“Pinocchio” di Matteo Garrone

di Aldo Viganò.
In questa nuova versione del romanzo di Collodi, lontana dalla accattivante simpatia del film di Comencini ma per fortuna anche dai fallimentari tentativi di personalizzazione di Nuti o Benigni, c’è l’episodico racconto del più celebre romanzo di formazione (da burattino a bambino, passando attraverso la degradazione ad asino) della letteratura italiana: una fiaba che da sempre piace più agli adulti che ai loro figli o nipoti.
Ci sono poi gli spazi scenografici e i costumi di una Toscana ottocentesca nella quale il pauperismo (la mancanza di cibo per gli esseri umani, mentre gli animali razzolano per le strade infangate) va a braccetto con la compensazione della fantasia (la lavorazione del legno, il circo e la città dei balocchi) e con quella della favola pedagogica. C’è soprattutto l’apporto determinante della tecnologia che con l’uso molto avanzato del trucco trasforma gli attori in bestie (il Grillo Parlante, il Gatto e la Volpe, il Pappagallo e il Tonno) e suggerisce la presenza di un mondo in cui regnano la fiaba, le apparizioni o il buio minaccioso del ventre di un pescecane che nel suo orrorifico incedere nell’acqua assomiglia sempre più a un mostro marino.
Quello che, però, nel “Pinocchio” di Matteo Garrone infine sembra latitare (sino al punto di sparire sovente nella pura illustrazione) è proprio il cinema: cioè, l’arte dell’immaginazione ufficialmente praticata dal regista e dalla quale anche questa ennesima versione di “Pinocchio” rivendica ad alta voce di essere stato partorito.
Attingendo direttamente al romanzo di Carlo Collodi e alle illustrazioni di Enrico Mazzanti per la sua prima edizione (1883), Garrone costruisce, sulla scia del suo precedente “Il racconto dei racconti” (ma anche nel ricordo di “Dogman”), un film essenzialmente privo di spessore sia visivo, sia drammaturgico, condizionato com’è da riprese frontali e tendenzialmente statiche, nelle quali le immagini fisse hanno la netta prevalenza su quelle in movimento e gli elaborati effetti speciali predominano sulla libertà inventiva dell’immaginazione. Con l’inevitabile risultato di realizzare un film pur elegante nella sua impostazione visiva, ma emotivamente e spettacolarmente quasi imbalsamato. Un film in fin dei conti ben interpretato e molto ambizioso nel suo sforzo di far nascere l’onirico dal realismo ambientale, il fiabesco dal quotidiano storico. Ma anche un film prigioniero dell’idea di un cinema intellettualistico, capace di comunicare più l’assunto didascalico dei temi che affronta, di quanto riesca a suggerire sul piano umano degli autentici personaggi e su quello spettacolare la sua pur molto elaborata struttura narrativa.
A ben vedere oggi ci si rende conto che questo modo di fare del cinema era già presente – pur ancora in modo sotterraneo – anche nei primi film di Garrone (da “L’imbalsamatore” a “Gomorra”, come da “Primo amore” a “Reality”), nei quali però era pur sempre presente un oggettivo (pur ancora sporadico) piacere di mettere in scena la realtà, di trasfigurarla attraverso quello sguardo fantastico che ora invece tende fin troppo spesso a sperdersi in soluzioni essenzialmente calligrafiche, nelle quali la gioia del filmare finisce inevitabilmente con sparire.
Eppure resta viva, in Garrone, la constatazione di un talento cinematografico fondamentalmente raro nel panorama italiano, come testimoniano anche in questo “Pinocchio” momenti inventivi pur sporadici (dalla descrizione del villaggio di Geppetto ai burattini di Mangiafoco, dalla fame de il Gatto e la Volpe alla melanconica visione dell’esistenza del Tonno); ma questo talento sembra sempre più (particolarmente nei suoi ultimi film) impigliato nella nostalgia di un universo culturale fatto di forme illustrative, nelle quali i personaggi e le loro reciproche relazioni, a volte anche gli stessi luoghi scenografici, sembrano esistere soprattutto nelle ossessioni mentali di un autore che, internazionalizzandosi, sta sempre più perdendo il suo vitale rapporto con i personaggi, con la narrazione e, si teme, con il cinema stesso.

Pinocchio
(Italia – Francia – Gran Bretagna, 2019)
regia: Matteo Garrone – soggetto: dal romanzo omonimo di Carlo Collodi – sceneggiatura: Matteo Garrone e Massimo Ceccherini – fotografia: Nicolaj Brüel – scenografia: Dimitri Capuani – costumi: Massimo Cantini Parrini – musica: Dario Marianelli – montaggio: Marco Spoletini.
interpreti e personaggi: Federico Ielapi (Pinocchio), Roberto Benigni (Geppetto), Rocco Papaleo (Gatto), Massimo Ceccherini (Volpe), Marine Vacth (Fata Turchina, adulta), Gigi Proietti (Mangiafoco), Alida Baldari Calabria (Fata Turchina, bambina), Alessio Di Domenicantonio (Lucignolo), Maria Pia Timo (Lumaca), Davide Marotta (Grillo Parlante), Paolo Graziosi (Mastro Ciliegia).
distribuzione: 01 Distribution – durata: due ore e 5 minuti

Postato in Recensioni di Aldo Viganò.

I commenti sono chiusi.