Cleo Moore, la regina del pin-up noir

di Renato Venturelli.

Doveva essere una delle alternative a Marilyn, finì per diventare la bad girl di un pugno di “pin-up noir” anni ’50, portando in una serie di B-movies il suo fisico esplosivo e il suo personaggio aggressivo e popolare. Passò dalla Rko alla Universal alla Columbia, all’inizio fu anche Myrna, la ragazza di Neve rossa che Robert Ryan costringe a parlare, esponendola alla vendetta dei criminali. E prese parte ad altri bei noir, come Mondo equivoco di Joseph Newman (molto amato da Ellroy)  o I ragni della metropoli di Ted Tetzlaff. Ma il nucleo centrale dei film della bionda e procace Cleo Moore resta quello al fianco di Hugo Haas, curiosa – e disprezzatissima – figura di attore-regista di cui però prima o poi bisognerà occuparsi, perché ha una personalità tutt’altro che banale.

Cleouna Moore proveniva dalla Louisiana, dove era stata per sei mesi anche moglie di un figlio del potentissimo governatore Huey Long, quello di Tutti gli uomini del re. Arrivata in California, aveva subito attirato l’attenzione degli studios, ma restando impiegata in ruoli secondari. Ed è a quel punto che venne adocchiata da Hugo Haas, attore cecoslovacco scappato dal nazismo e trasferitosi a Hollywood, deciso a riprendere anche una carriera da regista già avviata in patria.

La cosa curiosa di Haas è che quasi tutti i film diretti negli Stati Uniti – una decina, sempre negli anni ’50 – riguardano una serie di situazioni ossessive, in un’infinita variazione ai confini delle mitologie noir, o decisamente al loro interno. E le vicende di questi film ruotano per lo più attorno a un uomo di mezz’età che crede di ricominciare a vivere accanto a una donna giovane, bella e vistosa, ma finisce invece per esserne travolto.

Tra gli aspetti più originali dei film di Haas c’è il fatto che lui stesso interpretava il protagonista maschile umiliato, mentre per la partner destinata a infierire su di lui non aveva dubbi. Prima provò un paio di volte Beverly Michaels, dalle lunghissime gambe, sia in versione darkissima e perennemente scocciata (La follia del silenzio, 1951), sia come moglie rassegnata e dimessa (The Girl on the Bridge, 1951), sempre e comunque capace di devastare con la sua presenza i sogni del personaggio di Haas.

Ma dal momento in cui scoprì Cleo Moore, Haas non ebbe più dubbi: sarebbe stata lei la musa della sua epopea low-budget. Il film che la impose come protagonista, La confessione della ragazza (1953), comincia subito con Cleo in costume da bagno, che si rialza precipitosamente da una spiaggia per irrompere così svestita nel bel mezzo del locale in cui lavora come cameriera. Da brava bad girl, deruberà il suo principale, si farà un paio d’anni di prigione, e una volta uscita andrà a lavorare nel locale gestito da Hugo Haas, aspettando il momento buono per recuperare il bottino nascosto.

Fin da questo film, Cleo Moore delinea subito il personaggio che l’accompagnerà in tutta la collaborazione con Haas: quello della ragazza di bassa estrazione sociale, disposta a tutto nella lotta per la vita, anche se spesso con un suo particolarissimo codice morale. E se per entrare nel mondo sfrutta la sua esplosività fisica, si dimostra poi quasi sempre indifferente a qualsiasi pulsione erotica, considerando l’attrazione sessuale poco più di un utile oggetto di scambio.

L’anno dopo esce uno dei film migliori della serie: The Other Woman (1954), dove è un’attricetta chiamata a interpretare una breve scena sul set di un film, ma subito umiliata e bocciata dal regista (interpretato dallo stesso Hugo Haas, in versione come quasi sempre autoironica): rabbiosa per il trattamento subito, cercherà di vendicarsi ricattandolo e rovinandogli la vita. E nello stesso anno sarà protagonista di The Bait, una parabola morale a dire il vero più scialba, anche se apprezzata dal John Cocchi di Second Feature, che lo considera il miglior film di Haas. In questo caso è una ragazza madre di provincia che lavora come cameriera e accetta di sposare un cercatore d’oro di mezz’età (il solito Haas, ovviamente), seguendolo sui monti per il consueto triangolo tra lui, lei e un altro cercatore più giovane. Il film è tra l’altro introdotto da un bel prologo, in cui un uomo elegante sale la scala dietro le quinte di un teatro, seguito nel buio da un semplice occhio di bue, e afferma di essere il diavolo in persona. L’erotismo di Cleo Moore, però, non è il vero elemento che infiamma la vicenda di Bait, ma solo uno strumento: l’autentico demone del film è il denaro, capace di corrompere le persone fino a spingerle alle soglie della follia, facendo scivolare i modelli di riferimento dal Postino suona sempre due volte di James Cain al Tesoro della Sierra Madre di Traven / Huston.

