“Rubando Bellezza”: intervista a Fulvio Wetzl

di Juri Saitta.

Una famiglia particolare, quella dei Bertolucci, composta da uno scrittore e due cineasti: il padre Attilio, uno dei poeti più importanti del Novecento; il primogenito Bernardo, regista che alterna produzioni spettacolari (L’ultimo imperatore) a opere più personali e sperimentali (Prima della rivoluzione); il figlio minore Giuseppe, autore di film più piccoli e “marginali”, ma comunque interessanti (Berlinguer ti voglio bene).

Un nucleo familiare che viene raccontato da Rubando Bellezza, documentario di Fulvio Wetzl, Laura Bagnoli e Danny Biancardi incentrato proprio sui tre importanti autori italiani.

L’opera in questione non vede però al centro tanto la biografia e la carriera dei tre uomini, quanto i loro rapporti personali e, soprattutto, le loro influenze reciproche. Infatti, il lavoro si concentra in particolar modo sulle connessioni psicologiche e culturali tra le tre figure, tanto che nel corso del film si vedrà quanto le poesie di Attilio Bertolucci abbiano segnato il percorso artistico e cinematografico dei due figli, a volte in modo diretto, più spesso in maniera maggiormente sottesa.

Tutti elementi suggeriti tramite una struttura particolare, che alterna in modo non cronologico e non filologico le testimonianze dei singoli al copioso materiale d’archivio, composto in primis da alcuni spezzoni dei film e degli spettacoli teatrali di Bernardo e Giuseppe Bertolucci e dall’unico documentario realizzato per la Rai da Attilio Alla ricerca di Marcel Proust, incentrato appunto sullo scrittore francese.

Rubando Bellezza è stato proiettato alla presenza del regista Fulvio Wetzl martedì 6 giugno al Cinema America di Genova, in quella che per ora è stata l’ultima tappa di un documentario che dallo scorso novembre è stato distribuito in alcune delle sale cinematografiche più importanti d’Italia, dallo Spazio Oberdan di Milano all’Arsenale di Pisa.

In occasione della presentazione genovese del film, ho parlato con l’autore del suo lavoro, della sua struttura e dei suoi nodi tematici centrali.

 Potrebbe raccontarci come è nato e si è sviluppato il progetto?

È un film nato incidentalmente e quasi per caso. Nel 2014 a Tellaro, in provincia di La Spezia (città dove io vivo) hanno intestato una targa ad Attilio Bertolucci, il quale aveva una delle sue case proprio in questo paese.

Per tale evento avremmo voluto la presenza del figlio Bernardo, che però non poteva venire per problemi di salute. Abbiamo dunque deciso – io insieme a Laura Bagnoli e Danny Biancardi, e in accordo con il regista – di andare a casa sua per filmare un suo ringraziamento al comune. E così non ci siamo fatti sfuggire l’occasione di domandare all’autore com’è stato il rapporto con suo padre e, soprattutto, come e se questo ha influenzato il suo cinema. Il risultato è stato sorprendente: Bertolucci si è completamente aperto e ha parlato per circa un’ora dicendo cose inedite e fino ad all’ora mai dichiarate pubblicamente.

Successivamente, abbiamo pensato di affrontare nel documentario che si stava formando anche le influenze familiari presenti nell’opera del fratello Giuseppe Bertolucci (regista scomparso prematuramente nel 2012), intervistando la moglie Lucilla e due degli attori che più hanno collaborato con lui: Fabrizio Gifuni e Sonia Bergamasco.

E per aggiungere un ulteriore punto di vista su Bernardo Bertolucci, abbiamo conversato con il critico cinematografico Morando Morandini, che ha recitato per il regista in Prima della rivoluzione.

È proprio da questi materiali, oltre a quelli d’archivio, che è sorto Rubando Bellezza, un documentario su una famiglia straordinaria che non ha lasciato eredi, perché né Bernardo né Giuseppe hanno avuto figli.

 

Quanto è durata la lavorazione del film?

 

Tra le riprese e il montaggio all’incirca due anni. La prima intervista è stata effettuata nell’agosto del 2014, mentre l’ultima nel marzo del 2015.  In tutto abbiamo impiegato venti giorni non continuativi di riprese.

In seguito, c’è stata la fase di montaggio, la più lunga, in quanto il materiale a disposizione tra interviste filmate e materiale d’archivio era alquanto notevole. E si può affermare che buona parte della struttura del film si è costruita proprio in questo momento lavorativo.

