Musica nei film: intervista alla Banda Osiris

banda osirisdi Paolo Borio.
La Banda Osiris nasce nel 1980 a Vercelli. Considerata la massima espressione in Italia della comicità nel teatro musicale è composta da Sandro Berti, Gianluigi Carlone, Roberto Carlone, Giancarlo Macrì. Ha realizzato spettacoli teatrali, concerti, partecipato a trasmissioni televisive di grande successo (Parla con me di Serena Dandini), trasmissioni radiofoniche (Caterpillar, Catersport, Sumo). Ha inoltre scritto ed eseguito sigle, colonne sonore per il teatro, per documentari e per il cinema , tra cui “Anche libero va bene” di Kim Rossi Stuart, “L’imbalsamatore” e “Primo amore” di Matteo Garrone per cui ha vinto l’Orso d’argento al Festival di Berlino e il David di Donatello nel 2004. Ha pubblicato vari Cd e libri e nel 2014 è uscito il testo “Le dolenti note” da cui è stato tratto uno spettacolo teatrale tutt’ora in tournée.

Incontro Gianluigi Carlone e Roberto Carlone, componenti della Banda Osiris, al Club Amici del Cinema in una presentazione pubblica, giovedì 7 gennaio nell’ambito dell’iniziativa “Insieme daremo spettacolo” , realizzata in collaborazione con il Teatro Archivolto e l’Associazione Amici dell’Archivolto. L’incontro avviene dopo la visione del film L’imbalsamatore di Matteo Garrone di cui la Banda Osiris ha firmato la colonna sonora. É l’occasione per parlare del mestiere del musicista per il cinema , delle varie esperienze avute, della collaborazione con alcuni registi italiani e più in generale della musica nel cinema.

La Banda Osiris opera ormai da trentacinque anni nel campo artistico musicale e molti sono stati gli spettacoli, le collaborazioni e gli ambiti di cui si è occupata. Come è avvenuto l’incontro con il cinema?

Casualmente abbiamo conosciuto Matteo Garrone agli esordi. Stava preparando il suo secondo lungometraggio che era “Ospiti” (1998) e ci ha chiesto di occuparci della colonna sonora. Noi non ci eravamo mai dedicati al cinema anche se nella nostra esperienza teatrale avevamo capito che la musica è un elemento molto importante ed anche nel racconto cinematografico può veramente fare la differenza. Abbiamo accettato con entusiasmo perché per dei musicisti occuparsi di cinema è un po’ un “sogno” che si realizza; lavorare sulle immagini è molto stimolante.

Così avete continuato la collaborazione anche per “Estate romana” (2000)

Si, un film sulla sua memoria di ragazzino e dell’ambiente culturale e artistico alternativo che ha vissuto tramite i suoi genitori; il padre critico teatrale e la madre notissima fotografa. Questo film comiciava ad avere toni più riflessivi ed esistenziali.

Il vostro stile musicale-teatrale è soprattutto allegro e divertente, con “L’imbalsamatore” (2002) i toni invece sono drammatici, noir. Come avete lavorato alla creazione delle “atmosfere musicali” di questo film che rappresenta uno snodo importante per la cinematografia di Garrone?

Nei nostri spettacoli è vero siamo comici e “giocherelloni” ma se lavoriamo per altri , ci mettiamo al servizio del progetto e se questo è drammatico, cerchiamo di affrontarlo e siamo stimolati dalla sfida. Prima siamo partiti dall’atmosfera, dai suoni che corrispondevano non tanto alle immagini quanto alle idee sonore che il regista ricercava. Abbiamo infatti studiato i suoni ma soprattutto i rumori. Sulle scene dei congelatori ad esempio, abbiamo fatto una lunga ricerca. Garrone si ispirava ai primi film di Lynch in cui i suoni sono dilatati e molto alti. Passo passo dai rumori e dai suoni siamo arrivati alle melodie dopo vari esperimenti e continui confronti con Matteo.

Alle colonne sonore poi è sempre richiesto un “tema” che sia identificabile.

Si, lavorando con i registi , coi produttori, c’è sempre la richiesta di una melodia.Per noi quella è l’ultima cosa. Prima viene la ricerca dei suoni del film; se occorre un violino, una tromba, un’orchestra. Questa è la cosa fondamentale poi si può arrivare alla melodia. Un tipo di colonna sonora un po’ vecchia quella che punta sui “temi” che oggi è tornata di moda ma è un passo indietro in un linguaggio che dovrebbe rinnovarsi costantemente.

Il modo di girare di Matteo Garrone è molto particolare.

La cosa interessante, almeno in quel periodo, era quella di avere un approccio molto teatrale. Scriveva le sceneggiature con impegno però poi stimolava gli attori e tutta la troupe a dare consigli, a proporre cambiamenti strada facendo. Girava anche le scene in modo sequenziale, cioè partiva dalla prima scena e l’ultimo giorno di riprese erano grosso modo, le ultime scene del film. Questo permetteva delle variazioni e di effettuare un vero e proprio percorso vissuto collettivamente da attori e tecnici.

Per “L’imbalsamatore” avete scelto atmosfere jazz che evocano un classico del cinema noir “Ascensore per il patibolo” di Malle, e a suonare la tromba solista avete chiamato Enrico Rava.

