“La più grave sospensione dei diritti democratici in un paese occidentale dopo la seconda guerra mondiale” è la frase di Amnesty International su cui si apre The Summit, il documentario di Franco Fracassi e Massimo Lauria presentato al Panorama Dokumente del festival di Berlino. Un film sul G8 genovese del 2001 realizzato per capire non solo che cosa è successo nelle strade di Genova in quei giorni, ma soprattutto che cosa c’era dietro quegli avvenimenti.
“Sono stati fatti tanti documentari, anche molto belli e importanti, su quello che è successo a Genova nel 2001” dice Lauria, che è nato in Calabria ma è cresciuto ad Arenzano, dove ha vissuto per vent’anni. “E’ però la prima volta che si fa un film per capire cosa c’era dietro. Non è credibile che singoli poliziotti o singoli reparti si fossero presi la briga di fare una repressione così dura, come non si era mai vista. E siccome il G8 non è un discorso solo italiano, abbiamo cominciato a ragionare su motivazioni di livello internazionale. Già allora, del resto, si sapeva che c’erano settecento agenti dell’Fbi in quei giorni a Genova. Il significato di quello che era successo doveva andare al di là di una repressione tutta italiana: a Genova c’era un collegamento di intelligence a livello internazionale”.
Quindi avete fatto un film-inchiesta anziché un film-testimonianza.
“Abbiamo intervistato un centinaio di persone, studiato filmati, documenti, atti dei processi. Siamo andati a parlare con esperti di tattiche militari informali, con l’ex-generale della Nato Fabio Mini, con le vittime della Diaz e della caserma di Bolzaneto, con poliziotti e carabinieri…”
E cosa avete concluso?
“Che c’era una volontà internazionale di reprimere in maniera esemplare quel movimento che si stava sviluppando a livello mondiale. Un movimento che non riguardava solo forze di sinistra, ma riuniva cattolici, associazioni religiose, liberali, contadini del nord e del sud del mondo… A Genova è stata attuata una repressione di massa in modo da evitare il confronto che veniva chiesto. Molti di questi metodi erano già stati sperimentati a Seattle, Praga, Napoli, a Goteborg c’era già quasi stato il morto: solo per un miracolo la vittima riuscì a sopravvivere. E a Genova vennero segnalate in modo preciso le persone violente che stavano arrivando: ma nessuno andò a fermarle. Non si capisce perché furono fatte agire nonostante si sapesse. Ci sono ordini della questura che sono stati completamente ignorati: invece di andare a prendere i black bloc che sfasciavano tutto, si andarono ad attaccare le tute bianche… Venne costruita una situazione senza possibilità di fuga, tra via Tolemaide e piazza Alimonda: tutto lascia intendere che lo scopo non era quello di disperdere la folla, ma di creare una vera e propria imboscata fino a far esplodere la tensione. Dal film si desume che la repressione del G8 genovese è stata una gigantesca operazione internazionale. Si voleva dimostrare al mondo che la piazza era pericolosa, che era meglio tenersene a distanza”.
Avete fatto un collegamento tra la repressione del 2001 e la crisi di oggi: la macelleria messicana come premessa alla macelleria sociale?
“La crisi economica che stiamo vivendo è frutto di quel G8, durante il quale sono state prese decisioni che hanno cambiato il volto di questo pianeta. A Genova è stato deciso che i mercati finanziari del mondo avrebbero potuto agire in pratica senza nessuna regola, facendo piombare il mondo in una recessione finanziaria, ma soprattutto sociale, di cui oggi viviamo gli effetti più drammatici”.
Come è stato accolto in film a Berlino? Che cosa ha interessato maggiormente gli stranieri?
“E’ stato accolto molto bene, pensa che al mercoledì mattina erano già tutti esauriti i biglietti per la proiezione del venerdì sera. Alla prima hanno chiesto di essere presenti il giornalista inglese Marc Cavell, massacrato alla Diaz, il parlamentare tedesco Hans Christian Stroebele, una rappresentante di Amnesty International. Il giorno dopo Stroebele ha presentato una mozione al Bundestag per obbligare la Merkel a fare pressione sul governo italiano, affinché Monti faccia riaprire una commissione parlamentare d’inchiesta in Italia”.
E il pubblico?
“Era interessato a capire meglio il movimento dei black bloc, le infiltrazioni, i gruppi militari, addestrati soprattutto negli Stati Uniti, che hanno compiuto atti serviti a giustificare l’attacco ai manifestanti pacifici. Un altro oggetto d’interesse erano le torture subite dai manifestanti: non dimentichiamo che le vittime erano in gran parte straniere. E poi il coordinamento internazionale: è la prima volta che un film sul G8 si concentra su questo aspetto. Finora era stato trattato come argomento nazionale. Non è così, il G8 è un evento mondiale e in questa prospettiva va visto”.
Si sa come e quando il film verrà distribuito?
“Abbiamo ricevuto diverse offerte, sia di distributori italiani, sia stranieri, ma abbiamo detto a tutti di no. Volevamo aspettare la fine del festival, per avere una distribuzione vera, al cinema: e adesso stiamo decidendo”.
(di Renato Venturelli)