Rassegna le strade del noir – Introduzione

Vi siete mai chiesti perché è tanto difficile dare una definizione di noir, pur sapendolo riconoscere? E perché questo non accade con altri generi cinematografici, come il western e il musical?

Ebbene, i generi sopra citati sono stati da subito identificati, basti pensare che nel periodo d’oro di Hollywood (dagli anni ’30 fino agli anni ’50 circa) le case di produzione si specializzavano in uno o due generi. Ad esempio, se si andava al cinema a vedere una pellicola targata Universal si sapeva che il film era un horror o un fantasy, oppure se il prodotto era della Warner il pubblico si aspettava d’impegnarsi con un gangster movie.

Quindi, questi generi erano già ben identificati da produttori e spettatori, avevano delle caratteristiche più o meno fisse (ambientazione, stile, magari il finale), da cui sceneggiatori e registi non potevano sottrarsi.

Per quanto riguarda il noir, la questione è totalmente diversa: negli anni ’40 produttori, registi e sceneggiatori non erano coscienti di dare vita ad un nuovo filone cinematografico, ma credevano di fare semplicemente dei polizieschi o dei drammi con storie criminali tratti dalla letteratura hard-boiled o simili.

La definizione di noir è stata data da alcuni critici francesi nel dopoguerra, quando avevano notato che una serie di film realizzati tra gli anni ’40 e ’50 avevano certe caratteristiche, di stile e di temi, in comune. In un suo saggio il critico Marc Vernet ha scritto in proposito una cosa provocatoria ma interessante, ovvero che il noir appartiene più alla storia della critica cinematografica che alla storia del cinema.

Tutto ciò ha fatto in modo che il noir, anche se con delle sue caratteristiche, fosse un genere più libero e meno rigido rispetto agli altri di Hollywood, un genere in cui, come verrà ribadito in seguito, i registi, gli sceneggiatori e i direttori della fotografia ebbero più libertà di sperimentare nuove forme di linguaggio cinematografico e di affrontare temi più critici verso la società contemporanea.

È proprio perché non ha regole rigide e non essendo quindi legato a molti vincoli, il noir risulta più difficile da definire, anche se spesso le sue atmosfere sono inconfondibili e ormai legate all’immaginario collettivo.

Ora andremo ad analizzare le sue caratteristiche, le sue origini e, infine, la sua evoluzione storica.

Per ragioni di spazio abbiamo scritto di tali problematiche in modo estremamente sintetico, quindi il risultato finale è sicuramente sommario e incompleto, ma abbiamo cercato comunque di percorrere a grandi linee la storia e i temi del noir.

Caratteristiche
La città nudaUno degli stereotipi che girano intorno al noir è che questo è un genere che racconta storie poliziesche, che ha come protagonisti detective privati o commissari. Se questo viene confermato da film fondamentali come ad esempio Il mistero del falco (J. Huston, 1941) e Il grande sonno (H. Hawks, 1946), non si può certo affermare che valga lo stesso per tutte le altre pellicole del filone. Infatti, anche se la figura dell’investigatore è spesso fondamentale, non tutti i noir hanno come protagonisti detective e simili, ma anche uomini alla deriva, magari ingannati e soggiogati da pericolose e spesso frustrate dark lady (la più tipica figura femminile del genere), insomma, uomini e donne che scivolano in un vero e proprio incubo.

Un caso esemplare risulta indubbiamente Viale del tramonto (B. Wilder, 1950), che ha una trama distante dal poliziesco, ma è comunque considerato uno dei capolavori del noir, proprio perché ha molte sue caratteristiche, come l’atmosfera sordida, l’inevitabilità di un destino ormai segnato, la soggettività della narrazione, ecc.

Appunto, l’incubo, le vicende oscure e/o complesse, l’incombenza del destino, la perdita della propria identità, il doppio, sono i temi che accomunano la gran maggioranza dei film noir.

L’atmosfera d’incertezza è una delle caratteristiche più rivoluzionarie del genere, in quanto nella Hollywood degli anni ’30 si tendeva a dare una certa sicurezza al pubblico, anche nei film drammatici, con una trame in genere lineari e piuttosto semplici.

