Aki Kaurismäki – Uomini di buona volontà


Aki KaurismakiGli intenditori che conoscono Aki Kaurismäki e da anni vanno regolarmente a vedere i suoi film sanno che devono aspettarsi dal regista finlandese non tanto delle sorprese quanto un altro dei suoi bei racconti. Se ci fossero delle sorprese, sarebbe come trovarsi inaspettatamente davanti a un altro Kaurismäki, sarebbe come non riconoscere più l’amico di tanti film, da quel primo lungo di finzione, Delitto e castigo, del 1983, poi giù per Amleto si mette in affari e La fiammiferaia, e i film con i Leningrad Cowboys, rockettari tradizionalisti dal grande ciuffo e dalle scarpe appuntite, e ancora Ho affittato un killer, Vita da Bohème o quella singolare commedia sulla disoccupazione che è Nuvole in viaggio, fino a un apologo delicato e sapiente come L’uomo senza passato (e abbiamo citato solo la metà dei suoi lavori). Chi va a vedere un film di Kaurismäki sa cosa si aspetta e cosa vuole, ha in mente come sarà il film eppure sa che anche stavolta resterà sorpreso: il film sarà una storia di gente umile, sarà un po’ triste perché il mondo è triste, ma sarà anche molto saporito e umoristico perché i personaggi di Kaurismäki non vogliono lasciarsi inghiottire dalla tristezza del mondo; lo stile sarà surreale e al tempo stesso realistico, il racconto può avere un tono fiabesco, gli interni delle case saranno spogli e lindi, i colori dei muri ci stupiranno, le inquadrature saranno spesso frontali e il montaggio sarà di sicuro limpidissimo. Ogni spettatore che conosce Kaurismäki sa insomma che il suo nuovo film non può che essere un altro sorprendente film di Kaurismäki.
Miracolo a Le Havre (che in originale si chiama semplicemente Le Havre: la semplicità è una delle qualità più amate da AK) è, se possibile, ancora più kaurismäkiano dei film precedenti. Chi ricorda un suo vecchio film di vent’anni fa, Vita da Bohème, ha forse in mente uno dei protagonisti, interpretato dall’attore André Wilms: il personaggio si chiamava Marcel Marx. In Le Havre Marcel riappare, interpretato sempre dallo stesso attore. Marcel non fa più l’aspirante scrittore, è un lustrascarpe, non sta più a Parigi ma a Le Havre, dove lustra le scarpe alla stazione ferroviaria e dove, fedele al suo cognome, si prende cura degli ultimi della società. Non ha cambiato il modo d’essere molto signorile, pur vivendo in serena povertà, e non ha abbandonato il suo stile, elegante, sobrio, preciso, calmo, anche estroso quando ci vuole. Marcel vive con la moglie Arletty e la cagnetta Laika, animal-attrice che ha già recitato in altri film di Kaurismäki, anche perché è proprio la sua cagnetta. I tre vivono in pace in una casettina che è precisa precisa a quella che lo spettatore si aspetta sia la casa di una famiglia kaurismäkiana.
Non è facile fare oggi il lustrascarpe e guadagnarci di che vivere. Quasi tutti portano le scarpe da ginnastica e su quelle il lucido non va bene. I pochi soldi che si tirano su non si portano in banca: basta la scatola di latta nel cassetto. Così vanno il mondo e le vita a Le Havre. Ma succede qualcosa; anzi, di cose ne succedono due. La prima: Arletty si ammala. Quando chiede al dottore se ci sono speranze, lui le risponde che restano sempre i miracoli. Al che lei, consapevole e saggia, ribatte: “Non nel mio quartiere”. La seconda novità è che Marcel incontra Idrissa, un ragazzo nero che vuole raggiungere la madre a Londra. E come non dargli una mano secondo le sante regole dei personaggi di Kaurismäki? Così, si intrecciano nel film una tragedia personale e il dramma dei tanti che oggi percorrono il mondo. Bisogna faire face, come dicono i francesi, guardare in faccia le cose e non lasciarsene travolgere. Il piccolo universo dove si vive una vita giusta e onesta non va neppure incrinato. Non c’è mai un collasso nel cinema di Kaurismäki. Ci sono ostacoli, problemi, guai. Allora, ci si tira su le maniche, senza quasi scomporsi, e si va avanti: anche perché sono in tanti ad aiutarti se abiti in un posto di brava gente. Uno dei punti di forza – e bellezza – del film è la descrizione di un quartiere, di una città, di un porto di mare, della strada con la panettiera, il verduriere, i pescatori, i marinai e i perdigiorno, i clienti dell’osteria “La Madame” con il juke-box e i tanghi di Carlos Gardel. E non ci sono solo i tanghi ma anche dei blues (e il blu è il colore dominante…), canzonette e il rock di Little Bob, detto l’Elvis di Le Havre. E formaggio, uova a colazione, vino bianco, calvados, anisette. Sembra di essere in un film francese di una volta dove può venir fuori da dietro l’angolo Jean Gabin o la grande Arletty di Amanti perduti di Marcel Carné e Jacques Prévert. La miscela tra il realismo poetico del cinema francese degli anni Trenta e Quaranta e l’irrealismo amorevole di Kaurismäki è commovente e rinfrescante. Qualcuno potrà dire che è un mondo giù di moda, anacronistico: troppa dignità, troppo rispetto, solidarietà a piene mani, liberté egalité e fraternité dappertutto, persino il severo e flemmatico commissario di polizia, Monsieur Monet (altro cognome importante), è buono come il pane. Sì, di sicuro è un mondo del tutto al di fuori dal nostro mondo: ci fosse davvero un mondo così. Dove per aiutare il ragazzo nero un certo Marcel Marx si fa passare, senza battere ciglio, per un nero albino. E dove c’è posto – giusta ricompensa – anche per un miracolo. Cinema sentimentale. Semplice e saporito. Come una baguette con il camembert. Semplice e fiorito: come un ciliegio in fiore. (E la stupenda scena dell’ananas?)

(di Bruno Fornara)

Postato in Numero 95, Registi.

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