Appaloosa

E’ curioso constatare come il cinema western, in questi ultimi decenni d’agonia, abbia ritrovato un po’ di respiro solo grazie alla testardaggine di alcuni ormai maturi attori che, fattisi registi, hanno visto nella mitologia della frontiera la via migliore per esprimere una loro etica visione del mondo, oltre che per valorizzare l’understatment di una recitazione che affonda le proprie radici nella grande tradizione del cinema hollywoodiano.

Aveva iniziato a sessantadue anni Clint Eastwood con Gli spietati, poi erano venuti il cinquantenne Kevin Costner (Terra di confine) e il sessantenne Tommy Lee Jones (Le tre sepolture); ed ecco ora che sulla stessa via si pone, a cinquantotto anni, anche Ed Harris, attore dalla laconica efficacia e già regista di un film biografico intitolato al pittore Jackson Pollock. Appaloosa è un western che non fa nulla per nascondere le proprie ambizioni a collocarsi nel solco della classicità crepuscolare del genere: lunghe inquadrature in campo lungo con esseri umani a cavallo che attraversano un paesaggio contaminato solo dallo sferragliare della ferrovia, veloci sequenze d’azione intervallate con altre dall’andamento ieratico e rotte da improvvise parentesi in tono da commedia. Vale a dire: un po’ di John Ford e un po’ di Howard Hawks, senza dimenticare mai una strizzata d’occhio a Sergio Leone che fa sempre moderno.

Ora, tutto questo concorre certo a rendere Appaloosa un film godibile, decisamente uno tra i migliori di questo inizio d’anno, ma nello stesso tempo ne fa un’opera nel complesso manierata, prigioniera come è di una concezione museale del western, cui troppo sovente la regia e la sceneggiatura (più che la recitazione) s’inchinano, sino a prostrarsi. Eppure il tema di fondo era suggestivo, con quei due non più giovani pistoleri che, al tramonto dell’epopea del west (l’azione è ambientata nel 1882, sei anni dopo la battaglia di Little Big Horn), passano dalla parte della legge, in cambio di pieni poteri e laute ricompense, quali appunto offrono loro i notabili di Appaloosa (cittadina del New Mexico, A sud ovest di Sonora, dove quarant’anni fa cavalcava Marlon Brando), nell’intento di non capitolare di fronte alle angherie di un possidente (Jeremy Irons) e della sua banda.

Tra i due nuovi sceriffi, Ed Harris e Viggo Mortensen, esiste un rapporto che ricorda un poco quello tra i protagonisti di L’ultima notte a Warlock: amicizia virile o latente omosessualità? Uno viene dalla prateria e l’altro da West Point, entrambi sono eroi stanchi di combattere e aspirano alla quiete; ma mentre Viggo Mortensen la trova nel letto di una saggia prostituta, Ed Harris cade sin troppo facilmente nella rete di una vedova (la sempre più insopportabile René Zellweger), la quale si rivela ben presto donna intenzionata solo di accasarsi e per questo femmina poco affidabile, sempre disposta ad accoppiarsi con il maschio che funge da capobranco. Situazione da commedia, si diceva, che il regista Ed Harris imposta correttamente sul piano narrativo, ma poi ha qualche difficoltà a gestire sullo schermo e per questo pasticcia alquanto, riuscendo comunque a dare il meglio di sé sull’altro versante del racconto (quello virile e crepuscolare) che si concretizza sovente in immagini di forte suggestione figurativa e drammatica.

Appaloosa
(USA, 2008)
Regia: Ed Harris
Sceneggiatura: Robert Knott e Ed Harris, dal romanzo di Robert B. Parker
Fotografia: Dean Semler
Musica: Jeff Beal
Scenografia: Waldemar Kalinowski
Costumi: David C. Robinson
Montaggio: Kathryn Himoff
Interpreti: Viggo Mortensen (Everett Hitch), Ed Harris (Virgil Cole), Renée Zellweger (Allison French), Jeremy Irons (Randall Bragg), Timothy V. Murphy (Vince), Luce Rains (Dean), James Tarwater (Chalk), Boyd Kestner (Bronc), Gabriel Marantz (Joe Whittfield), Cerris Morgan-Moyer (Tilda).
Distribuzione: 01 Distribution
Durata: un’ora e 54 minuti

(di Aldo Viganò)

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