TFF 2020 – Intervista a Beniamino Catena (“Vera de Verdad”)

di Renato Venturelli.

Quasi vent’anni fa Beniamino Catena era stato al Torino Film Festival con “Pornodrome: una storia dal vivo” (2002), adesso ritorna fuori concorso dopo tanta tv, il successo di “Squadra antimafia”, “Fuoco amico”, “Rosy Abate”: e lo fa attraverso una storia tutta condotta sulle soglie del fantastico ma calata in un contesto assolutamente quotidiano, guardando al genere ma cercando al tempo stesso di smarcarsene.

“Il film racconta la storia di una bambina che all’improvviso scompare nel nulla e poi torna dopo qualche anno col corpo di una donna molto più adulta, e con misteriosi legami con un uomo che vive in Cile, dall’altra parte del pianeta”.

Il rapporto col genere c’è. Però…

“La considero una storia di fantascienza, ma raccontata con un iperrealismo totale, in modo da lasciare un po’ spiazzati: il fantastico nasce dalla vita di tutti i giorni. Il rapporto col genere comunque c’è, ed è profondo. Sono un appassionato di fantastico, di fantascienza. E questa è in fondo la storia di una ragazza aliena che cade sulla terra: solo che non ci sono i canoni del genere, abbiamo voluto fosse tutto più fluttuante”.

Com’è andata, rispetto alle produzioni televisive?

“C’è una differenza sostanziale a livello espressivo. E di libertà. Per fare “Vera de verdad” ci siamo sganciati dalla tv, e abbiamo cercato di fare il film nel modo più libero possibile. Ho girato per sottrazione: solo il minimo di parole necessarie, in modo da affidare poi il racconto il più possibile all’aspetto visivo. E a quello musicale: le musiche – dei Marlene Kunz, Paolo Bragaglia, Dan Solo – hanno echi carpenteriani”.

A proposito di Carpenter: anni fa avevi pubblicato una conversazione con lui.

“L’avevo incontrato vent’anni fa, quando era venuto al festival di Torino, e avevo poi pubblicato quella lunga conversazione su Alias. Adoro tutti i suoi film. Dovessi citare un solo titolo direi “La cosa”, ma sarebbe ingiusto perché mi piace tutto: “Il signore del male”, “Vampires”, “Distretto 13” e tutti i primi film. Lo amo così tanto che faccio fatica a scegliere, non posso escludere nulla. E questo film ho cercato di farlo il più secco possibile, sfruttando anche l’anamorfico: dal punto di vista stilistico l’ho fatto molto carpenteriano”.

Altri registi?

“Tanti, da Jacques Audiard a Terry Gilliam, a David Fincher: il miglior Alien l’ha fatto lui. Ma nessuno come Carpenter”.

Come è nata la produzione?

“E’ stato decisivo il rapporto con Simone Gandolfo e la sua casa di produzione Maccaia. Ci siamo incrociati in qualche serie tv e mi ha chiesto se avevo una storia per un film da girare in Liguria: avevo questo copione nel cassetto, scritto con Nicoletta Polledro e con Paola Mammini, sceneggiatrice di “Perfetti sconosciuti”. Abbiamo messo su una troupe piccola ma molto affiatata, e abbiamo fatto un lavoro da missionari: ma in piena libertà. Il promontorio di punta Crena dove la protagonista scompare si trova vicino a casa mia, lo frequento spesso, e mi è sempre sembrato un luogo spettacolare, perfetto per raccontare un salto nel vuoto: molto più impegnative, invece, le riprese in Cile, proprio dal punto di vista fisico”.

Il futuro immediato del film?

“Siamo in attesa di vedere cosa succede con la riapertura delle sale. Abbiamo già contatti con circuiti di distribuzione in Europa e in Sudamerica. Ma per ora ci dedichiamo ai festival, e intanto teniamo d’occhio le piattaforme. Certo, però, per le caratteristiche visive è un film che va visto in sala”.

E il titolo?

“Vorrei che uscisse dappertutto col titolo internazionale, “Vera de verdad”. Anche se il titolo italiano originale, “Io sono Vera”, è bello”.

Molti dicono che per il suo impianto visivo e narrativo non sembra nemmeno un film italiano…

“Certo, ed è verissimo: per metà è un film cileno!”

 

 

Postato in 38° Torino Film Festival.

I commenti sono chiusi.