Bif&st 2014 – West di Christian Schwochow


di Renato Venturelli.
Germania Est, fine anni ’70. Una donna riesce finalmente a passare all’Ovest insieme al figlio, fingendo di avere un nuovo compagno. Spera così di lasciarsi definitivamente alle spalle un universo cupo di sospetti e umiliazioni soffocanti, ma appena arriva in occidente si ritrova in una situazione ancor più angosciosa, che la porta ai limiti di una vera e propria paranoia.
Presentato nel Panorama Internazionale del Festival di Bari, “West” è un film-incubo tratto da un libro parzialmente autobiografico di Julia Franck e diretto da un regista – Christian Schwochow – che era nato nella Germania Est più o meno nell’epoca in cui si svolgono i fatti. Lo spunto è potenzialmente notevole, e la protagonista Jordis Triebel riesce a rendere con efficacia il personaggio di questa donna che crede di poter affrontare una nuova vita più libera, ma si ritrova intrappolata in un mondo ancor più livido.
Appena giunta all’Ovest, viene infatti ospitata presso un centro per rifugiati, sottoposta ad umilianti controlli, interrogata da un inquisitore americano che continua a trattarla con sospetto. Si scoprirà che il suo precedente compagno forse non era davvero morto come le avevano fatto credere, e che forse si ritrovava al centro di un traffico internazionale di scienziati tra Est e Ovest.
Ma “West” non è un film interessato a seguire la sua pista più misteriosa ed enigmatica da spy-story d’epoca, e guarda invece all’esperienza individuale della sua protagonista, alle sue aspettative e alla sua angoscia. E’ infatti tutta la nuova vita all’Ovest che si rivela un altro incubo. Il figlio viene preso di mira a scuola dai nuovi compagni, proprio perché proveniente dalla Germania Est. Un uomo che vive da anni nel centro rifugiati viene perseguitato, trattato come una spia della Stasi, isolato e picchiato: è davvero un personaggio sordido, o si tratta della vittima incolpevole di un dramma storico che lo ha triturato, bloccandolo in quel centro di accoglienza e impedendogli di rifarsi una vita?
Il cuore del film diventa così questo limbo tra est e ovest, tra passato e futuro, il luogo che dovrebbe essere di speranza ma che si rivela invece un ghetto ossessivo: ovviamente carico di significati metaforici sulla storia di una nazione, ma con una sua autonomia narrativa tutt’altro che banale, anche se poi risolta in modo un po’ frettoloso.
(renato venturelli)

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