La storia mai raccontata – Intervista a Rachid Bouchareb


Rachid BoucharebPresentato in competizione all’ultimo Festival di Cannes, dove ha suscitato polemiche a non finire, Uomini senza legge comincia dove finiva il precedente film “storico” di Rachid Bouchareb, Indigènes, l’omaggio del cineasta franco-algerino ai combattenti d’Africa che parteciparono alla guerra di liberazione francese: con il massacro di Sétif nel 1945. Le accuse di revisionismo che il deputato Lionnel Luca e altri componenti del UMP e del Fronte Nazionale hanno istigato contro il film si dimostrano infondate, irresponsabili e inutilmente sediziose fin da questa prima scena, la più incriminata. Raccontando la guerra d’Algeria attraverso tre personaggi, un militante esaltato e fautore della lotta armata, un partigiano non-violento e un individualista senza ideologia, Bouchareb libera un affresco politicamente sottile, sofferto e stratificato sulla lotta d’emancipazione del popolo algerino. E traccia un percorso cronologico dentro un’altra storia della Francia, di cui interroga cattiva memoria e rimozioni, per rievocare la complessità dei legami tra due nazioni sorelle e nemiche, la Francia e l’Algeria, incapaci di trovare l’armonia per la volontà di dominare dell’una e di sottrarsi al giogo dell’altra. Ma Uomini senza legge è anche un’opera dalle ambizioni spettacolari, con delle scene d’azione e di massa ben congegnate, una saga familiare ispirata ai film gangster di Scorsese e Melville, con un tocco alla Rocco e i suoi fratelli. È importante che il cinema francese coltivi le zone d’ombra della storia del suo paese e non è indifferente che per la prima volta il conflitto franco-algerino sia raccontato dagli eredi diretti di questa storia, il regista e gli attori, puri prodotti della decolonizzazione.

La presentazione del film a Cannes è stata funestata da polemiche feroci, dalle manifestazioni dei “pieds noirs” e del Fronte Nazionale. A mente fredda, perché secondo lei il film ha scatenato reazioni così violente?
Non lo so, ma se volevano guastarmi la festa ci sono riusciti. Avere un film a Cannes è sempre una gioia per chi ama il cinema e stavolta non me la sono goduta affatto. Ero preparato alla discussione ma non mi aspettavo delle reazioni così plateali. La cosa che non riesco a capire è perché la gente si sia ferocemente scagliata contro il film senza averne visto nemmeno un fotogramma. Volevano impedirne l’uscita come è accaduto con La battaglia di Algeri, ma stiamo parlando di 50 anni fa. Proibire oggi la distribuzione di un film è insensato. Quanto alle accuse di sentimenti anti-francesi credo che il film parli da sé, può piacere o meno ma di certo non è animato dalla faziosità o dall’odio.

Evidentemente in Francia non si può ancora parlare con serenità della guerra d’Algeria…
Sono nato a Parigi ma la mia famiglia è algerina, ho dei ricordi vividi della guerra, ci sono immagini, voci e racconti che fanno parte della mia infanzia ed era inevitabile che prima o poi avrei girato un film sull’argomento. Ma prima ancora di essere un’opera di ricostruzione storica, Uomini senza legge è un film sull’ingiustizia. Dopo 120 anni di colonizzazione, arriva un momento in cui il desiderio di riconquistare la libertà diventa insopprimibile. La storia di questa famiglia inizia nel 1925 quando viene privata della propria terra. La questione che pongo è semplice: fino a quando gli uomini possono tollerare queste forme di apartheid?

C’è anche, al di là delle questioni personali, il desiderio di raccontare la Storia da un punto di vista nuovo, di fare i conti con un passato della Francia che non è innocente o facilmente edulcorabile.
Sì certo, Indigènes e Uomini senza legge nascono anche da questo impulso. I francesi, gli algerini, i maghrebini e gli africani, soprattutto le nuove generazioni, hanno bisogno di conoscere il passato coloniale della Francia. Uno dei compiti del cinema è raccontare storie che nessun altro vuole raccontare. Ma, quando va al cinema, lo spettatore vuole soltanto vedere un film, non leggere un libro di Storia. Di questo sono convinto nel profondo. Il film dovrebbe suscitare un dibattito d’idee tra punti di vista diversi, denunciare la complessità degli eventi non illudersi di poterli ricostruire. Se parliamo della strage di Sétif, per citare l’episodio che ha scatenato la bagarre, è opportuno che gli storici di Francia e d’Algeria lavorino insieme per scrivere la memoria comune dei due paesi in tutta libertà, lontani una volta per tutte dalle polemiche sulla guerra d’Algeria. Il cinema può farsi latore di questi interrogativi, è un luogo dialettico dove si incontrano testimonianze e memorie diverse e non certo la voce ufficiale di una versione piuttosto di un’altra.

A proposito d’ingiustizia, il modo in cui i tre fratelli protagonisti reagiscono alle offese degli eventi è completamente diverso…
Quello che mi interessa è catturare la microstoria nella flusso della grande storia, per questo volevo mostrare come ciascuno dei personaggi cerchi di plasmare il proprio destino in condizioni di dolore e avversità. Due di loro decidono di entrare nella resistenza e scelgono l’azione, mentre il terzo è convinto che l’ascesa sociale e il successo economico gli consentiranno di guadagnare l’indipendenza più facilmente. Credo che quello che vivono i tre fratelli nel contesto franco-algerino sia universale, potrebbe accadere in Irlanda, in Cile o in Italia, durante la resistenza partigiana.

Lei ha spesso parlato, a proposito della genesi del film, dell’influenza del cinema più che dell’ideologia, citando in particolare l’importanza di film come L’armata degli eroi o C’era una volta in America.
Melville è un modello importantissimo per Uomini senza legge, le atmosfere tese e cupe di L’armata degli eroi sono state un riferimento che ho sempre avuto nella testa. Il film è costruito come un affresco che attraversa quarant’anni di storia, con grandi scenografie, delle sequenze d’azione complesse e dei costumi minuziosamente ricostruiti. I personaggi gestiscono la rivoluzione come Il padrino di Coppola gestirebbe la famiglia e i suoi affari. Ho ripensato spesso a film che ho amato molto come Viva Zapata! di Kazan o C’era una volta in America di Leone. Volevo che lo spettatore si imbarcasse e vivesse un’esperienza fatta di emozioni forti, perché un film deve essere soprattutto un piacere cinematografico intenso, accessibile al grande pubblico.

(di Roberto Pisoni)

Postato in Interviste, Numero 93.

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