Il maliardo al cinema


Carlo DapportoLa mediateca di Sampierdarena ricorda Carlo Dapporto, nato a Sanremo cent’anni fa
Cent’anni fa nasceva a Sanremo Carlo Dapporto, il re della rivista italiana, il dominatore dei palcoscenici anni ’50 col suo personaggio di viveur, l’elegantone pieno di fascino e di autoironia, di giochi di parole e di doppi sensi. Era nato il 26 giugno del 1911, e nei locali della riviera di Ponente aveva cominciato a lavorare giovanissimo, mettendosi in mostra con le sue imitazioni e il suo istintivo talento per lo spettacolo.
Finché si era trasferito a Milano («grazie a due amici camionisti») e lì aveva cominciato ad affermarsi anche a teatro, prima reinventando Stanlio e Ollio in coppia con Carlo Campanini, poi arrivando nel dopoguerra a fare compagnia con Wanda Osiris e ad imporsi come uno dei maggiori interpreti del teatro leggero italiano.
«Irresistibile, comicissimo, e di una comicità di prima mano ricca di calembours, di allusioni, di una mimica esatta come un orologio svizzero»
scriveva di lui Morando Morandini, ai tempi in cui recensiva gli spettacoli di rivista per “La Notte” di Milano. E, in un articolo del 1953, aggiungeva: «Diventa sempre più bravo, più duttile, più fine. E’ un attore, l’abbiamo ormai ripetuto in cento modi (…) Questo suo essere in bilico tra il tono sardonico, pochadistico, crasso della rivista e il ricorso a temi deamicisiani fa spesso scaturire impensati motivi, costituisce sempre una sorpresa».

Tra i grandi della rivista italiana dell’epoca, Dapporto resta uno di quelli che più sono rimasti legati al palcoscenico. Ma la sua presenza è stata intensa anche al cinema, soprattutto negli anni Cinquanta, quando era al culmine del successo.
«Mio padre è sempre rimasto molto legato a Sanremo, dove aveva la mamma, gli amici e la “fameggia sanremasca”: fino agli anni ’70 ci siamo
tornati ogni estate. – ricorda il figlio Massimo – Sentiva poi Milano come la sua patria professionale, quella che lo aveva portato al successo. Ma negli anni ’50 ci portò tutti a Roma, perché gli era stato fatto un contratto dalla Ponti-De Laurentiis, e il cinema si faceva a Cinecittà. Non erano ancora gli anni della commedia all’italiana vera e propria, e andavano di moda i film ad episodi in bianco e nero, in cui famosi attori di rivista interpretavano sullo schermo i loro sketch. Mio padre fece molti di questi film, anche se uno dei titoli di cui mi parlava più spesso era Il vedovo allegro, degli anni Quaranta».

In effetti, Dapporto ha interpretato nella sua carriera una quarantina di film, e non sempre ispirati al mondo della rivista. La Presidentessa (1952) di Pietro Germi è forse uno dei più prestigiosi, e lo vede coprotagonista nel ruolo del ministro francese che perde la testa per Silvana Pampanini. La signora è servita (1945), di Nino Giannini, era tratto da una sua idea. In Il vedovo allegro di Mario Mattoli (1949) è un gestore di night sulla Costa Azzurra che si reca sempre a Sanremo, facendo ingelosire l’amante: ma si scopre che va solo a trovare la figlia malata. In Ci troviamo in galleria (1953) di Mauro Bolognini interpreta un comico di terz’ordine che sposa una cantante sconosciuta (Nilla Pizzi) e la porta al successo: è probabilmente il più pregiato tra i suoi film sul mondo della rivista, accanto a titoli come I pompieri di Viggiù, Botta e risposta (di Mario Soldati), Baracca e burattini, Accadde al commissariato, Finalmente libero, Giove in doppiopetto, A sud niente di nuovo
e così via, film dove è spesso protagonista. Fino a quando Alberto Sordi lo volle in Polvere di stelle (1973), per una rievocazione di quel mondo realizzata a tanti anni di distanza.

Ma il film più importante di Dapporto resta uno degli ultimi: La famiglia di Ettore Scola (1987), dove ha per la prima volta un personaggio a tutto tondo, del tutto estraneo ai suoi cliché abituali. E’ Giulio, il fratello di Vittorio Gassman, sempre alle prese con debiti e difficoltà
finanziarie: il ruolo che, negli anni della giovinezza, viene invece interpretato dal figlio Massimo. Il quale ricorda: «E’ il film che segna la sua piena maturità come attore. La difficoltà dei grossi comici è quella di restare sempre legati al loro personaggio, che il pubblico a teatro vuol sempre vedere.

Quindi tendono a non uscire dalle abitudini che hanno sempre garantito il successo e li legano al pubblico. Per questo mio padre aveva difficoltà a entrare in altri ruoli: lo ha aiutato la presenza di un grande regista come Ettore Scola, che lo ha spogliato delle convinzioni
sulla propria figura e lo ha fatto calare in un personaggio completamente diverso».
Per quell’interpretazione, Dapporto ottenne il Nastro d’argento come miglior attore non protagonista. Sarebbe morto poco dopo, a Roma, nel
1989: proprio il cinema, in fondo, gli ha offerto la grande occasione di dimostrare le sue capacità d’attore in modo più completo, e di permettere di verificarle anche alle generazioni successive.

Quanto al ricordo che ha lasciato, Massimo Dapporto confessa: «Mio padre mi manca, ma fino a un certo punto. Me lo porto tanto dentro: in fondo, mi basta alzarmi alla mattina, guardarmi allo specchio, e mi sembra di averlo davanti. Vorrei solo essere ancora un po’ più lui e un po’ meno me»

Postato in Liguria d'essai, Numero 93.

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