo mancino, con la sinistra – i suoi libri di successo internazionale. Costei, della quale, con tono ammiccante, a un certo punto vengono anche citati i capelli azzurri che portava in “La vita di Adele”, è interpretata da Lèa Seydoux, nel ruolo di un’adultera logorroica e po’ nevrotica, che infine trova una propria libertà interiore.

Ma questa amante inglese non è la sola interlocutrice del protagonista dalla vocazione egocentrica, che nel corso del film parla anche con la moglie, gelosa dei suoi personaggi scoperti negli appunti abbandonati distrattamente in casa, oltre che con un’ex amante malata terminale di tumore, una studentessa di talento e una cecoslovacca in fuga dai servizi segreti sovietici come da quelli statunitensi.

Poco alla volta accade così che il mondo di Philip si riveli. Il sesso, ma soprattutto la parola. Il vero e il falso. L’immaginazione e la realtà. Ma anche la mai confessata paura della morte come dell’avversario etnico e ideologico. Questo è Philip, ma anche Roth, che in una sequenza del film che svolge una funzione un po’ a sé. trova anche modo di difendersi con finalità espiatorie da un processo in cui delle “erinni” togate lo accusano (vero o falso?) di un passato da scrittore misogino.

Il dibattito di fondo, evidenziato nel corso dei dodici capitoli che compongono il film di Desplechin, resta quello del rapporto tra la vita e l’atto creativo dello scrittore, il quale lo trascrive narcisisticamente su un quadernetto che poi la moglie legge con voracità vendicativa.

Ciò che ne nasce diventa così una riflessione sul ruolo dell’artista. Sul rapporto tra finzione e realtà e sui limiti di libertà della creazione artistica. Tutti temi questi che attraversano ogni tipo di linguaggio e che rappresentano una riflessione certo legittima, a tratti anche interessante sullo schermo cinematografico, ma che nel film “Tromperie” stentano alquanto a passare attraverso il consapevole uso del linguaggio, che invita continuamente lo spettatore a passare dal privato all’universale, dalla narrazione di fatti fondamentalmente individuali alla infinita autonomia e complicazione di una riflessione aperta verso l’esistenza tutta. Ma raramente ci riesce. Sortendone infine, cosa in sé sempre grave, un film che trova alquante difficoltà a far convivere con sufficiente chiarezza la parola e la sua rappresentazione. A coniugare cioè la letteratura con il cinema.

 

 

 

Tromperie – Inganno

(Tromperie, Francia 2021)  regia: Arnaud Desplechin – soggetto: dal romanzo omonimo di Philip Roth – sceneggiatura: Arnaud Desplechin e Julie Peyr – fotografia: Yorick Le Saux – musica: Grégoire Hetzel – scenografia: Toma Baqueni – costumi: Jürgen Doerig – montaggio: Laurence Briaud. – interpreti e personaggi: Denis Podalydès (Philip), Léa Seydoux (l’amante inglese), Anoux Grinberg (la moglie), Emmanuelle Devos (Rosalie), Rebecca Marder (la studentessa), Miglen Mirtchev (Ivan Passer), Madalina Constantin (la ceca). – distribuzione: No Mad Entertaiment – durata: un’ora e 45 minuti

 

 

 

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