di Pasquale Pede.
Gli appassionati di crime fiction avranno certamente gustato nella passata stagione The NightOf-Cosa accadde nella notte, serie HBO diretta da Steven Zaillian, a sua volta basata su una serie inglese. La storia è imperniata su un giovane pachistano che un mattino, dopo una notte brava a base di sesso e alcol con una donna, si sveglia accanto al suo cadavere. Interpretata dall’emergente Riz Ahmed e da John Turturro, comincia come un thriller – non sappiamo se il giovane ha veramente ucciso la donna, ma tutti gli indizi sono contro di lui – prosegue in ambiente carcerario quando l’indiziato viene imprigionato, per concludersi come una vicenda processuale, non senza intrecciarsi con la parallela indagine della polizia. Mescolando abilmente tutti questi sottogeneri, la vicenda si conclude su un finale aperto, che lascia presagire un suo proseguimento, e si segnala come una dei prodotti più originali apparse di recente sugli schermi televisivi.
L’autore è un nome ancora non troppo conosciuto qui in Italia, nonostante sia attivo da una quarantina d’anni, Richard Price. Nato a New York, nel Bronx, nel 1949, Price è in effetti uno dei più quotati scrittori di crime americani, anzi, a parere di chi scrive, è una delle voci più originali nell’attuale panorama della narrativa noir statunitense. Da giovane iniziò la carriera nel mondo del cinema, firmando la sceneggiatura di parecchi film, tra cui “Il colore dei soldi” di Scorsese, dal romanzo di W. Tevis, per cui ha avuto una nomination all’Oscar, poi il remake di “Il bacio della morte” girato da Barbet Schroeder, e quello di “Shaft” con Samuel Jackson a rivestire i panni di Richard Roundtree, più un’altra dozzina di titoli.
Ma l’attività cinematografica serviva solo per guadagnare, mentre la passione di Price era la letteratura. Il suo primo romanzo è del 74, “I Wanderers”, pubblicato da Giano, poi adattato per lo schermo da Philip Kaufman, è imperniato su una banda giovanile italo-americana degli anni 60. Degli altri romanzi scritti tra gli impegni col cinema e quelli con la tv (è tra l’altro uno degli sceneggiatori della serie The Wire) in Italia sono usciti solo “La vita facile” e, di recente, “Clockers” e “Balene bianche”, ma già da soli bastano a giustificare il giudizio che ho espresso poco fa.
Il primo è ambientato nel Lower East Side di New York. Eric è un trentacinquenne qualsiasi, con velleità di scrittore, frustrato cronico su tutti i fronti, che si guadagna da vivere come direttore di un ristorante. Una sera, sbronzandosi un locale dopo l’altro in compagnia di un barista e un altro amico, incappa in due balordi che li vogliono rapinare. Ike, il barman, se ne esce con una battuta spavalda – “Non stanotte, bello!” – e viene fulminato da un colpo di pistola. Purtroppo alcune testimonianze sembrano indicare proprio Eric come colpevole, così la polizia comincia a metterlo sotto torchio. Ma questo è solo l’inizio.
“Clockers”, da cui ha tratto l’omonimo film Spike Lee, ha per protagonista Strike, piccolo boss degli spacciatori al minuto di crak nelle strade di un quartiere popolare di Dempsy (nome di fantasia per una tipica metropoli americana), abile nel mestiere e affetto da ulcera, che riceve l’incarico dal suo capo di far fuori un concorrente. Combattuto fra la paura e l’ambizione di fare strada Strike è indeciso, e si sfoga col fratello Victor, gran lavoratore con famiglia, il quale a sorpresa gli dice che risolverà lui la questione. L’omicidio effettivamente viene perpetrato, Strike non l’ha commesso ma viene incastrato proprio Victor. Solo che un poliziotto di mezza età non riesce a credere che proprio lui sia il colpevole e si accanisce a indagare fino a un finale sorprendente.
“Balene bianche” poi, narra di Billy Graves, della Squadra Notturna del Dipartimento di Polizia di New York, ultimo esponente di quella che era la squadra più affiatata dell’East Bronx, i Wild Geese. Ognuna i queste “anatre selvagge” ritiratesi a vita privata ha la sua “balena bianca”, un criminale colpevole di delitti efferati che non era riuscito a incastrare. Quando in un turno di notte Graves trova cadavere una di queste balene bianche, e poi ne vengono fatti fuori altri due, comincia a sospettare che gli ex colleghi siano implicati. Costretto fra senso del dovere e solidarietà con gli ex compagni, il poliziotto non può non iniziare a indagare per proprio conto.
Questi gli spunti iniziali da cui si dipana la complessa vicenda dei tre romanzi.
Ma, contrariamente alla maggior parte dei thriller attuali, l’interesse principale di questi libri non consiste nella trama. Per quanto concepita con abilità, e spesso con esiti e colpi di scena tutt’altro che scontati, la storia che viene narrata non sembra essere al centro dell’interesse dell’autore. Price, con tutta evidenza, non vuole avvincere il lettore inchiodandolo a una storia serrata, con l’ansia di divorare le pagine una dopo l’altra per sapere come va a finire (il che non significa che nel suo caso si posi facilmente un suo libro sul tavolino!). Tutt’al contrario. Le sue storie sembrano quasi un pretesto, spesso esile, che si dipana con aria casuale, si ramifica in tanti rivoli secondari, ritorna su se stesso e poi si intreccia con qualche altra vicenda, senza una direzione evidente. All’inizio il lettore si può anche chiedere dove Price voglia andare a parare. Eppure, la tensione impercettibilmente si crea, in un modo tutto suo, e progressivamente cresce sottotraccia prendendolo per mano fino ad immergerlo nel mondo che prende vita sulla pagina.
