La prima volta di Gassman

gassmanVittorio Gassman appare per la prima volta nel porto di Genova, inquadrato in primo piano dal basso, col volto giovanissimo stagliato contro il cielo, i capelli misteriosamente biondi. E’ la prima immagine in assoluto di Gassman al cinema, e il film è Preludio d’amore, girato subito dopo la guerra a Camogli, con alcune sequenze genovesi.
Un film leggendario per tanti motivi: non solo per l’esordio di un Gassman ventitreenne sullo schermo, ma perché ad essere coinvolti nella produzione erano parecchi nomi di primo piano dell’intellighenzia cinematografica ligure dell’epoca, dal regista Giovanni Paolucci al direttore della fotografia Piero Portalupi, dal sestrese Cesare Stagnaro a Gianfranco Bo o Enrico Rossetti, fino agli attori Claudio Gora e Lauro Gazzolo. E l’intera produzione dell’Albatros Film era stata finanziata a livello locale.

Di Preludio d’amore si favoleggiava da decenni, ma in pratica non lo si riusciva più a vedere da quando era uscito, e cioè nella stagione 1946-47. A dicembre, è stato finalmente recuperato e proiettato a Camogli, dove è appunto in gran parte ambientato. La vicenda, a carattere melodrammatico, riguarda un reduce di guerra (Gassman, appunto) che torna nella sua Camogli ma scopre che la fidanzata (Marina Berti) nel frattempo s’è messa con un losco trafficante (Massimo Girotti), membro di una banda che utilizza l’abbazia di San Fruttuoso per nascondere la propria refurtiva.

Ma il vero interesse degli autori del film non riguarda tanto l’intrigo, quanto il rapporto che viene a instaurarsi tra i personaggi e il paesaggio. Ne risulta così una delle migliori rappresentazioni di Camogli sullo schermo, anche perché Paolucci era un ottimo documentarista (nato a Pallanza, genovese d’adozione, “intellettuale cattolico molto introverso” secondo la definizione di Gora) e la fotografia era di un grande operatore come Piero Portalupi, che non a caso ottenne per questo film il Nastro d’argento.

Entrambi, tra l’altro, insegnavano al Centro Sperimentale di Roma, e le immagini del film hanno la minuziosa accuratezza formale tipica del documentario dell’epoca. Oltre al borgo, si vedono vari scorci della costa, fino alla tonnara di Punta Chiappa e a Porto Pidocchio, vale a dire la zona della Foce che secondo alcuni venne così battezzata proprio da Gassman. Il quale Gassman, com’è noto, non ha mai amato tutta questa prima parte della sua attività cinematografica, non perdonava al regista di avergli
voluto fare i capelli biondi, e ha sempre ricordato i suoi film col tono sprezzante del grande attore teatrale che si prestava distrattamente al cinema.

Preludio d’amore non è però l’unico film “ligure” recuperato dall’oblio. Il Comune di Camogli e la genovese Corigraf hanno infatti ripescato addirittura un titolo di cui s’era completamente persa la memoria: Al mare pago io (1963), prodotto dall’imprenditore italo-svizzero Andrea Nunnari, diretto da Max Gauthier e interpretato dal mimo René Quellet (piuttosto noto in patria) al fianco di un’attrice francese all’epoca in ascesa come Yvonne Monlaur (Le spose di Dracula ecc.). La commedia ha i modi stralunati tipici dei film imperniati su un mimo, e racconta di un bislacco pastore svizzero (Quellet) che riceve un’eredità e decide di venirsela a godere a Camogli. Il regista diceva di aver voluto esplicitamente citare la commedia dell’arte, ed infatti al centro della scena camogliese c’è una sorta di Pulcinella, incarnato da Carlo Pisacane, vale a dire il mitico Capannelle dei Soliti ignoti.

Capannelle è un ubriacone scansafatiche che si aggira tra bar e piazzette camogliesi, ruba una botte di vino, fa infuriare i negozianti. Il personaggio di Quellet è invece una specie di Pierrot, che in una delle scene più riuscite del film fa aprire e chiudere gli ombrelloni sulla spiaggia con un semplice tocco magico. E attorno a loro c’è un’umanità ben poco abituale nella severa tradizione del cinema ligure dell’epoca, a cominciare da una stagionata prostituta che esercita apertamente la sua professione, secondo un’allegra indifferenza per i vecchi moralismi che percorre tutto il film.

Al mare pago io è la testimonianza stravagante di un cinema dei primi anni sessanta in fase di profonda trasformazione, tra voglia di novità (riprese tutte in esterni, rottura del racconto convenzionale, irrisione della morale bigotta ecc.) e una sorta di improvvisazione dilettantesca. Resta la curiosità di questa Liguria colta tra leggerezza e malinconia, dove tutti parlano napoletano come in una storia di Pulcinella. E resta il recupero di un film di cui s’era completamente persa traccia, mai uscito in Italia e nemmeno riportato sulle filmografie degli attori che vi prendono parte: recupero che Anna Zunino della Corigraf ha condotto partendo da qualche ritaglio di giornale conservato nell’archivio del Comune di Camogli. Alla proiezione era tra l’altro presente il figlio del produttore: “Mio padre, che adesso ha 88 anni, era un imprenditore nel campo dell’abbigliamento e della moda. Aveva voluto sperimentare il cinema come aveva fatto con tanti altri settori, ma gli andò male. Continuò a frequentare per un po’ il suo amico Enzo Ocone a Cinecittà, entrò in qualche altra produzione, ma poi lasciò perdere. Diceva: Al mare pago io!, ho pagato e ho voltato pagina”.

(di Renato Venturelli)

Postato in Eventi, Liguria d'essai, Numero 96.

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