“Nemesi” di Walter Hill

di Aldo Viganò.

“Nemesi” è un film tosto e inquietante, che si rivolge a un pubblico di “cinefili” duri e puri (ma esistono ancora?).

“Nemesi” è con evidenza un film di “genere” che guarda ai nobili modelli dei “B-Movies” hollywoodiani; ma, in questo suo gusto esplicitamente “retrò”, è anche un’opera squisitamente d’autore che parla della “vendetta” con i toni della tragedia greca e la eleva a evento capace di coinvolgere i concetti che da là provengono quali le “erinni” (personificazioni mitiche della vendetta) e la “nemesi” (personificazione della giustizia). E, per questo, una volta tanto, il titolo italiano del film coglie nel segno meglio di quello originale (“The assignment”: l’incarico) che poneva l’accento più sull’attività di killer prezzolato del fantomatico Frank Kitchen, piuttosto che sul ruolo di vera protagonista (e quindi sulla sua funzione di “deus ex machina”) svolto da Sigourney Weaver: la “divina” chirurga plastica, la quale punisce colui che le ha ucciso il fratello trasformandolo in una donna che ha l’aspetto affascinante di Michelle Rodriguez (interprete di entrambe le parti).

“Nemesi” è perciò anche un film colto e raffinato, che parla di Shakespeare e di Edgar Allan Poe, che cita insieme alla tragedia greca anche Friedrich Nietzsche e la sua volontà di potenza; ma non è certo un’opera che può essere apprezzata dalla critica accademica e paludata, perché il tutto viene raccontato e avvolto dentro la struttura narrativa del “genere” e nell’assoluto privilegio  concesso alla forma delle immagini piuttosto che al loro contenuto più esplicito di film d’azione. Eppure, in questo senso, la diretta citazione del Poe saggista è molto chiara e può essere subito rivelatrice. Almeno per chi sa leggere ciò che realmente accade sullo schermo.

Di fatto, “Nemesi” è soprattutto un film di Walter Hill, che a settantacinque anni  non ha mai cessato di sperimentare, realizzando opere cinematografiche (anche dall’esito discontinuo, poco importa) che hanno al centro della loro realtà il piacere di mettere in scena: comunque, sempre, in modo personale  e sovente spiazzante.

Il tema dichiarato del suo ultimo film, che ha impiegato più di un anno a giungere sui nostri schermi, è quello a lui sempre caro dell’identità. “Chi sono io?” si domanda sgomento Frank Kitchen dopo l’operazione subita.  Ma invece di reagire con l’umiliazione, come si augurava la dottoressa Rachel Jane, egli/lei risponde all’affronto subito esaltando quella che è convinto essere la sua vera natura di “macho”. Pistole alla mano, quindi, va alla ricerca di tutti quelli che ritiene essere i colpevoli della suo nuovo “genere”. E implacabilmente li uccide uno dopo l’altro, lasciando in vita, pur ferita, solo la dottoressa, affinché sia testimone della sua odissea.

Quella che ne nasce è così una carneficina, che Frank compie con implacabile determinazione e che Walter Hill mette in scena con straordinaria capacità di sintesi, esaltando la dimensione fumettistica di queste sue sequenze d’azione con alcuni fermo-immagini che trasformano graficamente qualche fotogramma finale, agevolando in questo modo il passaggio alle sequenze apparentemente più statiche che li contengono. Cioè, le fondamentali sequenze dell’interrogatorio al manicomio di Sigourney Weaver, che, alle prese con uno psicologo tradizionale, è pur sempre lei a condurre il gioco: dapprima irridendo il suo interlocutore, poi dichiarandosi disponibile a confessare tutto quello che è accaduto a una commissione di medici appositamente convocata (cosa che fa in una memorabile sequenza che evoca i monologhi dei “nunzi” delle grandi tragedie greche), e, infine, chiudendosi nel più totale silenzio, non ritenendo degni di ulteriori spiegazioni o motivazioni coloro che hanno radiato dall’albo professionale il suo talento.

Come accade a tutti i grandi film di “genere”, realizzati a bassissimo costo e quindi indotti alla sintesi, “Nemesi” non è un film che si possa raccontare a parole, ma un saggio di stile cinematografico che va visto attentamente sullo schermo. Solo così, infatti, si può cogliere l’essenza del lavoro di Walter Hill: regista evidentemente “retrò”, ma proprio per questo anche un regista “classico” capace di sognare il futuro (forse impossibile), come oggi sanno farlo sopratutto i suoi colleghi più emarginati e isolati, ma anche per questo tenacemente indomiti nel difendere dalle mode del momento l’autonomia della propria arte, come lo sono Paul Schrader o John Carpenter o David Cronenberg e come – tra una plastica e l’altra – sapeva esserlo il non dimenticato Michael Cimino.

 

NEMESI

(The Assignment, Usa-Francia, 2016)  Regia: Walter Hill – soggetto e sceneggiatura: Walter Hill e Denis Hamill – fotografia: James Liston – musica: Giorgio Moroder e Rabey Shockne -scenografia: Renee Read –  montaggio: Phil Norden. Interpreti: Sigourney Weaver (dottoressa Rachel Jane), Michelle Rodriguez (Frank Kitchen), Tony Shalhoub (dr. Ralph Galen), Anthony LaPaglia (Honest John), Caitlin Gerard (Johnnie). distribuzione: Notorious Pictures – durata: un’ora e 35 minuti

 

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