Nel noir, invece, l’eroe cade in storie spesso confuse, piene d’inganni e tradimenti, in cui ogni volta che si scopre qualcosa di nuovo non si può mai essere davvero sicuri che la rivelazione sia veritiera.

Inoltre, il racconto è spesso soggettivo, il punto di vista è di uno o più personaggi specifici, quindi la storia perde parte dell’oggettività e dell’obiettività, il pubblico deve così tenere sempre uno sguardo distaccato e critico, essere pronto a diffidare di quello che gli viene narrato.

Il noir è per questi aspetti considerato uno dei generi più critici con la società americana, non solo perché c’è una corrente di “sinistra” del filone (il regista Dmytryk, ad esempio), ma anche perché fa vedere una società e dei personaggi che vivono nell’incertezza (anche e soprattutto psicologica), in contrasto con la civiltà della sicurezza propagandata dall’America. Del resto basti pensare a film come La fiamma del peccato (B. Wilder, 1944) o Sciacalli nell’ombra (J. Losey, 1950), che distruggono i valori e le idee del sogno americano, facendo vedere una squallida vita borghese e la potenza distruttiva del desiderio di denaro e ricchezza.

L’altra grande caratteristica del noir è quella di essere, a parte qualche eccezione, un genere essenzialmente urbano, sia che si tratti di una metropoli, sia che si tratti di una cittadina di provincia.

Se la grande città è spesso ripresa di notte, con vicoli bui e strade vuote, in cui il pericolo può spuntare da un momento all’altro, la provincia viene completamente dissacrata, in quanto all’inizio è mostrata come un luogo apparentemente pacifico e tranquillo, e successivamente come una realtà in cui si annidano criminalità, corruzione, ipocrisia e razzismo.

Due esempi possono essere il recentissimo A history of violence (D. Cronemberg, 2005), e il classico La morte corre sul fiume (C. Laughton, 1955).

Tali caratteristiche narrative e tematiche hanno un corrispettivo nella forma cinematografica.

In primis, la soggettività del racconto è dimostrata dalla voce fuori campo di uno dei personaggi e dall’uso di diverse soggettive.

Solo in pochi film la voce narrante è stata usata per dare maggiore oggettività al film, ed è il caso de La città nuda (J. Dassin, 1948), noir della corrente semi documentaristica, in cui la voce off è completamente esterna al racconto.

La soggettiva è stata impiegata anche in modo estremo e sperimentale, come in La fuga (D. Daves, 1947) dove per un terzo del film non si vede il volto di Bogart, e soprattutto Una donna nel lago (R. Mongtomery, 1947), in cui lo spettatore segue tutta la vicenda con gli occhi del protagonista.

Altra caratteristica stilistica tipica del noir è il flash back, il quale ha due funzioni principali: la prima è quella di spezzare il racconto, rendendolo più complesso e meno lineare, la seconda, forse la più importante, è quella di dare l’idea di un destino inevitabile e ormai compiuto, rivelando da subito allo spettatore come va a finire un determinato episodio o, addirittura, il film intero.

Un uso importante del flash back è stato fatto da Viale del tramonto, in cui a raccontare la storia è addirittura un morto e da I gangster (R. Siodmak, 1946) in cui i diversi tuffi nel passato frammentano la narrazione.

Quello che però rende questo genere cinematografico particolarmente riconoscibile, almeno a livello visivo è la fotografia, soprattutto quella in bianco e nero degli anni ‘40/’50.

Se si esclude la corrente semi-documentarista e magari qualche Lang, in cui le immagini sono nitide e senza particolari contrasti, la fotografia del noir è piena di luci e ombre deformanti, che contribuiscono a creare un’atmosfera inquietante e allucinata.

Altro aspetto visivo piuttosto ricorrente nel noir sono le inquadrature storte, le quali riflettono le vicende e le situazioni tortuose vissute dai protagonisti.

È per tutto questo che molti critici, specialmente i francesi, considerarono il noir come la spina nel fianco di Hollywood, un genere che da un lato rispettava i canoni classici e commerciali dello studio system, ma che dall’altro si prendeva delle libertà in più, scardinando il sistema dall’interno.

(di Juri Saitta e Nicola Garbarino)

Postato in SC-Rassegne, Spazio Campus.

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