Il Cinema Ritrovato XXX edizione: Universal, Becker, Technicolor…


CinemaRITR2016di Antonella Pina.

Il cinema ritrovato ha compiuto trent’anni e continua a regalarci sorprese e non di rado emozioni: una sorta di luna park per spettatori appassionati  con attrazioni fantasmagoriche che si susseguono e si sovrappongono, lasciandoti indeciso su quale illusione seguire e quale invece rimpiangere.  Quest’anno abbiamo trascurato La macchina del tempo: il cinema di Marie Epstein e il 1896. Anno 1 del cinema, uno splendido programma curato da Mariann Lewinsky  sui primi film dei fratelli Lumière, restaurati dall’Institut Lumière in collaborazione con la Cineteca di Bologna.  Abbiamo trascurato anche le rassegne dedicate al Cinema a colori in Giappone e all’altra storia del cinema argentino. E molto altro ancora. Naturalmente abbiamo qualche rimpianto ma non avevamo scelta: siamo stati letteralmente rapiti dai film della Universal Pictures: gli anni di Laemmle Junior;  dal Technicolor & Co; da Jacques Becker – L’idea stessa di libertà; dai Ritrovati e Restaurati….. insomma, per dirlo con le parole dei curatori del festival: dal Paradiso dei Cinefili.

Laemmle Junior, figlio di Carl Laemmle fondatore della Universal,  fu a capo della produzione  dal 1928 al 1936. Stanco di western e comiche a basso costo affrontò con determinazione opere coraggiose e sofisticate. Dracula, Frankenstein, All’Ovest niente di nuovo e Show Boat – che gli costò il fallimento – sono tra le sue più note produzioni. La Universal, per rendere omaggio a Junior – decisamente maltrattato in vita – e a questo grande periodo della sua storia, ha restaurato alcune pellicole ormai totalmente dimenticate. A Bologna ne sono state presentate  undici, alcune sconosciute anche agli addetti ai lavori. Le proiezioni erano programmate al cinema Jolly che ogni volta esauriva i posti a sedere.  Ve ne raccontiamo alcune.

Insieme a Bertrand Tavernier,  seduto alla nostra sinistra, abbiamo riso alle ingenuità e alle battute del mitico King of Jazz di John Murray Anderson del 1930. Il restauro della pellicola è risultato molto accurato, una parte del materiale mancante è stata ricostruita con singoli fotogrammi basandosi sull’audio originale. Il risultato è un film con lunghezza e qualità molto fedeli all’edizione del 1930. Si tratta di un musical ambizioso e originale, praticamente privo di trama, con inserimenti di cartoon e sketch avulsi dal contesto. Tutto ruota attorno a Paul Whiteman  – il re del jazz – e alla sua orchestra, e al grande cast di ballerini e cantanti, tra cui un giovane Bing Crosby al suo debutto cinematografico.

Only Yesterday (Solo una notte) di John M. Stahl del 1933 è stata una straordinaria rivelazione. Tutti noi conosciamo il film Lettera da una sconosciuta (Letter from an Unknown Woman) diretto da Max Ophüls nel 1948 e tratto da un racconto di Stefan Zweig del 1922. Molti di noi guardandolo oggi si emozionano ancora fino alle lacrime. Si vocifera di qualcuno che di fronte ad una bottiglia di Valpolicella – il vino che Louis Jourdan ordina per la cena con Joan Fontaine – abbia provato per anni una leggera emozione. Ebbene, grazie alla rassegna dedicata a Laemmie Junior abbiamo appreso che il racconto di Zweig era già stato portato sullo schermo, non solo in Europa da Alfred Abel nel ’29 con il titolo Narkose, ma anche negli USA: nel ‘33 John M. Stahl diresse Only Yesterday, tratto dall’omonimo saggio di Frederick Lewis Allen uscito nel ’31! Evidentemente Allen si era indebitamente appropriato dell’idea di Zweig.  L’intreccio della storia è lo stesso, cambia l’ambientazione: non più la Vienna romantica del primo novecento, governata da una rigorosa morale ottocentesca; ma la New York degli anni ’20, moderna e pragmatica, dove una ragazza madre poteva lavorare e vivere una vita agiata e serena sotto la protezione della zia suffragetta.  La Universal, accortasi delle straordinarie somiglianze con il racconto dello scrittore austriaco, riuscì a comprare i diritti da Zweig due settimane prima dell’uscita del film. Questo fu soltanto il primo problema, il secondo,  più grave e definitivo, fu l’applicazione, a partire dal ’34, del codice Hays: un vero e proprio codice censorio che non accordò l’autorizzazione all’uscita del film, dal momento che trattava situazioni ritenute scabrose, come l’adulterio senza l’inferno della punizione, la separazione consensuale e la vita di una ragazza madre non contrassegnata dal marchio della vergogna. Come molte pellicole girate a Hollywood negli anni ’30, nonostante la tragedia sullo sfondo, Only Yesterday ha il ritmo della commedia. Un bel film fino a pochi minuti dalla fine, quando l’inevitabile parziale happy end impone l’incontro tra il padre e il figlio.  Impossibile piangere, inevitabile un  sorriso un po’irriverente.