Con Haas, Cleo Moore interpreta anche Strange Fascination, Hold Back Tomorrow, Thy Neighbor Wife, Hit and RunStrange Fascination è particolarmente interessante, in quanto il suo personaggio è quello di una ballerina avventuriera, che seduce un celebre musicista europeo trasferitosi negli Stati Uniti e gli rovina la vita. In modo più esplicito di altri film di Haas, Strange Fascination è intriso di sotterranei spunti personali, in quanto non solo il suo personaggio è un artista che arriva dall’Europa con una carriera già consolidata alle spalle (come lo stesso Haas), ma per di più è un musicista e si chiama Paul, come il fratello di Haas (Pavel) nella vita reale, un noto compositore morto in un campo di sterminio mentre Haas e la moglie riuscivano a mettersi in salvo negli Stati Uniti. E il personaggio di Cleo Moore viene per certi versi a rappresentare l’America stessa, attrattiva, seducente, culturalmente inferiore ma vitale, e al tempo stesso anche volubile, fondata sul denaro, pronta a tradire i sogni dell’immigrato dopo aver fatto vacillare la sua stessa identità. Se Haas ha raccontato in quasi tutti i suoi film una serie di variazioni attorno a questa storia noir è forse per rappresentare il suo stesso Sogno Americano, in cui viene sempre sedotto da quella bellezza bionda, popolare, americanissima, pragmatica, ma destinata quasi sempre a tradirlo e rovinarlo.

Thy Neighbor’s Wife e Hold Back Tomorrow si discosteranno in parte da questa formula, in quanto il primo riguarda un marito inflessibile (Haas) e una moglie adultera ma è ambientato nella Mitteleuropa, mentre nell’altro Cleo Moore è una prostituta dei bassifondi, che dopo aver tentato il suicidio va a esaudire l’ultimo desiderio di un condannato a morte, passando la notte nella sua cella in attesa dell’esecuzione. Un film tutto all’insegna della morte, dove però non figura Haas come protagonista maschile.

A riportarci in pieno clima da Postino sarà invece nel 1957 Hit and Run, dove Cleo Moore è un’attricetta squattrinata che seduce un commerciante d’auto di mezz’età (ancora Haas, s’intende) per sistemarsi, ma si mette poi d’accordo con un lavorante più giovane per eliminarlo. E’ uno dei titoli più esemplari della filmografia di Cleo Moore, con la sua figura dalla sensualità debordante che si staglia nel contesto mediocre del cimitero d’auto usate e della casetta in cui vive col marito tra cucina e tinello. C’è sempre nei personaggi di Cleo Moore questo aspetto di donna fisicamente prorompente intrappolata in una modesta estrazione sociale, da pin up dell’America profonda condannata a vivere una squallida esistenza di secondo piano. Nel film compare anche un’altra figura femminile dal fisico ancor più imponente: Dolores Reed, per qualche tempo compagna nella vita di Hugo Haas, morta poi nel 1963 a trentun anni per un’overdose, dopo essere stata coinvolta in una rapina dal suo nuovo compagno, un eroinomane pregiudicato.

Dopo lo scarso successo di Hit and Run – i film di Haas rimasero commercialmente marginali, oltre che maltrattati dalla critica – Cleo Moore finì per ritirarsi dal cinema. La confessione di una ragazza, The Other Woman e Hit and Run restano testimonianze esemplari di questa protagonista di seconda fila del “pin-up noir” anni ’50, ma al di fuori del ciclo con Hugo Haas c’è almeno un altro titolo da ricordare. Si tratta di L’arma del ricatto di Lewis Seiler, in originale Over-Exposed (1956), dove Cleo ha il solito ingresso in scena travolgente, mentre protesta vigorosamente nel corso di una retata di prostitute fatta dalla polizia. Bionda, vistosa, aggressiva, senza un dollaro in tasca, con una notte davanti, finirà per agganciare un anziano fotografo, posare per lui, imparare il mestiere e trasferirsi quindi a New York per diventare una star dei locali notturni proprio come fotografa di un night alla moda.

Ci sarà anche una storia di ricatti e malavita, ma il cuore di Over-Exposed sta nel personaggio di Cleo Moore, nel modo prepotente in cui s’impone, aggirandosi in abiti succinti per fare le sue foto tra i tavoli del locale, poi sempre più disinvolta nello scalare la notorietà, magari vestendo le mise attillatissime create per lei da Jean Luis, celebre costumista della Columbia. Un film in tutto e per tutto incentrato sull’immagine (e sul suo rapporto col denaro), dalle fotografie che scatta per lavoro alle questioni morali che prima o poi comporta il fotografare. E non finisce qui, perché quando viene chiamata a partecipare a un programma tv, usa la sua apparizione per guidare i telespettatori tra le stanze della sua casa, trasformando ogni ambiente in pretesto per una promozione pubblicitaria. E’ una scena in cui culmina la cinica disinvoltura del suo personaggio e testimonia la società dell’immagine in quella che comincia ad essere un’era televisiva: e a questo punto diventa forse sintomatico che l’anno dopo Cleo Moore abbandoni il cinema. Sposerà un tycoon del mercato immobiliare, diventerà una donna d’affari e morirà nel 1973 a nemmeno cinquant’anni.

 

 

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