KVIFF 2015 – George A.Romero: The Walking Dead è una soap opera…

walking deaddi Furio Fossati.
Quasi due metri di altezza, capelli bianchi e lunghi raccolti in una coda, il 75enne George A.Romero è il primo ospite dei Master del 50° Karlovy Vary International Film Festival, dove autori noti e divenuti icone del immaginario collettivo si prestano ad un inesauribile fuoco di fila di domande, rivolte soprattutto dal pubblico più giovane. Entra nella sala sorridente, accolto da convinti applausi: “Smettetela, per favore, se c’è qualcuno che merita gli applausi siete voi e i vostri genitori che mi hanno permesso di trasformare un bel sogno in realtà.”

Quanti anni aveva quando ha realizzato La notte dei morti viventi (Night of the Living Dead, 1968) e come è riuscito a trovare la maniera di realizzarlo.

“Avevo 28 anni e un paio di cortometraggi alle spalle. Come spesso capita a chi inizia l’importanza di avere amici è indispensabili, sia che ti aiutino con denaro che con consigli che lavoro non retribuito. Il budget di questo film era di USD 118.000 e non so neppure quanto alla fine abbia incassato. Quattro coraggiosi produttori ufficiali e il contributo di tante persone che credevano nel progetto. Quello che nessuno può negare è che ha dato vita ad un nuovo modo di intendere il film horror, non dico migliore ma diverso.”

The Walking Dead è la Serie TV di maggior successo attualmente, dove gli zombie sono visti più come esseri in grado di sentire emozioni ed amore che non come classici morti viventi. Hanno cercato anche la sua collaborazione?

“Mi hanno chiesto di girare alcuni episodi, non di partecipare realmente al progetto; in questa maniera per me è impossibile neppure pensarci. The Walking Dead è una soap opera dove hanno pensato bene di inserire qualche zombie per renderlo meno monotono. Dato il successo, hanno fatto bene, ma questo prodotto a poco da condividere con quanto realizzato da me e da John A. Russo. Per me erano personaggi che permettevano di fare satira sia sui costumi che sulla politica, a cui tutto era concesso perché erano morti”.

Survival of the dead – L’isola dei sopravvissuti (2009), presentato in vari importanti Festival tra cui anche la Mostra del Cinema di Venezia, è stato l’ultimo film da lei girato, tra l’altro non accolto in maniera entusiastica anche dagli spettatori. Ha deciso lei di non realizzare film o trova difficoltà?

“Se ti propongono sceneggiature dove nulla assomiglia a quello ce tu hai pensato, è difficile trovare un punto di accordo. Ho rispetto per il mio pubblico, per chi ha creduto in me e che leggerebbe come un tradimento che io accettassi di trasformare i zombie in personaggi che ne portano soltanto il nome, non le caratteristiche.”

Non la disturba di essere ricordato solo per i morti viventi?

“Innanzitutto ci si abitua e bisogna essere riconoscenti a chi si ricorda di te, a chi ti chiama perché racconti qualcosa di nuovo, sveli retroscena, fai conoscere meglio il tuo mondo. Ci sono tanti colleghi, pur validissimi, che hanno ottimi film ma non sono ricordati se non da pochi. Questo limite tale non è: dopo quasi cinquant’anni sento lo stesso trasporto da parte dei giovani e di chi giovane era quando il film è uscito. Mi creda, è una grande gratificazione”.

16 lungometraggi girati per il cinema, se si esclude l’episodio The Facts in the Case of Mr. Valdemar in Due occhi diabolici (1990) realizzato assieme a Dario Argento. Come mai la scelta di realizzare pochi titoli?

“Sembrerà strano ma non voglio scendere a troppi compromessi per girare e per questo dirigo solo quando ne sono convinto. Dario, amico vero, ogni tanto mi chiede di andare in Italia, ma anche lì non vedo grande possibilità per me e allora, scherzando, gli dico che la buona cucina italiana la posso mangiare senza spostarmi dagli Stati Uniti”.

Tom Savini, suo attore in vari film, ha realizzato nel 1990 il remake de La notte dei morti viventi. Un suo giudizio?

“Vuole una risposta sincera? Temo di sì. Savini è un buon attore che conosce bene il mio cinema e lo rispetta. Ho accettato volentieri di riscrivere la sceneggiatura ma, alla fine, posso dire che guardando il film mi sono divertito per cinquanta minuti. Poi non mi sono più riconosciuto”.

Che effetto le fa che i zombi siano tanto utilizzati sia al cinema, in teatro, in televisione, nei comic spesso con pochi punti di contatto con quanto da lei creato. La disturba?

“Non mi disturba né mi fa piacere. Quello che ho realizzato rimane mio, la mia roba rimane la mia roba e nessuno può distruggere quello che in certi casi è divenuto storia del costume. Utilizzo una frase del mio amico Stephen King che a una domanda sulla trasposizione non corretta di suoi romanzi nel cinema aveva risposto: “I libri non sono rovinati. Eccoli, perfetti, li vedi? Sono sullo scaffale dietro di me.”

Una curiosità. Lei usa Storyboard?

“Si e no. Pur essendo parte di una famiglia di artisti visivi con mio pare a dire poco bravo ed io stesso che me la cavo, non sentivo soprattutto al inizio la necessità di usarli. Poi, cambiando i budget e le responsabilità verso produttori e pubblico, alle volte li ho usati. Ma continuo a non considerarli indispensabili.”

In qualche momento della sua carriera, hanno cercato di convincerla a trasferirsi nel dorato mondo di Hollywood e di essere parte di quel sistema?

“Sì, è capitato molte volte e, ammetto, il fatto da me non era stato scartato a priori. Per New Line ho sviluppato alcuni progetti ma non hanno mai fatto un film, MGM ha acquistato uno script, e poi Fox lo acquistò da loro, e nel frattempo, stavo facendo script per Universal e Fox. E anche in questo caso niente di niente. Nessun film è stato mai fatto. Sette anni della mia vita, e nessuno ha realizzato una mia idea. Per questo che per sentirmi vivo ho realizzato a Toronto un piccolo film chiamato Bruiser – La vendetta non ha volto (2000) finanziato da una società francese. Le grandi riviste di cinema davano per sicuro il mio arrivo ad Hollywood, ma così non è stato.”

Quali sono i consigli che si sentirebbe di dare a nuovi filmaker.

“Bisogna scrivere sceneggiature anche se non si è sicuri che diverranno un film, gli attori che si scelgono devono essere amici o divenire tali grazie all’affiatamento della troupe, chi si vuole occupare di horror si ricordi che non esistono mostri, ma persone normalissime che si possono trasformare in tali. Soprattutto, credere in quello che si fa, per sempre.”

Furio Fossati

 

 

 

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