 

Rubando Bellezza è un documentario sul rapporto di Bernardo e Giuseppe Bertolucci con il padre Attilio e sulle influenze che il poeta ha avuto nella loro opera cinematografica. Ma in una direzione più generale, il vostro lavoro può essere considerato anche come un film che affronta in modo più ampio la relazione tra padri e figli?

 

In realtà nel nostro documentario tale rapporto familiare costituisce soprattutto un punto di partenza per affrontare il tema dei debiti culturali che i Bertolucci hanno con tutti i loro padri, non solo quello biologico, ma anche quelli culturali e spirituali.

Per esempio, l’opera poetica di Attilio è stata influenzata in modo particolare dalla letteratura di Marcel Proust, mentre il cinema di Bernardo sembra essere costantemente alla ricerca di una figura paterna: da Morando Morandini ad Alberto Moravia, da Jean-Luc Godard a Pier Paolo Pasolini (con il quale ha esordito come aiuto regista in Accattone).

Tutto ciò, nonostante che nei suoi film la figura del padre è continuamente dileggiata o uccisa, come in passato ha fatto ironicamente notare anche Attilio.

E, in fondo, durante il documentario emerge che sia per Bernardo sia per Giuseppe diventare dei registi – degli autori – è stato anche un modo per emanciparsi da una figura paterna tanto importante quanto “ingombrante”.

 

Il vostro è un documentario piuttosto particolare, sia per la sua struttura “narrativa” sia per il montaggio e la regia, con l’uso inizialmente costante delle dissolvenze incrociate e la presenza di alcune inquadrature ricercate. Potrebbe spiegare come avete deciso d’impostare linguisticamente il film?

 

In tale direzione, bisogna premettere che è un lavoro realizzato appositamente a sei mani, in quanto volevamo che l’opera vivesse e si arricchisse di tre punti di vista diversi: uno maschile e maturo (il mio), uno sempre adulto ma femminile (quello di Laura Bagnoli) e uno più giovane e fresco, alle sue prime esperienze nel mondo del cinema, ovvero quello di Danny Biancardi, uno studente del DAMS che all’epoca della realizzazione del film aveva ventitre anni. E almeno in parte, le scelte di regia accennate nella domanda dipendono anche da come è stata impostata la realizzazione del film.

Rubando Bellezza non è poi costruito su una struttura cronologica, ma va avanti tramite nessi poetici e connessioni psicologiche, seguendo così una sorta di “flusso di coscienza”.

Infatti, il montaggio dell’opera passa da una situazione all’altra senza una precisa soluzione di continuità: un procedimento per certi versi simile a quello dei film di Iñárritu scritti da Arriaga, come per esempio Amores Perros e Babel.

Questo perché il nostro lavoro non vuole essere didascalico, ma intende piuttosto fornire allo spettatore una serie di suggestioni sulle quali poter riflettere e pensare.

 

Vi è un collegamento tra questo titolo e i suoi lavori precedenti?

 

La mia filmografia antecedente al 2000 è costituita soprattutto da lungometraggi di finzione, dei quali il più famoso è probabilmente Prima la musica poi le parole (1998).

Dal nuovo millennio in poi una serie di circostanze produttive e tecnologiche (l’arrivo del digitale e il conseguente abbassamento dei costi) mi ha indirizzato in particolare sul cinema documentario, tipo di film al quale appartiene anche Rubando bellezza.

Documentari – come per esempio Prima la trama, poi il fondo – che inoltre sono spesso incentrati sull’arte e sul processo creativo che porta alla realizzazione di un’opera e alla costruzione di una poetica. Ed è proprio questo il file rouge che lega alcuni miei film al mio titolo più recente.

Sta lavorando ad altri progetti cinematografici?

Per parlare del mio prossimo lavoro è necessario fare un passo indietro di circa quarant’anni. Nel 1978 girai a New York un documentario sul pittore statunitense David Stoltz intitolato The Journey of the Bull. Con l’artista facemmo delle riprese all’Empire State Building, a Ground Zero e alla Statua della Libertà.

A luglio mi recherò nuovamente nella Grande Mela con lo scopo di re-incontrare Stoltz e fare delle riprese agli stessi luoghi visitati anni prima, per osservare ciò che è cambiato negli ultimi decenni e fare una sorta di bilancio della vita e dell’opera dell’artista newyorkese.

 

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