42° Deauville American Film Festival: vince “Brooklyn Village”

brooklyn_villagefoto2x1di Antonella Pina.

La giuria della 42° edizione del Festival del cinema americano indipendente di Deauville, presieduta da Frédéric  Mitterrand, ha assegnato il Grand Prix a Brooklyn Village (Little Men) di Ira Sachs.  Spettatore ammirato e appassionato del cinema francese, che ha potuto conoscere e studiare nel corso di un lungo soggiorno a Parigi, Sachs – classe 1965, americano di Memphis – era già stato a Deauville nel 2014 con I toni dell’amore (Love is Strange).  Little Men ha ricevuto critiche buone e a volte ottime da tutta la stampa d’oltralpe, dai Cahiers a Positif, da Le Figaro a Libération. Racconta l’amicizia tra due adolescenti, Jake e Tony, che nasce spontanea e senza riserve in un quartiere di Brooklyn e che  potrebbe durare per sempre se le rispettive famiglie non fossero costrette da necessità economiche ad entrare in conflitto.

Un film newyorkese capace di guardare con grande delicatezza la “sublime insignificanza delle cose”. Sachs osserva il mutare dei luoghi e delle persone, l’immobilità della vita adulta costretta dentro un copione e la libertà dell’adolescenza dove tutto appare possibile, come i cieli verdi pieni di stelle gialle che dipinge Jack. I suoi personaggi si muovono in un mondo dove, nonostante tutti abbiano le loro buone ragioni – secondo la massima di Renoir –  sono le meschine regole del denaro a governare le vite di tutti. Le due famiglie appartengono a classi sociali diverse. I ragazzi hanno lo stesso sogno: entrare alla scuola d’arte LaGuardia.  Tony è povero e la famiglia di Jack, involontariamente ma ineluttabilmente, lo rende ancora più povero: solo Jack potrà entrare a LaGuardia.  Non pensiate però che nel film di Sachs si parli di lotta di classe. La lotta è stata bandita, resta solo il principio di realtà. Interpreti decisamente bravi: a parte i due ragazzi, Theo Taplitz e Michael Barbieri, ricordiamo Greg Kinnear e Paulina Garcia.

A Captain Fantastic e Le Teckel il Premio della giuria

A Captain Fantastic di Matt Ross sono andati il Premio della Giuria (ex aequo con Le Teckel di Todd Solondz) e il Premio del pubblico della città di Deauville. Già vincitore per la miglior regia al Festival di Cannes nella sezione Un Certain Regard, Captain Fantastic racconta la storia di Ben Cash, ottimamente interpretato da Viggo Mortensen, che vive in una foresta selvaggia a stretto contatto con la natura insieme alla moglie e ai suoi sei figli – quattro ragazzi e due ragazze tra i sei e i sedici anni – ai quali impartisce una rigorosa educazione fisica e intellettuale libera da schemi e pregiudizi. L’isolamento è pressoché totale, i suoi figli non conoscono le Nike ma parlano sei lingue, sanno cos’è un emendamento, sono capaci di procurarsi il cibo cacciando e vivono felici: sono filosofi, alla maniera di Platone. Una sorta di paradiso terrestre da cui vengono allontanati quando la madre, tornata nel mondo reale per alcune settimane perché gravemente malata, si suicida. La piccola tribù di selvaggi è costretta ad affrontare il mondo esterno per poter partecipare ai funerali della donna – unica erede di una famiglia decisamente agiata – e riuscire ad esaudire le sue ultime volontà: il corpo deve essere cremato e le ceneri gettate nello scarico del gabinetto.

I sette affronteranno situazioni esilaranti, contraddizioni e tensioni interne, portando alla luce  le assurdità e l’ ingiustizia che governano la società americana. Alla fine il sogno di Ben risulta impossibile e perfino un po’ pericoloso. Occorrerebbe una giusta via di mezzo e la tribù riesce a trovarla: una casa in campagna, un orto da coltivare, galline da allevare, uova da raccogliere e una scuola da frequentare. I ragazzi continuano a tenersi lontani  dalle Nike e dalla globalizzazione, consapevoli che la loro impresa non sarebbe mai riuscita se, in principio, non ci fosse stata la foresta. Un film molto accattivante, perfino per un pubblico decisamente classico come quello di Deauville, soprattutto quando diventa chiaro che la piccola repubblica di Platone resterà relegata nel meraviglioso e inaccessibile mondo dell’utopia.

Le Teckel (Wiener – Dog) di Todd Solondz, oltre al Premio della Giuria ha ottenuto il Premio Kiehl’s per il film rivelazione, attribuito da una giuria speciale presieduta da Audrey Pulvar. Si tratta di una pellicola ironica e cinica, “una commedia piena di disperazione”, per usare le parole del regista. Quattro episodi dentro cui si muovono personaggi alle prese con la morte, la solitudine e l’essere diversi. Tutti con il desiderio di dare un senso ad una vita che pare non averne. Materiale pesante per film drammatici, ma il punto di vista di Solondz è diverso: “Più le persone sono depresse e più io le trovo divertenti”. L’unico legame tra le quattro storie è una wiener – dog, ovvero una femmina di  bassotto a pelo corto. In principio donata ad un bambino che sta cercando di guarire da un tumore; sterilizzata perché, se così non fosse, “potrebbe essere violentata da un cane cattivo che vive nella foresta e si chiama Mohamed“; salvata poco prima di un’eutanasia da una giovane infermiera completamente sola; affidata ad una coppia di Down felicemente sposati; trasformata in cane–bomba da un frustrato professore di recitazione; approdata in una casa con giardino come cane da compagnia di un’anziana signora quasi cieca, giunta alla fine della vita con la consapevolezza di aver sempre fatto la scelta sbagliata; ripetutamente schiacciata da camion e macchine lungo una strada trafficata; recuperata, ricomposta e trasformata in opera d’arte da un artista nero, cinico e rozzo, vestito di rosa. Un bel film, sconsigliato soltanto ad un pubblico particolarmente sensibile, soprattutto se amante dei bassotti a pelo corto. Due grandi camei: Danny DeVito e Ellen Burstyn.

Antonella Pina

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