Bif&st 2014 – Onirica: Field of Dogs di Lech Majewski


di Renato Venturelli.
Il pubblico italiano aveva imparato a conoscerlo un paio d’anni fa, quando era uscito “I colori della passione”, il film modellato sulla Salita al Calvario di Bruegel in una sorta di sofisticatissimo quadro animato. Adesso Lech Majewski, 61 anni, polacco, sta per tornare nelle sale italiane con “Onirica: Field of Dogs”, il film presentato al festival di Bari e ancora una volta costruito su un’ostentata tessitura di riferimenti pittorici e letterari.
In questo caso il richiamo più esibito è quello a Dante e alla Divina Commedia, con i versi che compaiono sullo schermo scritti in inglese ma vengono recitati in italiano anche nella versione originale dalla voce fuori campo. Majewski dice del resto di amare da sempre Dante e di aver avuto una formazione largamente influenzata dalla cultura italiana, da Giorgio De Chirico (che conobbe a Venezia) a Dino Buzzati, da Antonioni all’amatissimo “Otto e 1/2” felliniano cui dedicò la sua tesi di laurea.
I riferimenti del film vanno però molto al di là della Commedia dantesca, e le immagini traboccano ad esempio di riferimenti alla pittura simbolista, con citazioni a volte puntuali e in altri casi meno esplicite (sembra di percepire qua e là anche l’atmosfera di un pittore come Jozef Mehoffer). Il protagonista di “Onirica” è infatti un giovane sopravvissuto ad un incidente in cui ha perso la vita l’amatissima fidanzata: pur essendo uno specialista di letteratura simbolista, adesso lavora distrattamente come cassiere di un supermercato, frequenta spesso le sale dei musei, ma soprattutto approfitta di ogni occasione per abbandonarsi al sonno e ricongiungersi in sogno alla sua amata.
Il sovraccarico di citazioni, i pistolotti filosofici e la lentezza di alcuni momenti fanno sì che il film rischi a volte di far scivolare anche lo spettatore in quella sospensione tra sogno e veglia cui ama abbandonarsi il protagonista. “Onirica” è però un film dalla qualità visiva sempre originale e sorprendente, un viaggio dai risvolti quasi surreali che non si limita certo al calco di opere pittoriche ma sa sempre inventare a partire da una tavolozza personale in cui spicca l’uso di rossi particolarissimi.
Del film resta così lo sguardo sempre sorprendente, anche quando Majewski filma la cassa di un supermercato o un salotto in circostanze ordinarie: e quando invece si abbandona alla sua vena più visionaria, è capace di far arare il pavimento di un supermercato da una coppia di buoi, con l’aratro che incide e solleva le piastrelle portando simbolicamente alla luce terreno e cemento sottostante. Un cinema visivamente forte, colto ed elaborato, in gran parte ancora da scoprire per lo spettatore italiano.
(renato venturelli)

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