John Le Carré al cinema


john-le-carre-mediumdi Brian 77.
“La spia” è ancora nelle sale, ed è già entrato in post-produzione “Il nostro traditore tipo”, uscita prevista 2015, interpretato da Ewan McGregor e scritto dal Hossein Amnini di “Drive” e “I due volti di gennaio”.
A ottant’anni suonati, John Le Carré sembra aver finalmente sfondato anche nel cinema, soprattutto da quando ha cominciato a partecipare alla produzione dei film tratti dai suoi romanzi. La svolta si è avuta ai tempi di “Il sarto di Panama”, da allora è stato un susseguirsi di successi, ancor più che durante gli anni ’60 in cui Deighton e Le Carré arrivavano sullo schermo come anti-Bond sfruttando però la scia produttiva di 007. Ecco i titoli di un rapporto tra cinema e Le Carré a lungo controverso ma tutt’altro che disprezzabile: senza dimenticare le grandi serie tv “La spia” e “Tutti gli uomini di Smiley” interpretate dal grande Alec Guinness a cavallo dell’80, facendo dire a molti che forse la dimensione delle miniserie poteva essere la più adatta per le narrazioni complesse dei bestseller di Le Carré.

La spia che venne dal freddo (1965)
Il primo film tratto da Le Carré è il manifesto anti-Bond dello schermo: con Richard Burton nella parte di una spia a fine carriera che si finge alcoolizzato e alla deriva per farsi contattare dal controspionaggio di oltre cortina. Tutto raccontato in uno splendido bianco e nero, sottolineando le pause, le incertezze, il grigiore e il dubbio continuo che attanaglia la vita delle spie, fino all’esplosione dei grandi, ferocissimi tradimenti. Dirige Martin Ritt, a partire dal libro che impose il nome di Le Carré come star della letteratura spionistica.  ***

Chiamata per il morto (1966)
Dopo il successo di “La spia che venne dal freddo”, esce anche il film tratto dal primo romanzo di le Carré: dove un agente dello spionaggio inglese dà le dimissioni per meglio indagare sul misterioso suicidio di un collega, sospettando a ragione che ci sia dietro ben altro. Lettori delusi perché il mitico protagonista George Smiley viene ribattezzato Dobbs e la sceneggiatura si prende qualche libertà: ma la regia è di Sidney Lumet, i protagonisti sono James Mason e Simone Signoret, e sullo sfondo c’è pure l’immancabile Harry Andrews, gran caratterista di polizieschi e thriller inglesi dell’epoca.  ***

Lo specchio delle spie (1969)
Terzo libro di spionaggio di Le Carré (in mezzo c’era stato “Un delitto di classee”), e terzo film per il grande schermo: stavolta c’è un ex-agente polacco che viene ingaggiato per una missione pericolosa in Germania orientale, ma finisce in una trappola senza scampo cinicamente preparata da chi manovra i fili. La spy-story come feroce trafila di squallore, inganni e meschinità da universo burocratico: il cast comprende grandi attori come Anthony Hopkins e Ralph Richardson, ma la regia è dello scialbo Frank Pierson.  * 1/2

La tamburina (1984)
Un’attrice viene scelta dal Mossad come esca per catturare un inafferrabile terrorista palestinese: si lascerà sedurre dal gioco, un po’ per forza, un po’ per amore e un po’ per il fascino della finzione. Intrigante, con molto patetismo ma poco nerbo. Di George Roy Hill, con Diane Keaton protagonista: ci sono anche Klaus Kinski e Samy Frey.  **

La casa Russia (1990)
Editore londinese riceve il manoscritto di un dissidente russo ed entra in contatto con lui: ma s’innamora della donna che fa da tramite e finisce intrappolato nelle trame dei servizi segreti. La bella sceneggiatura di Tom Stoppard punta molto sulle vertiginose costruzioni verbali attorno al buco nero del mistero: ma poi il film gioca soprattutto la carta divistica del rapporto tra Sean Connery (l’editore) e Michelle Pfeiffer. Dirige Fred Schepisi, con particina per il regista cult Ken Russell.  ** 1/2

Il sarto di Panama (2001)
Agente inglese ricatta il sarto dell’alta società panamense per avere informazioni riservate: ma quello s’inventa un castello di menzogne che rischiano di travolgere tutti. Sembra solo una commedia spionistica beffarda e leggera, e invece è una riflessione apocalittica sui destini del mondo post-guerra fredda. Di John Boorman, con Geoffrey Rush, e con lo 007 Pierce Brosnan che “appartiene all’epoca post-ideologica: un vorace amorale senza scrupoli, un porco dell’era Thatcher-Reagan, allevato secondo gli ideali materialisti che incarnavano la storia d’amore di quei due là” (Le Carré).   ***

The Constant Gardener (2005)
Diplomatico inglese va in Kenya con la sua compagna e finisce coinvolto negli orrori delle grandi case farmaceutiche: la donna ficca il naso nelle ciniche sperimentazioni mediche fatte sulla pelle degli abitanti locali, lui si scontra coi metodi spietati dei colossi capitalisti. Dal regista di “City of God”, che applica la sua aggressività visiva a un thriller di solida efficacia: di Fernando Meirelles, con Ralph Fiennes.  ***

La talpa (2011)
Caccia all’infiltrato sovietico tra gli spioni del Circus di Sua Maestà britannica: la spy-story rinuncia all’avventura, al movimento, al thriller d’azione per rinchiudersi tra uffici ed archivi del controspionaggio, scrutare i volti impassibili dei suoi eroi impiegatizi, dipanarsi attraverso indizi e trappole occulte. Dallo svedese Thomas Alfredson di “Lasciami entrare”, con un ottimo Gary Oldman di ostentata impenetrabilità espressiva.   ***

La spia (2014)
Nell’Amburgo post-11 settembre, uno stagionato travet dello spionaggio tedesco è alle prese con un clandestino ceceno da usare come esca: tra dubbi, menzogne e incertezze dovrà però vedersela soprattutto con i tradimenti di superiori e americani. La spy-story incarna ancora una volta le angosce pubbliche e private più generali dell’uomo contemporaneo: e stavolta c’è anche un grande Seymour Philip Hoffman, in versione molto diversa dai soliti cliché del cinema americano indipendente in cui è rimasto a lungo intrappolato. Dall’Anton Corbijn di “Control” e “The American”.   *** 1/2

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