“Dunkirk” di Christopher Nolan

di Aldo Viganò.

L’eroismo di una fuga dopo la sconfitta. Con il suo solito stile sospeso tra il blockbuster e il cinema d’autore, l’inglese Christopher Nolan ha scritto e diretto un roboante film di guerra, ambientato tra terra e mare e cielo.

In meno di due ore e senza troppa preoccupazione della sempre complessa verità storica,”Dunkirk” racconta gli avvenimenti svoltisi tra il 26 maggio e il 3 giugno 1940 intorno alla spiaggia della cittadina francese di Dunkerque, dove 400.000 soldati britannici e francesi furono imbottigliati dall’avanzata delle truppe naziste e costretti ad abbandonare velocemente il Continente per cercare di raggiungere con ogni mezzo l’Inghilterra. Storia di una ritirata, dunque; complicata dal fatto che Churchill, al fine di non distogliere le navi da guerra inglesi dalla difesa della Patria, aveva dato l’ordine di utilizzare per l’evacuazione dei militari soprattutto le imbarcazioni private, che la Royal Navy provvide quasi subito a sequestrare.

Nota al di là della Manica come “Operazione Dynamo”, quella ritirata che gli inglesi amano ricordare anche come il “miracolo di Dunkirk” si concluse felicemente, con il risultato, appunto, di trasformare una sconfitta militare – e la conseguente precipitosa fuga per ritornare in Patria – in una vittoria umana e morale degli inglesi (dei militari di altre nazioni che erano su quella spiaggia, il film praticamente non parla), che pesò poi in modo determinante sui seguenti anni di guerra, arrivando sino a quello storico tragitto inverso che fu lo sbarco in Normandia.

Girato con pellicola di 65/70 mm e accompagnato dall’invadente musica di Hans Zimmer, “Dunkirk” è un film che ha bisogno di uno schermo gigante per essere adeguatamente apprezzato, e certo non a caso per le sue prime rappresentazioni mondiali lo stesso regista scelse di far dialogare il suo film con il pubblico della grande sala dell’Imax, gestita dal British Film Institute e reclamizzata come “the biggest screen of the Britain”.

Proprio pensando a una fruizione audiovisiva “pulp” simile a quella offerta dall’Imax, Christopher Nolan ha scritto e messo in scena la sua “fiction” storica, concentrandovi l’attenzione soprattutto su tre linee narrative che s’intersecano secondo precise coordinate, sia temporali che spaziali. L’evacuazione dalla spiaggia di Dunkerque avviene nei tempi lunghi e nel film ha come protagonisti tre soldati (due inglesi, Fionn Withehead e  Harry Styles, e un loro coetaneo che si rivelerà essere un francese, Aneurin Barnard) che gli avvenimenti inducono a diventare esperti dell’arte di arrangiarsi, mentre in un solo giorno si consuma l’avventura marina di Mark Rylance (quello di “Il ponte delle spie” di Spielberg, oltre che uno dei protagonisti del teatro londinese), il quale in compagnia del figlio e di un amico di questo ha voluto anticipare la flotta di pescherecci e navi di diporto sequestrate dalla Royal Navy, e solo poche ore dura l’impresa dei piloti (Tom Hardy e Jack Lowden) impegnati con i loro Spitfire a fronteggiare nei cieli i micidiali attacchi della Luftwaffe, finalizzati a rendere difficile la “fuga” verso l’altra sponda della Manica.

Tra retorica patriottarda e gusto per lo spettacolo, Nolan gestisce con forte senso comunicativo un film che non si fa scrupolo di saccheggiare situazioni e personaggi già più volte visti nei film dedicati alla seconda guerra mondiale. Nolan stesso ha indicato una dozzina di film del passato al quale si sarebbe direttamente o indirettamente ispirato. E, anche se questo gusto per le citazioni più o meno esplicite concorre sovente a portare in primo piano la freddezza di un’operazione cinematografica condotta soprattutto a tavolino, ciò non toglie che i fotogrammi di “Dunkirk” s’illuminino ogni tanto di improvvisi guizzi inventivi, rappresentati ora dalla recitazione insieme dolente ed eroica del testardo Mark Rylance, ora dalla lunga scena in  cui numerosi soldati si trovano rinchiusi all’interno dello scafo di una imbarcazione che sta affondando, ora anche da singole sequenze epiche quali quella del liberatorio arrivo delle imbarcazioni civili nella rada di Dunkerque o quella dell’atterraggio di fortuna (ha finito il carburante!) felicemente portato a termine da Tom Hardy proprio su quella spiaggia ormai deserta, ingombra solo di tutto quanto i soldati in fuga non hanno avuto il tempo di portare con sé.

“Dunkirk” (come gli inglesi continuano a scrivere Dunkerque) è tutto qui. Un’opera cinematografica praticamente senza donne e dove i nazisti quasi non si vedono, che sa essere retorica come l’invadente musica di Zimmer, spettacolare come sanno esserlo le sue efficaci immagini sul grande schermo (io ho avuto occasione di vedere il film proprio all’Imax di Londra), piacevole da vedere proprio per i suoi dichiarati omaggi alla classicità, occasionalmente anche umano (cosa rara nel cinema di Nolan), soprattutto in virtù del personaggio affidato, come si diceva, alla recitazione “underplaying” e alla duttile maschera di Mark Rylance.

 

DUNKIRK

(Dunkirk, GB, USA, Paesi Bassi e Francia, 2017)  Regia, soggetto e sceneggiatura: Christopher Nolan – Fotografia: Hoyte Van Hoytema – Musica: Hans Zimmer – Scenografia: Nathan Crowley – Costumi: Jeffrey Kurland – Montaggio: Lee Smith. Interpreti: Fionn Whitehead (Tommy), Tom Glynn-Carney (Peter), Jack Lowden (Collins), Kenneth Branagh (comandante Bolton), Mark Rylance (Mr. Dawson), Tom Hardy (Farrier).  Distribuzione: Warner Bros. – Durata: un’ora e 46 minuti

Postato in Recensioni di Aldo Viganò.

I commenti sono chiusi.