Contra el silencio – Conclusioni


La parola a un nuovo mondo
Contra el silencioChi si ricordava del fenomeno messicano di omicidi contro le donne iniziato nel 1993 o del loro sfruttamento nelle fabbriche di maquiladoras? Chi immaginava l’esperienza emotiva della reclusione? Chi rifletteva sul viaggio di speranza tra il sogno americano e l’incubo messicano? Chi di noi, oggi, è disposto a varcare la propria soglia di casa per dare un’occhiata a realtà celate dall’informazione quotidiana o smaltite nei ritmi frenetici della società odierna?

Un aiuto per conoscere e non dimenticare i temi delle donne, delle carceri e dei migranti è stato suggerito dal progetto “Contra el Silencio”, nato dalla collaborazione tra il Festival messicano Voces contra el Silencio e il Laboratorio di Sociologia Visuale della Facoltà di Scienze della Formazione di Genova. A raccontare le storie di un Sud America quasi sconosciuto sono stati i medio-metraggi di alcuni cineasti indipendenti vincitrici delle passate edizioni del Festival che si svolge a Città del Messico ogni due anni. Storie raccontate nel capoluogo ligure, presso il Teatro della Tosse, Sala Agorà, perché come spiega Luca Quierolo Palmas, ricercatore dell’Università di Genova “Genova è la capitale dell’America Latina in Italia essendo la città italiana col più alto tasso di immigrazione sudamericana e grazie a questo Festival vogliamo approfondire il tema del fenomeno migratorio prendendo atto delle storie che accompagnano gli stranieri nel nostro Paese”.

Storie narrate attraverso le nuove tecnologie e i circuiti alternativi dell’audiovisivo che, come dichiarato nel primo punto del manifesto dei ricercatori genovesi in Sociologia “consente di far circolare i prodotti della ricerca su pubblici più larghi, collocando gli oggetti culturali prodotti dalle scienze sociali su terreni di sfida dell’egemonia culturale, per costruire l’immagine in una società di immagini”. L’obiettivo del progetto è quello di garantire spazi di legittimità, narrazione e circolazione per le voci, gli attori e gli immaginari che non hanno accesso alla sfera della rappresentazione pubblica.

Si realizza pertanto il pensiero di J.L Comolli di “aprire il racconto di un mondo chiuso”, di “togliere le maschere dalla società dello spettacolo, dalle convenzioni” ponendo la telecamera non “sopra” ma “di fianco”, non “su” ma “con” l’oggetto ripreso.

Sono i primi piani delle mani di donne che dipingono croci rosa o che simulano il lavoro in fabbrica a porre lo spettatore lì vicino a loro. Sono le inquadrature a ritrarre il quadro delle emozioni di occhi nascosti dietro le sbarre della vita o a catturare le voci di speranza di quel viaggio tratteggiato dalla storia delle migrazioni americane.

É la magia del diretto, la forza dell’empatia a fondere significato con significante, forma con contenuto della pellicola. É il cammino di reciproca scoperta tra filmante e filmato a spostare l’accento, con parole di N. Philibert, dalla parola “soggetto” al termine “progetto”. Ed è in questo percorso che quei corpi di donne, di migranti, di braccianti e di pescatori si armonizzano nell’unicum della telecamera, sincronizzando il tempo di chi inquadra con quello di chi è inquadrato e facendo così combaciare la percezione della durata con la durata della percezione.

Sono minuti di vita messicana sospesi nel tempo di tutti e nello spazio di nessuno; sono ore di realtà rubate al silenzio delle istituzioni e aperte alla sfida della “persistenza della memoria”.

Sono pellicole “prodotte da” il coraggio di narrare e narrarsi e “produttrici di” avvenimenti e situazioni multiple e sfaccettate. Non semplici ri-produzioni ma reciproche produzioni che oscillano tra il regista e gli oggetti ripresi, tra il loro insieme e lo spettatore, tra quest’ultimo e la sua conoscenza.

É una commistione di saperi antropologici, sociologici e tecnici a lottare Contra el Silencio, a far nascere progetti fruibili da tanti, ad alimentare dibattiti aperti a un pubblico eterogeneo. Ognuno con la sua piccola o grande storia da raccontare, da condividere, da confrontare in un cinema concepito come praxis, in un cinema che è informazione totale, ricerca sul campo, emozione pura, vita vissuta.

Perché noi, oggi, viviamo in una società dove come insegna E. Goffman “passiamo tutto il tempo a dare spettacolo, non informazione”. E allora, sulle tracce della rassegna cinematografica è arrivato il momento di fare un passo in avanti dalla propria soglia di casa, di abbandonare le maschere dei luoghi comuni e di aprire il racconto a un nuovo mondo. Un mondo semplicemente aperto su tutto e su tutti. Un mondo della Comunicazione intesa nella sua più stretta radice etimologica: cum-munis, essere insieme in quanto destinatari di un dono.

(di Chiara Accogli)

Postato in SC-Rassegne, Spazio Campus.

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