TRE PIANI di Nanni Moretti

di Aldo Viganò.

È almeno dai tempi di Aprile (1998) che Nanni Moretti cerca (quasi sempre invano) di liberarsi dall’autobiografismo che si personificava nei film interpretati dal personaggio di Michele Apicella (ma a volte anche da un più esplicito “se stesso”), che pur gli avevano dato un enorme successo (non solo in Italia) facendone, tra la fine degli anni Settanta e i primi anni Ottanta (da Io sono un autarchico a Palombella rossa) un punto di riferimento generazionale nonché l’autore cinematografico prediletto degli spettatori “radical-chic” affascinati dai suoi “girotondi” oltre che dalla descrizione del suo “caimano” e dai diaristici giri in vespa per le strade romane.

Da questa voglia di cambiare sono nati così, pur con esiti sovente incerti, film più intimi e con intenti più narrativi, quali La stanza del figlio, Habemus papam e Mia madre.

Su questa stessa linea ecco ora che, per la prima volta nella sua carriera, avvicinandosi ormai ai settant’anni, Moretti ha scelto di mettere in scena (e di interpretare) una storia scritta da altri (il romanziere israeliano Eshkol Nevo) consegnandoci un film che anche in questa nuova veste ha tutti i pregi, ma anche i tanti difetti di tutto l’altro suo cinema.

Anzi, forse è proprio questa nuova matrice letteraria, nonché la sua relegazione come attore in un ruolo un po’ marginale, che finisce soprattutto col portare in primo piano la sua fragilità come regista e soprattutto come sceneggiatore, che ritrova qui la collaborazione della genovese Federica Pontremoli, già sua collaboratrice per Il caimano e Habemus Papam.

Trasferita come ambientazione da Telaviv in una poco definita città italiana, la vicenda di Tre piani di Moretti si limita a raccontare le storie private di altrettante famiglie borghesi, ciascuna composta da tre persone: padre, madre e figlio.

Pur cercando di negarne l’andamento ad episodi scelto da Nevo, l’essenza dell’assunto narrativo resta fedele al romanzo, ma col trasferimento logistico inevitabilmente vi esclude ogni riferimento storico ambientale, senza avvertire il bisogno di sostituirlo con un altro e accentuandone invece le implicazioni psicanalitiche, tanto da porre al centro del film personaggi che non si definiscono tanto in base a quello che fanno quanto come testimoni delle loro ossessioni patologiche.

Al primo piano della palazzina abitano due professionisti in carriera (Lucio / Riccardo Scamarcio e Sara / Elena Lietti) con figlia adolescente che parcheggiano sovente presso un’anziana coppia di vicini (Renato / Paolo Graziosi e Giovanna / Anna Bonaiuto) che gli eventi e l’alzheimer avanzato del vecchio portano i due giovani genitori a sospettare episodi non confessati di sessualità minorile. Con la conseguenza che con il passare dei mesi e degli anni la loro vita diventa sempre più un inferno complicato anche dalla disponibilità di Lucio a cedere alle esplicite avances della minorenne nipote degli anziani dirimpettai da loro sospettati di violenza sulla figlia.

Se al piano di sotto, il dramma latita sino alla rivelazione finale, questa storia s’intreccia con quella che si svolge al secondo piano dove abita da sola la neo mamma Monica (Alba Rohrwacher) –  lasciata troppo spesso senza appoggio dal marito Giorgio (Adriano Giannini) che lavora all’estero –  la quale tra l’altro deve assistere anche una nonna che è in casa di cura per avanzato stadio di demenza.

All’ultimo piano della palazzina, infine, abita una coppia di maturi coniugi (entrambi in carriera forense) che vivono in modo opposto le conseguenze dell’incidente mortale causato (come si vede nella prima sequenza del film) in stato di ubriachezza dal figlio appena maggiorenne, il quale ora chiede loro aiuto. Mentre il padre (Vittorio / Nanni Moretti) resta inflessibile nel suo ruolo di uomo di legge tutto d’un pezzo, la madre Dora (Margherita Buy) affonda sempre più nei propri sensi di colpa, con la conseguenza che, scontati i cinque anni di carcere per l’uccisione della passante, ad Andrea (questo il nome del figlio interpretato da Alessandro Sperduti) non resta altro che respingerne ogni tentativo di riparazione e condannare la madre (Moretti nel frattempo è morto per cause naturali) alla più completa solitudine.

Paura per i figli. Solitudine delle donne. Difficoltà di dialogo tra le generazioni.

Messo in scena senza un briciolo di auto-ironia ma con essenziale rispetto tematico del racconto di Nevo, Tre piani ha il limite di non approfondire mai i personaggi, lasciandoli di fatto naufragare nelle loro patologie.

Ne risulta così il tono di un dramma esistenziale (soprattutto nella prima parte del film girato anche abbastanza bene) che non riesce però mai a dimettere la sempre più fastidiosa apparenza di un sommario di turbe mentali, che a lungo andare finiscono inesorabilmente col soffocare l’autonomia dei personaggi, lasciandoli così naufragare nelle loro sofferenze sin troppo esibite e in uno spazio storico-ambientale fondamentalmente privo di definizione e di approfondimento.

Certo è che il cinema (quello vero) è tutto un’altra cosa: certo meglio scritto nonché messo in scena in modo più inventivo.

 

TRE PIANI

(Italia-Francia, 2021)  Regia: Nanni Moretti – soggetto: dal romanzo di Eshkol Nevo – sceneggiatura: Nanni Moretti, Federica Pontremoli, Valia Santella – fotografia: Michele D’Attanasio – musica: Franco Piersanti – scenografia: Paola Bizzarri – costumi: Valentina Taviani – montaggio: Clelio Benevento.  interpreti e personaggi: Margherita Buy (Dora), Riccardo Scamarcio (Lucio), Alba Rohrwacher (Monica), Adriano Giannini (Giorgio), Elena Lietti (Sara), Alessandro Sperduti (Andrea), Denise Tantucci (Charlotte), Nanni Moretti (Vittorio), Anna Bonaiuto (Giovanna), Paolo Preziosi (Renato).  distribuzione: 01 Distribution – durata: un’ora e 59 minuti

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