Perché questo in fin dei conti è il punto.
Price, come i grandi narratori – e in questo, a dire il vero, non mi pare fuori luogo uno strillo di copertina che tira in ballo addirittura Balzac – crea un intero universo con i suoi libri. Infatti le sue trame e sottotrame sembrano pezzi di vita vissuta, ne possiedono la casualità e l’apparente insensatezza, come se accadessero sotto i nostri occhi senza una regia demiurgica. Allo stesso modo i suoi personaggi, pur se caratterizzati nel dettaglio, sono tipi qualunque alle prese con la loro quotidianità, anche se ciò che succede è spesso terribile e crudele. Non ce n’è uno che spicchi in maniera prominente sugli altri: il piccolo spacciatore con problemi di ulcera, il poliziotto che vede i suoi figli come degli estranei incomprensibili, la squadra di sbirri che sembra un caravanserraglio, il padre stralunato per la perdita del figlio o l’adolescente che preme il grilletto per paura non sono eroi, né antieroi d’altronde, ma solo comprimari fra altri comprimari, gente che cerca di vivere, e sovente ci riesce poco e male, non buoni né completamente cattivi, ma gente qualunque come tutti noi che cerca a tratti di ricavare un senso dalla propria esistenza.
Persone, in poche parole (come l’avvocaticchio tormentato dall’eczema ai piedi che Turturro interpreta magistralmente in The Night of). Dotate di sentimenti anche quando sprofondano nell’abiezione e nel dolore, senza mai perdere tuttavia una loro irriducibile umanità.
E’ il quadro complessivo che affascina, l’affresco di una metropoli americana che è New York anche quando Price le dà un altro nome, vista soprattutto nei suoi aspetti meno appariscenti, lontano dalle luci e dalla grandiosità, una metropoli di casermoni popolari fatiscenti, di droga onnipresente, di violenza endemica, come un alveare senza struttura.
In questo la capacità descrittiva di Price è sorprendente, lontana mille miglia dagli stereotipi tipo “giungla d’asfalto” che popolano l’attuale narrativa di genere statunitense. Probabilmente un lettore non indigeno come siamo noi può solo indovinare l’esattezza millimetrica di questa descrizione, ma l’incredibile quantità di dettagli che Price dissemina senza parere nelle sue pagine restituisce la città come un coacervo inestricabile di personaggi, etnie, storia, fogge, tradizioni che convivono e si stratificano e producono un risultato d’insieme affascinante e vivissimo. Sembrano quelle vaste tele di Bruegel in cui la miriade di personaggi, i dettagli più secondari, il disordine più realistico e l’apparente mancanza di un centro producono, quasi per miracolo, il ritratto potente di un mondo e di un’intera epoca.
Elemento determinante di questa resa narrativa è ovviamente la scrittura di Price.
Innanzitutto i dialoghi. Sembra che l’autore tenga in funzione un microfono in presa diretta sulle strade. Il parlato che anima la vicenda e i personaggi possiede una spontaneità che è difficile ritrovare in autori consimili, anche più noti di lui. Senza mai ricorrere alla maniera, al gergo ricostruito ad arte, senza essere infarciti di parolacce né cercare di rifare uno stile tough ad effetto, in poche parole senza mai mostrare la tecnica, il linguaggio messo in bocca ai personaggi possiede la qualità – rarissima – di risultare perfettamente naturale e perfettamente aderente alla verità profonda di chi parla. Ironico, svagato, pieno di digressioni, a tratti profondo, comunque pieno di sfumature, si adatta ad ogni personaggio e ne coglie le caratteristiche etniche, sociali, antropologiche con esattezza e varietà sorprendenti. Soprattutto, è un dialogo capace di coglierne progressivamente la psicologia e il carattere in modo da farceli sentire come assolutamente familiari. Come se parlasse un amico che conosciamo da tanto tempo.
Naturalmente lo stile complessivo non è da meno.
Price descrive con altrettanta abilità le vicissitudini esistenziali ed emotive dei personaggi che popolano i suoi romanzi, li segue nei loro percorsi, ci fa entrare negli ambienti dove vivono e lavorano, ci mette a contatto coi loro dubbi e le loro debolezze, ci conduce a comprendere le loro scelte, o più spesso l’incapacità di compierle. Senza mai perdere uno sguardo capace di salvaguardare la loro umanità di fondo, quale che sia il livello di degradazione cui arrivano.
Non sembri eccessivo parlare di pietas, perché proprio questo è il senso complessivo che emana dalle sue pagine.
Alla lontana, in questa predilezione per le vicende corali si sente l’eco delle saghe urbane di Joseph Wambaugh, più indietro ancora delle vicende collettive dell’87° Distretto di Ed Mc Bain. Per i dialoghi, forse, del virtuosistico lavoro di George V. Higgins. Ma Price possiede uno stile personalissimo e crea un universo tutto suo, di cui, al momento, sembra l’unico autore noir a possedere la chiave.
Ci auguriamo quindi che il lettore italiano possa avere quanto prima a disposizione tutti i suoi libri non ancora tradotti, sicuri che possa conquistare il posto che gli compete nel panorama del noir contemporaneo.