“Nomadland” di Chloé Zhao

di Aldo Viganò.

Sospeso tra il documentario e la fiction, “Nomadland”, terzo lungometraggio firmato da Chloé Zhao (quasi quarantenne regista originaria di Pechino), è un film quanto meno tenero e curioso, in cui convivono la voglia di parlare del presente e la nostalgia del passato, l’attenzione per il paesaggio e la curiosità d’indagare i comportamenti degli esseri umani, la crisi economica innescata negli Usa dalla recessione immobiliare del 2008 e la riscoperta, cinquant’anni dopo, dello spirito comunitario degli hippies.

A sessant’anni, la vedova Fern, interpretata da un’incisiva Frances McDormand,  si ritrova sola e senza concrete possibilità di programmare il proprio futuro. Da decenni, ormai, era abituata a convivere con l’amato marito Bo nella cittadina industriale di Empire (Nevada), sorta intorno alla fabbrica locale di cartongesso. Ma ora che il marito è morto e l’impianto edilizio ha chiuso per la crisi, alla solitaria Fern non resta che vendere tutto quello che le rimane, comprarsi un furgone e attrezzarlo come casa per viverci. Fatto questo, Fern si mette sull’autostrada e va incontro a una nuova vita.

Come in seguito le dirà con una certa invidia sua sorella, Fern diventa così parte di una tradizione americana, facendo proprio il comportamento  che appartenne ai pionieri che si misero sulla via del West.

Solo che  al termine del suo tragitto non ci sono Eldorado da scoprire e neppure nuovi paesi da civilizzare. Ci sono solo pochi lavoretti che si possono fare: ora come “turnisti” invernali nei magazzini di Amazon e ora come “stagionali”, sempre mal pagati, con l’incarico di pulire cessi, o far da mangiare in un fastfood, o lavare vetri nei parchi nazionali estivi. Nulla che ricordi anche solo da lontano la corsa all’oro. Quello che fa Fern non le permette neppure di affrontare una singola spesa imprevista, quale quella impostale dal guasto del furgone, ribattezzato “Vanguard”, che è diventato ormai la sua nuova casa.

Per far fronte a questa spesa, Fern si trova così costretta a ricorrere a un prestito della sorella, permettendo al film una breve deviazione californiana, che nel dialogo familiare permette alla protagonista di rendersi conto della distanza che c’è ormai tra lei e il mondo “normale”, fatto di sensi di colpa e di scelte non realizzate.

La vita da nomade offre, infatti, a Fern la preziosa occasione per conoscere gli altri e solidarizzare con loro, imparando a parlare delle loro gioie e a vivere i loro dolori, partecipando della loro pur effimera compagnia. E quando è il caso anche alla loro dipartita.

Compiuta la scelta di mettere intorno alla McDormand (che con evidenza si trova molto a proprio agio in tale situazione) soprattutto attori presi dalla vita quotidiana e quindi “nomadi” per necessità o per vocazione, Chloé Zhao trova così anche uno stile personale per il proprio film, il quale punta con decisione sul dialogo tra il paesaggio (i tramonti sul deserto, le autostrade attraversate con i fari accesi, i labirinti rocciosi delle Badlands nel South Dakota, le grandi foreste di sequoie in California) e gli esseri umani senza casa che ne hanno fatto la loro dimora: i raduni accanto al fuoco, la  reciproca cooperazione, le malattie come il cancro che portano a pensare al suicidio, ma anche il coetaneo che sceglie infine di accudire suo nipote; sino alla riconosciuta guida della comunità che ha scelto di non dire mai addio, ma solo “ci vediamo in fondo alla strada”.

È proprio questo personale tocco stilistico che, se da una parte impedisce sovente a “Nomadland” di elevare il tono del racconto al di sopra del solo “documento”, dall’altra consente al film di accarezzare, con le sue lente immagini e il sotteso amore per l’umanità, la costante attenzione dello spettatore, ricevendone in cambio non solo il Leone d’oro a Venezia (dove nel settembre scorso “Nomadland” è stato presentato in prima mondiale) e due Golden Globe, oltre che sei nominations ai prossimi Premi Oscar.

 

 

 

 

 

NOMADLAND

(Nomadland, Usa 2020)  regia, sceneggiatura, montaggio: Chloé Zhao – soggetto: dal romanzo omonimo di Jessica Bruder – fotografia: Joshua James Richards – musica: Ludovico Einaudi – scenografia: Elizabeth Godar e Tom Obed – costumi: Hannah Peterson. interpreti e personaggi: Frances McDormand (Fern), David  Strathairn (David), Linda May (Linda),  Swankie (Swankie), Bob Wells (Bob), Derek Endres (Derek), Peter Spear (Peter), Gay De Forest (Gay), Patricia Grier (Patty), Angela Reves (Angela), Carl R. Hughes (Carl). distribuzione: Disney – durata: un’ora e 47 minuti

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