“Visages Villages” di Agnès Varda

di Aldo Viganò.

Alla vigilia dei suoi novant’anni, Agnès Varda dirige e interpreta un film delicato e leggero che è insieme un documentario sul lavoro dell’eccentrico “artista di strada” JR (al secolo Jean René), un omaggio al suo primo amore per la fotografia (ma anche per il cinema e l’arte in genere) e un’autobiografia contemporaneamente allegra e dolente. Soprattutto, “Visages villages” è una testimonianza d’affetto per gli esseri umani e il loro habitat: per i paesi che si svuotano e per i volti scavati dagli anni; nonché per coloro che appartengono ai ceti sociali più deboli: minatori, agricoltori, emarginati, sino agli operai e ai portuali.

Ma il film, che è stato candidato all’Oscar come migliore documentario, è anche un inno al cinema, che non rinnega il proprio linguaggio, cita le proprie opere passate (tra gli altri si vedono frammenti di “Cleo dalla 5 alla 7” e del cortometraggio con Godard e la Karina “Les fiancés du pont Mac Donald”) e si sofferma sugli amori del tempo che fu: da quello personale per Jacques Demy a quello artistico per Jean-Luc Godard, al quale viene comunque riservato un finale insieme drammatico e beffardo.

Insomma, “Visages villages”, presentato rigorosamente anche sugli schermi italiani in lingua originale con sottotitoli, è un’opera intima anche se per molti versi spiazzante,  sia per la sua libertà espositiva, sia per certi suoi sviluppi narrativi, che comprendono anche un commosso omaggio alla tomba del fotografo Henri Cartier Bresson.

Tutto ha inizio con l’incontro tra la “piccola” (di statura) Agnès e il “lungo” trentatreenne JR, i quali visivamente compongono una coppia che rinvia a certi comici di una volta. Si conoscono quasi per caso. Si piacciono. Decidono di partire insieme a bordo di un camion attrezzato per la produzione di gigantografie fotografiche in bianco e nero. Perché la specializzazione artistica di JR, che si autodefinisce “photograffeur urbano” è quella del collage fotografico che applica alla grande sulle più diverse pareti. Siano queste le facciate di case abbandonate o capannoni rurali, resti di un bunker nazista caduto sulla spiaggia o anche cointainers accumulati sulle banchine del porto di Le Havre, con i quali mettere in scena una coinvolgente “performance” tutta al femminile.

Quello di questa “strana coppia” è un viaggio a zig-zag, dal nord alla Francia meridionale, poi ancora dalla Provenza alla Normandia e infine nuovamente a sud verso la Svizzera, con l’obiettivo di far incontrare JR con l’amato Godard, il quale però si nega all’omaggio facendo trovare sul vetro del bovindo di casa sua una scritta che cita Demy e riempie di lacrime e rabbia Agnès Varda.

Ciò che infine sortisce da questo itinerario per molti versi arbitrario è un film libero e gioioso, anche se continuamente accompagnato dall’idea della morte. Un film molto intimo e personale, ma sempre attraversato, come si diceva, da un autentico amore per gli esseri umani incontrati, fotografati e resi giganti quando vengono incollati sui muri.

Alcuni anni fa, il Teatro Stabile di Genova ebbe l’idea vincente di pubblicare la propria stagionale “guida agli spettacoli”, intercalando a ogni titolo in programma la foto di un volto in primo piano, accompagnato dalla scritta “Ci interessano le storie degli uomini”. Ecco, il film della quasi novantenne Agnés Varda e dell’oggi trentacinquenne JR è la gigantografia dello stesso concetto. “Visages villages” è, infatti, la sublimazione di un amore per gli esseri umani, per quella storia di gioia e sofferenza che si legge sui loro volti resi crespi dagli anni e dalla irregolarità della pietra o degli intonachi. Componendo così sul grande schermo un “piccolo gioiello”: comunque, un film che conviene proprio non perdere.

  

VISAGES VILLAGES

(Visages villages, Francia 2017)  regia: Agnès Varda e JR (Jean René) – soggetto: Agnès Varda – fotografia: Romain Le Bonniec, Claire Duguet, Nicolas Guicheteau e Valentin Vignet – musica: Matthieu Chedid – montaggio: Maxime Pozzi Garcia. interpreti: Agnés Varda e JR (loro stessi) distribuzione: Cineteca di Bologna – durata: un’ora e 29 minuti

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