“Parasite” di Bong Joon-ho

di Aldo Viganò.

In italiano si dice “parassita” (in inglese e in francese “parasite” e in coreano – sembra di capire  -“Gisaengchung”) di un «organismo animale o vegetale che vive alle spese di un altro» (Devoto-Oli).  E, conseguentemente al proprio titolo, l’ultimo film del coreano Bong Joon-ho (pur con qualche esagerazione premiato con la Palma d’oro all’ultimo Festival di Cannes) racconta di una famiglia che riesce a farsi assumere dai proprietari di una lussuosa residenza del quartiere più ricco di Seoul, procedendo separatamente e fingendo di non conoscersi.

L’operazione viene condotta uno alla volta, Dapprima il figlio, il quale riceve con sorpresa e con gioia, ma anche col secondo fine di tenergli “caldo” il posto, l’incarico di diventare insegnante privato della primogenita dei padroni di casa, da un poco più anziano compagno di scuola, giunto in età di frequentare gli studi universitari. Poi, la sua sorella, che in virtù della sua capacità a disegnare viene spacciata per educatrice artistica del bambino dal comportamento “caratteriale”. Quindi, in veloce crescendo, dopo di essersi liberati con l’inganno di chi già svolgeva questo lavoro, sarà la volta del padre in veste di autista e della madre in quello di cameriera tuttofare.

Il salto, dallo sporco sottoscala, umido e infestato dagli insetti, in cui i quattro avevano vissuto sinora alla lussuosa villa con giardino dei ricchi signori Park, riempie di giubilo la famiglia Kim, che ormai si sente “arrivata”, tanto che una sera in cui i padroni sono fuori essi possono festeggiare in salotto con generoso consumo di alcolici.

Ma proprio allora, mentre fuori infuria il temporale che inonderà l’intera città, dai sotterranei della villa – adibiti (come sembra accada veramente) a bunker preventivo nel timore di un potenziale attacco atomico della Corea del Nord – emergono, al seguito dall’intervento con inganno della ex cameriera, i fantasmi del passato e il pericolo di una guerra omicida e orrorifica tra poveri.

Narrativamente costruito come un apologo pur un po’ schematico sulla lotta di classe, “Parasite” riscatta però i suoi troppo dichiarati intenti ideologici e “pedagogici”, costruendo tutta la sua prima parte su un divertente tono ironico, non privo di gag decisamente comici.

Poi, con l’avvento dell’anziana coppia abitante del sottosuolo, qualcosa nel film cambia decisamente. L’ironia lascia il posto a situazioni sempre più drammatiche. I coltelli da cucina non tardano a bagnarsi del sangue degli altri. E, di conseguenza, anche la forza delle immagini tende a farsi più imprecisa, rivelando sin troppo i propri intenti didascalici.

Anche se alquanto sopravvaluto, comunque, il film di Bong Joon-ho (classe 1969) si rivela nel suo complesso abile ed efficace sia nel costruire i personaggi, sia nel descrivere (senza indulgenza e senza alcuna complicità) la situazione sociale e politica di un paese solo geograficamente tanto lontano da noi occidentali.

 

 

PARASITE

(“Gisaengchung”, Corea del Sud 2019) regia e soggetto: Bong Joon-ho – sceneggiatura: Bong Joon-ho e Han Jiwon – fotografia: Hong Kyung-pyo – musica: Jung Jae-il – scenografia: Lee Ha-jun – costumi: Choi Se-yeon – montaggio: Yang Join-mo. Interpreti e personaggi: Song Kang-ho (Kim Ki-taek), Lee Sun-kyun (sig. Park), Cho Yeo-jeong (Choi Yeon-kyo), Choi Woo-shik (Kim Ki-woo), Park So-dam (Kim Ki-jung), Lee Jung-eun (Gook Moon-gwang), Park Myeong-hoon (Geun-se), Chang Hyae-jin (Kim Chung-sook), Jung Ziso (Park Da-hye), Jung Hyeon-Jun (Park Da-song), Park Seo-joon (Min-hyuk). distribuzione: Academy Two – durata: due ora e 12 minuti

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