Clip, si gira!

di R.V.
Lorenzo Vignolo è uno dei più affermati registi di video musicali, ma da qualche anno è passato anche al cinema, dirigendo commedie.

HA REALIZZATO OLTRE CENTO VIDEOCLIP CON GRUPPI E CANTANTI DI PRIMO PIANO, ha firmato due regie e mezza, è uno dei autori più ricercati della scena video musicale italiana. Eppure Lorenzo Vignolo era semplicemente partito con gli amici da un’aula del Polo Universitario di Genova, partecipando a un concorso di corti per il centenario del cinema. L’ha vinto e da allora non si è più fermato. Video per Mao, Liftiba, Baustelle, Subsonica, Irene Grandi, Alexia, Max Gazzé e tanti altri, 500! con gli amici genovesi, e poi Tutti all’attacco!, un film con Massimo Ceccherini, il calcio e i cinesi di Prato. Oppure Workers – Pronti a tutto, con Francesco Pannofino, Dario Bandiera, Nicole Grimaudo.

«A metà degli anni ’90, avevo conosciuto Andrea Bruschi da pochissimi mesi all’università e siamo subito partiti col cinema. Abbiamo fatto un primo corto di prova, abbiamo formato Zerobudget e siamo partiti per la Mostra di Venezia, dove ci hanno detto che c’era questo concorso della rivista Duel e di Match Music per raccontare cento anni di cinema in cento secondi. Siamo tornati dagli amici all’università e un giorno, chiacchierando, uno di loro disse: te l’immagini andare alla cassa di un supermercato e chiedere a che ora cominciano gli spettacoli? Così è nata l’idea del film, in cui un ragazzo torna al suo quartiere dopo anni ed entra in un supermercato dove prima c’era un cinema. L’abbiamo girato con una telecamera presa in prestito da TelePace e abbiamo vinto il concorso! A quel punto, tutto s’è messo in moto: abbiamo conosciuto Robbiano, Giancarlo Giraud l’ha proiettato al Club Amici del Cinema, da lì il film ha poi girato tutta l’Italia in un’antologia di corti… Ed è stata subito una scuola importante: essere costretti a raccontare una storia in cento secondi ti toglie tutte le prolissità autoriali. Il premio consisteva poi nel finanziamento per un corto in pellicola, ma i soldi non li abbiamo mai visti. Eravamo ragazzi, ci hanno un po’ intortati…»

Ti sei poi specializzato in videoclip: ma è una scuola utile per poi passare al lungometraggio, o si rischia di abituarsi a privilegiare l’impatto visivo sul respiro narrativo?

Ci sono due modi di fare i video. Uno più pubblicitario, attento a look, immagine, fashion. E uno più attento alla narrazione, che è quello che ho fatto io. Dopo quindici anni di video musicali posso dire che come minimo mi hanno dato sicurezza, in parte perché se vedi i tuoi video passare ogni giorno sulla rete nazionale più importante, non passi più il tempo a chiederti se sei bravo o meno. E poi perché acquisti esperienza sul set, ti permettono di spurgare le velleità estetiche, di voler far vedere quanto sei bravo a fare i movimenti di macchina, e invece ti concentri di più sul racconto, la scrittura, la recitazione. E’ una buona palestra e anticamera.

Dopo l’esperienza ligure di 500!, con Robbiano, Zingirian e gli altri della banda, c’è stato l’esordio da professionista puro nel lungometraggio con Massimo Ceccherini in Tutti all’attacco

«Ero stato chiamato sul set una settimana prima che iniziassero le riprese, quindi non ho potuto fare una scelta mia di cast, sceneggiatura, troupe tecnica. Dovevo solo gestire quello che già c’era, fare un lavoro da professionista. Per di più, avevo a che fare con un tipo di comicità di cui non sono appassionato, e che a volte dubitavo funzionasse davvero o no, così chiedevo a Ceccherini: ma sei sicuro che questo sia divertente? Alla fine tenevo quello che mi sembrava funzionasse meglio. Marco Giusti ha parlato bene del film, ma mi ha un po’ rimproverato di aver trattenuto Ceccherini, di aver fatto un suo film senza parolacce e volgarità. E’ vero, ho un po’ asciugato questo aspetto: per alcuni sarà una colpa, per altri ho presentato un Ceccherini più ripulito. Comunque ho permesso di realizzare un film che altrimenti rischiava di finir male.

E Workers?

Quello è un lavoro più mio. C’è lo stesso produttore del film di Ceccherini, Galliano Juso, quello di Tatanka. Aveva questo progetto di commedia sulla disoccupazione giovanile in tre episodi, che pensava di far dirigere a tre registi diversi, poi mi ha chiesto di farlo tutto io. Così ho potuto lavorare col mio sceneggiatore, prepararlo bene e sentirlo molto più mio.

E’ un’altra commedia: è il genere in cui ti ritrovi meglio, oppure è semplicemente il genere più frequentato dal cinema italiano?

Guardando anche i miei video musicali, mi accorgo che molti in realtà sono drammatici. Ma uno non deve stare a pensare prima che stile ha, altrimenti sei morto. Sono le opere finite che dicono chi sei. Comunque, una risata cerco sempre di farla fare, anche se parlo di cose serie, anche se dico cose terribili. Vengo dalla provincia, e sono anche abituato a certi personaggi brillanti e drammatici al tempo stesso. E mi piacciono i film che in realtà non sai mai bene da che parte stiano andando, se verso la commedia o verso il dramma.

Qualche esempio?

Alexander Payne, il regista di Paradiso amaro, uno che sa raccontare storie di profonda umanità con una struttura drammatica e momenti da commedia. Mi piace l’umanità che esce fuori dai suoi film. E di recente mi è piaciuto molto Zoran il mio nipote scemo, è il tipo di film in cui mi piace molto il tono adottato. Invece non mi interessa una commedia intesa come sfilza di battute e recitazione sopra le righe, preferisco i semitoni.

Si può comunque dire che sei la testimonianza di come si possa riuscire a fare film e clip ad alti livelli partendo da un semplice video da esordiente ragazzino spedito a un concorso…

Sì, la buona notizia è quella: partito da zero, senza scuola di cinema, senza Centro Sperimentale, senza il gruppo di amici che uno si fa in quegli anni e che poi lo accompagna nell’ambiente. Ho mandato un video a un concorso, l’ho vinto e da allora eccomi qua: sempre come un outsider.

(R.V.)

Postato in Numero 100, Registi.

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