Back Street (La donna proibita) di John M. Stahl del ’32 con Irene Dunne e John Boles: un tristissimo e appassionante melodramma che avvolge e intrappola gli spettatori in un’ angoscia senza fine da cui è impossibile liberarsi se non molto tempo dopo il termine del film e solo grazie alla inevitabile passeggia che dal cinema Jolly porta alla gelateria Gianni. Un melodramma che tutte le donne non sposate innamorate di un uomo sposato dovrebbero vedere per poi decidere, senza alcuna esitazione, di iniziare un’altra vita. Ma forse queste sono problematiche d’altri tempi.

A House Divided (La sposa nella tempesta)di William Wyler del ’31 con un grande Walter Huston in un ruolo potente e tragico. A Wyler bastano poche sequenze perché il pubblico abbia un’idea precisa sulla natura dei protagonisti. Huston è Seth Law, uomo rude e imponente che vive in una piccola comunità di pescatori in un’isola del Pacifico. Quando il film inizia ha appena perso la moglie e sta cercando, con la brutalità che lo contraddistingue, di avvicinarsi a Matt, il figlio dall’aspetto e dai modi gentili che lui, per questa ragione, disprezza. A Seth occorre una moglie nuova. La trova per corrispondenza: si chiama Ruth, ha lasciato un Midwest stremato dalla Depressione, è giovane, ha modi gentili e quindi è affine a Matt. I due ragazzi si innamorano. Seth vede nel figlio un ostacolo di cui sbarazzarsi. Per difendere Ruth, Matt affronta il padre: Seth cade e resta paralizzato. Da quel momento si muove per casa minacciando e strisciando, ma quando la giovane sposa si ritrova in una barca in balia della tempesta, solo Seth, nonostante la mutilazione e la brutalità, avrà la forza di uscire in mare e affrontare la tempesta.

The Kiss Before the Mirror (Il bacio davanti allo specchio) di James Whale del ’33. Un film dal meccanismo narrativo molto particolare, dove la verità sulla nostra vita si svela soltanto come riflesso, attraverso gli specchi e nel volto di coloro che osserviamo. Paul scopre il tradimento dell’amata moglie Lucy guardandola allo specchio. La segue fino alla casa dell’amante e lì la uccide. Lo difende l’amico Walter, un avvocato molto noto, sicuro di sé e felicemente sposato. Quando Paul gli racconta i segnali attraverso cui il suo sospetto ha preso forma, Walter, lentamente, si rende conto che può riconoscerli anche all’ interno del suo matrimonio. Maria, la sua giovane moglie, lo tradisce. A questo punto la difesa perfetta che l’avvocato imbastisce non è diretta ad assolvere Paul ma se stesso. La sua arringa difensiva, esposta con trasporto e partecipazione davanti ai giudici e ai giurati, non riguarda l’omicidio già compiuto ma quello che ancora deve compiersi: anche lui intende uccidere la moglie. Walter aveva visto se stesso nella disperazione dell’amico, ora però l’angoscia di Paul non è più causata dal tradimento subito ma dalla perdita di Lucy. Grazie all’accorata difesa, centrata sulla mancanza di premeditazione e sull’oscuramento della ragione causato dal dolore, la giuria assolve l’omicida. Walter è così riuscito a far assolvere se stesso da un omicidio non commesso ma intensamente desiderato. Non  ucciderà Maria: lo ha già fatto virtualmente, può quindi andare oltre e perdonarla, cosa che Paul, suo malgrado, non potrà più fare.  Uno splendido Whale: grande anche al di fuori del film di genere.

