È tornata la classe operaia, ma nell’età della globalizzazione la sua missione storica è radicalmente cambiata. Licenziato per estrazione a sorte, da lui stesso voluta, Michel, sindacalista di un cantiere navale della Costa Azzurra, si trova improvvisamente a fare i conti con la sua nuova vita da cassaintegrato in attesa di pensione. Nulla di traumatico, in fin dei conti: dopo una vita di lavoro, Michel ha davanti a sé un futuro autunnale, ma non nero. Una casa modesta di proprietà a pochi metri dal mare, una moglie che fa la badante e nulla mai gli rimprovera, due figli sposati, un pugno di nipotini da portare al mare, un amico d’infanzia che ha sposato la sorella di sua moglie e con il quale può trascorrere qualche sera a giocare a carte. Ma Michel ha troppa consapevolezza sociale per non sentirsi in colpa: la rivoluzione di classe non c’è stata e il mondo che la sua generazione ha consegnato a quella seguente è certo meno roseo di quello passato. Che fare? Con tono dimesso e asciutto, degno di un Ken Loach marsigliese, Robert Guédiguian (giunto a notorietà internazionale con Marius e Jeannette) mette in scena un film che è insieme etico e politico.
Il titolo deriva da una canzoncina popolare e dalla destinazione della settimana di vacanza che i colleghi e i parenti regalano a Michel e a sua moglie per l’anniversario di matrimonio. Sarà proprio quel carnet con i biglietti di viaggio a segnare lo spartiacque nello sviluppo narrativo del film. Poche sere dopo la festa al cantiere, infatti, due giovani incappucciati fanno irruzione in casa di Michel per rubargli tutto quello che c’è e svuotargli il conto corrente con le carte di credito, dopo aver picchiato sua moglie, nevrotizzato sua cognata e lasciato lui con una spalla lussata. Scoperto che uno dei rapinatori è un giovane ex collega, licenziato il suo stesso giorno, Michel lo denuncia d’impulso; ma poi si pente, anche perché viene ad apprendere che il ladruncolo ha due fratellini a carico, abbandonati dai padri e ripudiati dalla madre. Citando Victor Hugo, al quale in modo alquanto arbitrario viene attribuito il soggetto del film, a questo punto il discorso cinematografico si fa prevalentemente etico. Contro tutto e tutti, infatti, Michel e la moglie, dapprima all’insaputa l’uno dall’altra e poi insieme, si fanno carico di quei due ragazzini. Sconfitta sul piano economico-sociale, anche su quello ideologico, la classe operaia, almeno quella uscita dalla guerra di resistenza, si trova ora a dover fare i conti soprattutto con l’etica solidale e con lo scontro tra le generazioni, con i giovani (anche i propri figli) ormai vittime inconsapevoli della società dei consumi. Il fascino e l’originalità di Le nevi del Kilimangiaro stanno tutte in questo laico assunto morale. Nulla di urlato o di programmaticamente declamatorio, ma il racconto semplice di un recupero dei valori umani, contro la inconsapevole diffusione dell’immoralità nel tempo della globalizzazione, anche degli interessi individuali. E Guédiguian sa dire queste poche cose elementari con linguaggio semplice e chiaro: cosa di cui non si può che essergli grati.
(di Aldo Viganò)
Le nevi del Kilimangiaro
(Les neiges du Kilimandjaro, Francia, 2011)
Regia: Robert Guédiguian
Soggetto: dal poema Les pauvres gens di Victor Hugo
Sceneggiatura: Robert Guédiguian e Jean-Louis Milesi
Fotografia: Pierre Milon
Scenografia: Michel Vandestien
Costumi: Juliette Chanaud
Montaggio: Bernard Sasia
Interpreti: Ariane Ascaride (Marie-Claire), Jean-Pierre Darroussin (Michel), Gérard Meylan (Raoul), Maryline Canto (Denise), Grégoire Leprince-Ringuet (Christophe), Anais Demoustier (Flo), Adrien Jolivet (Gilles) – Robinson Stévenin (il commissario)
Distribuzione: Sacher
Durata: un’ora e 40 minuti