Quella jazz è stata la scelta che abbiamo subito concordato con Garrone, così abbiamo chiesto ad Enrico, con cui avevamo lavorato in teatro, di partecipare al progetto. Il giorno delle registrazioni eravamo piuttosto agitati; abbiamo preparato vari microfoni. Quando è arrivato Enrico in studio prima di tutto ha voluto andare a pranzo poi con calma ha preparato i brani. Per la registrazione ha scelto il microfono meno costoso ed ha improvvisato molto. Il nostro lavoro poi e stato quello di comporre i suoni alle immagini. Non so se lui sia stato contento del risultato perché abbiamo dovuto tagliare gli “assoli” e per un jazzista è come subire una pugnalata. Però il cinema impone questo.

Avete seguito le riprese del film?

Siamo stati sul set durante le riprese a Villaggio Coppola in provincia di Caserta, un luogo surreale. Era stato costruito un set a “misura” di Ernesto Mahieux, con appartamento e cucina in miniatura. Siamo rimasti impressionati dal lavoro sperimentale di Garrone, che passo dopo passo stava affinando il suo linguaggio filmico. Nelle scene finali dell’auto, ad esempio, abbiamo campionato dei suoni e creato un effetto simile al battito del cuore. Ci piace “sperimentare” miscelando suoni e rumori e all’epoca non era semplice, anche a livello tecnologico, realizzare quelle sonorità.

La collaborazione con Garrone è continuata con “Primo amore” del 2004 con cui avete vinto l’Orso d’argento a Berlino e poi il David di Donatello proprio per la colonna sonora.

Un lavoro totalmente diverso rispetto all’ “Imbalsamatore” . Siamo partiti con una musica molto complessa e ricca. Poi via via si è “anoressizzata” come la protagonista del film. Abbiamo tolto tantissimo facendo rimanere l’essenziale. Anche in questo caso una storia drammatica e molto intensa. Abbiamo lavorato soprattutto a livello tecnico sul suono. Lavoro che talvolta poi è vanificato dagli impianti sonori dei cinema. Al Festival di Berlino ad esempio è stato proiettato con le due sole casse dello schermo ed è andato perso tutto l’effetto di “surround” che avevamo creato.

Poi Garrone ha girato “Gomorra”, grandissimo successo dove ha utilizzato canzoni di autori vari e la collaborazione è terminata. Avete però curato altri film con altri registi: “Anche libero va bene” (2006) di Kim Rossi Stuart e “A casa Nostra” (2006) di Francesca Comencini.

Abbiamo perso il grande successo di Matteo che poi catapultato a livello internazionale ha operato scelte diverse anche per i successivi film. Dopo il premio a Berlino abbiamo però avuto molte richieste. Per “Anche libero va bene” è stato un lavoro difficile; Kim era molto teso per la prima prova registica. All’inizio era anche un pò incerto sulle musiche: chiedeva brani sul tipo dei Pink Floyd. Poi via via abbiamo individuato un percorso musicale preciso che ha portato ad un risultato per noi molto positivo. E’ stato però un periodo faticosissimo.

Nel 2011 avete curato il film “Qualunquemente” con Antonio Albanese e poi nel 2012 “Il comandante e la cicogna” di Silvio Soldini.

Siamo rimasti sorpresi che Soldini ci abbia chiamato per la colonna sonora.Intanto perché aveva sempre lavorato con Giovanni Venosta , nostro carissimo amico e poi perché nel suo cinema le musiche sono ridotte al minimo. Con lui però abbiamo lavorato bene ed è stata inserita una canzone scritta da Vinicio Capossela apposta per il film. Soldini è un autore molto attento e meticoloso in ogni fase della lavorazione.

Andate al cinema ? Quali film vi hanno colpito ultimamente?

Cerchiamo per quanto possibile di seguire il cinema, anche quello d’autore. Recentemente abbiamo trovato interessante “Tokyo Fiancée” di Stefan Liberski dove anche la colonna sonora con musica “seriale” e “minimalista” ha idee originali e fresche che danno forza al film.

Come si lavora oggi nel cinema italiano?

É sempre più difficile. Troppo spesso la musica per i film non parte da un progetto preciso ma rappresenta una sorta di tappeto di suoni messi lì velocemente. Le produzioni puntano al risparmio e non incentivano la qualità e la professionalità dei musicisti. In qualche caso poi, magari dopo mesi di lavoro, la colonna sonora viene rifiutata e non per idee migliori ma per scelte produttive .A noi è anche capitato di essere chiamati per le musiche perché con il nostro nome si potevano ottenere finanziamenti maggiori. A film relizzato però siamo stati sostituiti.Ultimamente poi i registi italiani più importanti si affidano a musicisti stranieri e ciò impedisce a chi fa colonne sonore di crescere ed affermarsi.

Per questo avete scritto il libro e poi realizzato lo spettacolo teatrale dal titolo “Le dolenti note – Il mestiere del musicista se lo conosci lo eviti”?

Il mestiere del musicista vive un momento difficile ma la musica per noi è stata importantissima.Vivere di musica e comunque lavorare in questo campo da trentacinque anni è stata una cosa bellissima. Dobbiamo ringraziare il pubblico e appunto la “musica”. Ovviamente in modo ironico e comico, come siamo abituati a fare, vogliamo soltanto mettere in evidenza che la situazione peggiora sempre più e non si percepisce la volontà di affrontare seriamente la questione. Musica, teatro, cinema, insomma più in generale la “cultura”, sembrano valori dimenticati e non beni da coltivare e promuovere.

Paolo Borio

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