 

Jacques Becker – L’idea stessa di libertà

Otto film per raccontare Becker: la sua idea di cinema e la sua grande versatilità, presentati da Jean Becker, figlio di Jacques. Ne ricordiamo alcuni.

Touchez pas au Grisbi (Grisbi) del’54, il più bel film noir del cinema francese, insieme a La Nuit du carrefour  di Renoir, come sostiene Bernard Eisenschitz. Un grande cast: Gabin ormai cinquantenne che per leggere deve usare gli occhiali, Lino Ventura al suo debutto cinematografico, Jeanne Moreau giovanissima. Il grisbi è il denaro, il malloppo ricavato da una rapina, è il motore della storia raccontata da Becker. Ma il cuore di questo noir è altrove: nell’amicizia tra due uomini che dormono con un pigiama a righe e che avrebbero dovuto invecchiare insieme.

Rendez-vous de juillet (Le sedicenni) del ’49 e Édouard et Caroline del ’51, entrambi con Daniel Gélin. Due film scoppiettanti sulla gioventù francese degli anni ’50, squattrinata e ribelle. Nel primo abbiamo un gruppo di amici che vanno pazzi per il jazz: le feste, gli amori, i tradimenti, i progetti per il futuro. Un tourbillon di emozioni. Nel secondo Becker racconta poche ore, dalle diciannove a mezzanotte, della felice ma burrascosa vita matrimoniale di una giovane coppia: un litigio e la riconciliazione. I due appartengono a classi sociali diverse, piccola borghesia lui e grande borghesia lei. Lui è un pianista, lei la deliziosa e un po’ capricciosa moglie del pianista. Becker si diverte a ridicolizzare i personaggi che si  muovono nell’ambiente da cui lei proviene. “Mio padre apparteneva alla grande borghesia parigina ma non ne andava fiero. Evidentemente aveva qualche conto in sospeso e con questo film si è tolto alcuni sassolini dalla scarpa”.

E poi Casque d’or (Casco d’oro) del ’52, con le grandi interpretazioni di Simone Signoret e Serge Reggiani,  forse il suo film più noto,  ma non il più importante. Il suo capolavoro è Le trou (Il buco), l’ ultimo lavoro: Becker muore prima di poter terminare il missaggio. Aveva 54 anni. Jean-Pierre Melville dopo l’uscita di Le trou scrisse sui Cahiers: “….io lo considero il più grande film francese di tutti i tempi.” E da Le trou proviene anche il titolo della retrospettiva. Fu Serge Daney a scrivere: “Con Le trou Becker ha filmato l’idea stessa di libertà.”

 

Concludiamo con un Technicolor & Co

Reflections in a Golden Eye (Riflessi in un occhio d’oro) diretto da John Huston nel ’67 e interpretato da Marlon Brando e Elizabeth Taylor. La copia originale in 35mm, technicolor “dorata”, è stata portata dalla Cinémathèque Suisse e presentata da Angela Allen che fu script supervisor del film. La Allen ha parlato dei due interpreti principali. Ora sappiamo che era semplice lavorare con la Taylor: arrivava in ritardo ma conosceva la parte. Lavorare con brando era più difficile: arrivava sempre puntuale ma non conosceva mai la parte. Dobbiamo dire che in questo film entrambi gli attori sono bravissimi, ma Brando, spesso un po’ sopra le righe, mette in scena una grande rappresentazione. Non era semplice interpretare un maggiore dell’esercito americano completamente indifferente al fascino della moglie Leonora (Elizabeth Taylor) perché tormentato e poi sopraffatto dalla propria omosessualità.  Si tratta di un film strano e enigmatico, un’ anomalia nella filmografia di Huston: immaginifico e onirico, spesso sull’orlo dell’eccesso. Il risultato però è eccellente e Huston, molto tempo dopo averlo girato, ebbe a dire: “A me Reflection in a Golden Eye piace. Penso sia uno dei miei film migliori”. Questa pellicola, oltre a Technicolor & Co, apparteneva anche ad un’altra sezione che abbiamo dovuto trascurare, l’Omaggio a Marlon Brando.

Il Cinema Ritrovato ha compiuto trent’anni: lunga vita al Cinema Ritrovato!

(Antonella Pina)

Postato in Festival.

I commenti sono chiusi.