Centenario di Pietro Germi: mostra e rassegna a Genova


La sagoma scontornata di Pietro Germi è sulla porta ad accogliere i visitatori con la sua aria burbera e un po’ western. E all’interno della Sala Liguria di Palazzo Ducale si snoda la mostra che il Gruppo Ligure Critici Cinematografici ha dedicato all’autore di “Signore & Signori” nell’anno del suo centenario. In esposizione, foto di scena, locandine, pressbook, libri e riproduzioni di tutti i film del regista genovese: un pannello per ciascun film, per un totale di diciannove pannelli che ripercorrono l’intera opera da “Il testimone” (1946) a “Alfredo, Alfredo” (1972).

Nato il 14 settembre 1914 in pieno centro storico, figlio di un portiere d’albergo (curiosamente nell’edificio di via Ponte Calvi dove nacque c’è oggi proprio un hotel), Germi era cresciuto a Genova, aveva frequentato il Nautico e aveva anche avuto come insegnante di religione il futuro Cardinale Siri, chiedendo però ben presto l’esonero dalla sua materia. Non terminò del resto nemmeno gli studi, e appena poté si trasferì a Roma per frequentare il Centro Sperimentale, iscritto al corso di attore ma seguendo anche il corso di regia.

Il suo carattere aspro e polemico, ma anche la sua prepotente personalità d’autore e l’immediata competenza professionale, lo mettono subito in luce presso Blasetti e lo fanno considerare una delle grandi promesse del cinema italiano del dopoguerra. Ma la sua carriera è destinata a procedere tra continui equivoci, scontri e polemiche. Affermatosi in pieno neorealismo, Germi è subito attento alla realtà italiana, ma per raccontarla attraverso il filtro dei generi, i modelli del cinema americano, la passione per un racconto che sia al tempo stesso potente, popolare e impegnato. Si misura con il noir in “Gioventù perduta” e “La città si difende”, reinventa il western nel meridione italiano (“In nome della legge”, “Il brigante di Tacca del Lupo”), affronta con vigore epico il tema dell’emigrazione (“Il cammino della speranza”), si scontra ripetutamente con la censura, ha modo di collaborare con Fellini e Monicelli anch’essi a inizio carriera.

Poi, a metà anni ’50, la prima svolta, quando con “Il ferroviere” e “L’uomo di paglia” racconta le fragilità e le derive esistenziali che all’improvviso colpiscono uomini del popolo di mezz’età, portando tra i proletari quei problemi che sembravano fino ad allora riservati solo alla classe borghese. Ma non è finita, perché dopo aver realizzato il miglior giallo italiano (“Un maledetto imbroglio”, da Gadda), negli anni ’60 Germi si reinventa completamente, affrontando temi drammatici e arretratezze culturali dell’Italia negli anni del boom in “Divorzio all’italiana” e “Sedotta e abbandonata”, che gli valgono il grande successo internazionale, i premi a Cannes e agli Oscar, la stima di Billy Wilder e di tanti autori americani.

Il suo temperamento sempre testardamente in conflitto col proprio tempo lo porterà intorno al ’68 a un ulteriore svolta davanti alle trasformazioni ormai troppo vorticose per un uomo “all’antica” come lui: e da “Serafino” in poi, Germi finirà quasi emarginato, anche se morirà (1974) proprio nel giorno in cui cominciano le riprese di quello che doveva essere il suo nuovo film, “Amici miei”, destinato a un grande successo.

L’esposizione al Palazzo Ducale di Genova, curata da Claudio Bertieri, è ideata, realizzata e in larga parte finanziata dal Gruppo Critici ligure: durerà fino al 29 ottobre ed è a ingresso gratuito, collocata proprio accanto all’uscita della mostra su Frida Kahlo. Nel frattempo, al teatro Altrove di piazzetta Cambiaso, la Cineteca D.W.Griffith organizza una rassegna con alcuni dei film di Germi oggi più rari a vedersi. Si comincia con “Gioventù perduta” (6 ottobre), e si prosegue con “L’uomo di paglia” (il 13), “In nome della legge” e “Divorzio all’italiana” (venerdì 17), “L’immorale” (lunedì 20), fino alle prove di Germi attore in “Jovanka e le altre” e “Il rossetto” (domenica 2 novembre): tutte proiezioni in pellicola.

Postato in Eventi.

I commenti sono chiusi.