Cheri

Poteva essere l’occasione di raccontare la Belle Epoque d’inverno, o almeno su uno sfondo autunnale coerente con quello in cui sta vivendo la cortigiana Lea de Lonyal (la sempre bella Michelle Pfeiffer), quando un’ex collega (Kathy Bates,in vena di gigioneria) le affida la cura del figlio scapestrato (il tenebroso e monocorde Rupert Friend), creando le premesse di uno squilibrato (almeno per età) amore destinato alla negazione del lieto fine. Ma, sempre più votato a un cinema decorativo, Stephen Frears porta sullo schermo i personaggi di Colette, immergendoli in un primaverile tripudio di giardini in fiore, di giganteschi cappellini decorati e di abiti di seta e di pizzo.

Sempre più prigioniera dello stile artistico con il quale viene identificata, la Belle Epoque precipita così inesorabilmente nel liberty e nell’art-deco, dando origine a un film fondamentalmente calligrafico e lezioso, così come (per rimanere nell’ambito del cinema di Frears) lo erano stati il Settecento francese raccontato in salsa erotica in Le relazioni pericolose, o il West End londinese ricostruito in Lady Henderson presenta, o anche gli intrighi di Buchingham Palace e dintorni evocati in The Queen. Tutti film costruiti intorno ai primi piani delle loro attrici protagoniste, proprio come Cheri, che cerca di trovare la sua ragion d’essere in quelli, numerosi di Michelle Pfeiffer. Film per attrici e film destinati soprattutto a un pubblico femminile, quali se ne sono fatti molti a Hollywood. Anche se, alla resa dei conti, il cinema del britannico Stephen Frears è estraneo a quello di George Cukor almeno tanto quanto la sua Belle Epoque è lontana da quella di Jean Renoir (French can-can) e Vincente Minnelli (Gigì), o anche solo da quella di Pasquale Festa Campanile (Il petomane).

Che resta allora, infine, dalla visione di questo Cheri, che unendo insieme due romanzi di Colette racconta una storia destinata a concludersi con la prima Guerra Mondiale? In fondo, solo l’odore un po’ appassito di un melodramma malinconico, che stempera la propria vitalità passionale in una compiaciuta prova di alta sartoria. Perché quelli che proprio mancano al film sono i personaggi, ridotti quasi sempre a icone di se stessi. E, se la Pfeiffer e la Bates, trovano almeno il modo di evidenziare la loro competenza attoriale nell’acidula esteriorità dei dialoghi che le pongono l’una contro l’altra, l’oggetto del loro contendere (il lanciatissimo, ma poco promettente Rupert Friend) non può far nulla per sottrarsi all’abbraccio mortale di sarti e parrucchieri ai quali Frears lo abbandona, lasciando che nella stessa superficiale melassa naufraghino anche tutti i personaggi di contorno, con l’unica eccezione della cameriera e dama di compagnia della protagonista (interpretata da Frances Tomelty), nei cui ironici silenzi, s’intravede forse la possibilità di un altro film, certo migliore.

Cheri
(Chèri, 2009)
Regia: Stephen Frears
Sceneggiatura: Christopher Hampton,dai romanzi di Colette
Fotografia: Darius Khondji
Musica: Alexandre Desplat
Scenografia: Alan MacDonald
Costumi: Consolata Boyle
Montaggio: Lucia Zucchetti
Interpreti: Michelle Pfeiffer (Lea de Lonyal), Kathy Bates (madame Peloux), Rupert Friend (Chèri), Felicity Jones (Edmée), Frances Tomelty (Rose), Anita Pallenberg (La Copine), Harriet Walter (La Loupiote), Iben Hjejle (Marie Laure), Bette Bourne (Baronne), Gaye Brown (Lilli).
Distribuzione: 01 Distribution
Durata: un’ora e 30 minuti 

(di Aldo Viganò)

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