Rudolf Jacobs, il tedesco partigiano


rudolf jacobs
Era un ingegnere navale, era un tedesco di Brema, era un ufficiale della Kriegsmarine ed era, anche se solo per due mesi, un partigiano. Aveva 30 anni. Poi la sua machinenpistole s’inceppo la notte del 3 novembre del 1944. Era il momento sbagliato perché i resistenti, e lui con loro, avevano deciso di dare l’assalto ad un albergo di Sarzana trasformato in caserma di camice nere e in luogo di tortura.

Le replica a fuoco dei fascisti lo lasciò sul campo. Senza vita. Ora sotto quei portici c’è una lapide a ricordare il suo sacrificio. Troppo poco per un Paese che la memoria storica più di coltivarla la discute e la tira come una coperta secondo il vento dell’opportunismo politico. E così un docu-film di Luigi Faccini, “ Rudolf Jacobs, l’uomo che nacque morendo” s’impossessa del suo ricordo trasformandolo in un laboratorio di fiction e non fiction al tempo di Internet.
Quando arrivò a Lerici nel 1943, Rudolf Jacobs aveva ricevuto l’incarico da Rommel di studiare e realizzare un piano perché quel lembo di costa non si offrisse troppo facilmente ad un possibile sbarco alleato. Jacobs lavorò al progetto ma prese anche contatto con le forze che si opponevano alla svastica. Libertà, umanità e pietà erano calpestate ogni maledetto giorno. E lui non sapeva, non poteva e non voleva guardare altrove. Poi dopo il 20 luglio, il fallimento dell’attentato a Hitler e la susseguente reazione stragista del regime lo convinsero: era scoccato il tempo della scelta. Di campo, senza ripensamenti e senza ritorno. Nel settembre smise la divisa dell’invasore, salì sui monti con una formazione partigiana e a novembre andò incontro all’annientamento. Lo tradì la pistola non certo il coraggio. Già, paradossalmente, nacque una seconda volta spirando nella carneficina, proprio come il titolo dell’evocazione che Luigi Faccini ha prima firmato in un libro e ora sullo schermo.
“Rudolf Jacobs” ha qualche momento di narrazione, attraverso l’interpretazione partecipe di un non professionista, il bergamasco, Carlo Prussiani. Il resto è creazione e invenzione di un format: la macchina da presa ha una doppia guida, Marina Piperno produttrice e coautrice, e il monitor del computer attraverso il quale si compone il quadro informativo, mentre la voce fuoricampo, dello stesso Faccini, dettaglia testo e contesto storico. Da una banca dati, Internet, quindi da un corpo tecnologico, scaturisce un’anima che è passionale e fervida in una rappresentazione che non rispetta consuetudini e codici. Diventa un esempio di una mutazione dell’arte nell’era della sua riproduzione tecnica. Niente si adagia nella normalità in “Rudolf Jacobs” tanto che le sequenze assumono anche la valenza di una finzione nella finzione: Marina Piperno e Luigi Faccini sembrano, e lo sono, impegnati nella perlustrazione dei luoghi di ripresa di un film per la televisione che non si farà mai. E la coppia lo sa, perché a Viale Mazzini hanno già risposto che l’impiego di capitali, per esempio, in uno sceneggiato su un santo avrebbe certamente garantito il doppio o il triplo degli indici di ascolto sull’esistenza “straordinaria” di un tedesco che non faceva miracoli ma preferiva combattere contro boia e aguzzini.
Non importa: i “no” spesso aguzzano l’ingegno e permettono di mettere in atto quanto magari non sarebbe stato possibile per una fruizione abituata all’omologazione del gusto e del pensiero. Ecco perché “Rudolf Jacobs”, evento speciale di Controcampo Italiano alla Mostra di Venezia 2011, è importante, tanto da dover raggiungere un pubblico che ha il diritto di vedere e di sapere, compresa ovviamente la platea scolastica. E Faccini conclude la sua fatica poetico-politica, nel senso migliore di un termine abusato e logoro di cascami ideologici, filmando la maratona-staffetta che un gruppo di persone ha organizzato per rimembrare quello stano “crucco” che si fece uccidere in Lumigiana anche nel segno e nella speranza di una Europa che forse verrà. Ma che, ad oltre mezzo secolo di distanza, si ferma ancora all’ingresso dei Palazzi delle Borse o nei corridoi delle reti televisive.

(di Natalino Bruzzone)

Postato in Festival di Venezia, Numero 95, Recensioni.

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