Teatro , Cinema, TV: intervista a Fausto Paravidino

 Paravidinofoto di Paolo Borio.

Attore di teatro ma anche di cinema e   tv, regista, autore e drammaturgo tra i più apprezzati in Europa (tra i pochissimi italiani a essere rappresentato alla Comédie Française). Nato a Genova nel 1976, trascorre l’infanzia e l’adolescenza in un piccolo centro della provincia di Alessandria. Appassionatosi al teatro  fonda la compagnia Gloriababbi Teatro e inizia a farsi notare mettendo in scena le sue  commedie.  “Noccioline” , “Due fratelli”, “Natura morta in un fosso” , “Exit”, “Il macello di Giobbe” sono alcuni tra i suoi lavori più rappresentativi . Dopo avere partecipato come attore a qualche film e avere sceneggiato  una fiction televisiva, nel 2005 insieme a Iris Fusetti e Carlo Orlando realizza “Texas”, suo debutto come regista cinematografico. Il film (nomination per regista esordiente ai David di Donatello del 2006) vede tra gli interpreti, oltre ai tre autori, Valeria Golino e Riccardo Scamarcio.
Mentre continua a realizzare nuovi spettacoli teatrali, acquista una certa notorietà presso il pubblico televisivo grazie alle serie tv  “Romanzo Criminale”, in cui interpreta Ranocchia a cui fa seguito “Moana”, in cui interpreta il ruolo di Riccardo Schicchi, manager di Moana Pozzi.

 

Ho incontrato  Fausto Paravidino  a Genova ,  impegnato in alcune repliche del suo ultimo spettacolo “I vicini” presentato al Teatro Archivolto. E’stata l’occasione per parlare delle sue varie esperienze in campo artistico: dal teatro al cinema alla televisione ed in particolare del suo film Texas ad oggi rimasto opera prima.

Il tuo teatro ha alcuni punti di contatto con il cinema: penso ad “Exit” una commedia brillante che rimanda a Woody Allen o anche  “I vicini”  che presenta atmosfere Lynchiane e horror. Com’è il tuo rapporto col cinema?

Buono .Mi piace molto il cinema e mi piacerebbe scrivere e realizzare film come regista. Ho continuato a scrivere soggetti e sceneggiature , a proporre progetti che però non si sono concretizzati.

Come è nata l’esperienza di “Texas” uscito nel 2005 e che ha riscosso buoni riscontri di critica e di pubblico?

E’ nato grazie al teatro. Il regista Giuseppe Piccioni è venuto a vedere una mia commedia in un piccolo teatro di Roma. Lo spettacolo gli è piaciuto e mi ha suggerito di scrivere subito un soggetto che è stato sottoposto a Domenico Procacci della Fandango. L’idea è stata accettata e così insieme a Iris Fusetti e Carlo Orlando abbiamo scritto la sceneggiatura ed il film è stato realizzato.

Il film è stato presentato alla “ 62 Mostra del cinema di Venezia” ed ha avuto una nomination al David di Donatello come opera prima nel 2006 . Racconta  la vita di un gruppo di amici di un piccolo paese attraverso le vicende di tre notti; uno sguardo sulle loro esistenze e sui loro problemi quotidiani. Una sorta di “fotografia di una generazione”  alla ricerca del proprio posto e luogo nel mondo.

Il nostro intento allora è stato quello di scrivere e realizzare un film popolare, pensavamo avesse le caratteristiche per un successo commerciale . Mi ha stupito tantissimo e ci sono rimasto anche male all’epoca, nel vederlo trattare  sia dalla critica che dal pubblico, con  giudizi  positivi e molto approfonditi, quasi  fosse un film di “Bergman” . E’ stato considerato un film d’autore , da circuito d’essai, tutte cose che mi hanno  fatto  piacere però io avevo un altro immaginario quando l’ho pensato.

Un’altra cosa che è stata messa in evidenza in “Texas”  è  il rapporto col territorio, con la zona di Ovada , dove il film è stato girato e dove tu hai vissuto,  visto come simbolo di una certa provincia italiana.

Io odio l’idea di territorio in questo senso. Una cosa che mi piace del teatro è che “quel posto è nessun posto”. La capacità di astrazione che ha il teatro è formidabile; quando si apre il sipario e si vede un appartamento il pubblico non si domanda dove sarà quell’appartamento. Nel cinema invece per una sorta di presunzione di realismo, appena si fa vedere una casa, una città , delle persone, si pensa subito a collocarli geograficamente.  Con il cinema americano ciò non succede perché Los Angeles, New York sono luoghi della mente ,appartengono all’epos ed allora  ci si concentra sulla storia. Se invece si ambienta un film a Torino sembra automatico pensare a un storia di quel territorio. “Texas” già dal titolo  voleva raccontare  “una terra di nessuno”, una storia universale e invece è stato letto anche come un film ambientato ad Ovada e che racconta come vive la gente di Ovada. Non era questo ovviamente il mio intento.

Tu hai lavorato come attore per serie tv di grande successo. Per “Romanzo criminale” come è stata l’esperienza? E come consideri questo genere?

Stefano Sollima è un regista molto bravo ed è stato per me un set particolarmente piacevole ma quel tipo di lavoro non mi interessa molto .Come spettatore infatti non riesco a seguire un racconto seriale; mi stanco. Credo di non avere mai visto la serie completa di “Romanzo Criminale”. Mi interessa invece l’attenzione che esiste per questo genere di spettacolo, un fenomeno che sta crescendo .Si crea sicuramente negli spettatori una sorta di dipendenza e poi  la serialità tende ad essere “cronofaga” , mangia il tempo . Ci sono fasce di pubblico che hanno bisogno proprio di questo. Il tutto viene costruito con tecniche sofisticate di scrittura che creano attese e dipendenza. E questo anche come autore non mi appassiona.

Tornerai ad occuparti di cinema?

Dopo “Texas” ho scritto la sceneggiatura di una commedia dal titolo “Tre giorni di lavoro”, che mi ha impegnato parecchio ma poi il progetto  non si è concretizzato. Da poco ho iniziato a lavorare alla sceneggiatura di un nuovo film, che invece dovrebbe realizzarsi.

Come vedi la situazione del cinema italiano ?

Per questo nuovo progetto ho verificato la situazione a livello produttivo. I costi industriali nel cinema sono scesi  ma dall’altro lato sono scesi anche i ricavi. Mi dicevano che c’è crisi nella produzione e che sono calati gli incassi . Le sale fanno fatica a resistere, alcune chiudono e il cinema si sta specializzando sull’onda delle produzioni americane, su teen movie e commedie. E’ difficile oggi fare un film indipendente, perché  il cinema italiano di riferimento, che  interessa i produttori è piuttosto schematico. Ci sono i film da incasso e poi  ci sono i film  da Festival. Trovare una zona di sostenibilità per film che puntino sul racconto non è semplicissimo. Però questo progetto spero proprio di  realizzarlo.

Bene, alla prossima occasione d’incontro allora; magari per parlare proprio del nuovo film.

Paolo Borio

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