Deauville: omaggio a Harvey Keitel

keitel harveyAnche Deauville, come Hollywood, ha il suo Walk of Fame, trattandosi però di una piccola cittadina normanna i nomi dei divi del cinema non sono scritti nelle stelle ma nelle cabine lungo le planche, di fronte alla grande spiaggia che si affaccia sull’Atlantico. Una promenade decisamente meno famosa del boulevard di Hollywood ma molto amata dai divi americani che ogni anno, in settembre, arrivano qui, sulla Côte Fleurie, per presentare i loro film al Festival del Cinema Americano. Quest’anno, per la 38 edizione, le planche – già affollate a causa delle temperature insolitamente ancora estive – sono state sotto i riflettori per l’inaugurazione di tre nuove cabine, dedicate a tre grandi nomi del cinema: William Friedkin, Melvin Van Peebles e Harvey Keitel si sono concessi al pubblico per fotografie e autografi. Il Festival, in collaborazione con la Cinémathèque française, ha dedicato a ciascuno di loro una retrospettiva.

keitel harvey deauvilleE’ stato così possibile rivedere grandi pellicole come French Connection, Watermelon Man e Bad Lieutenant, il film diretto da Abel Ferrara che alcuni di noi ricordano per molte ragioni, non ultime: il finale, tra i più belli, sulle note di Pledging My Love cantata da Johnny Ace e la straordinaria interpretazione di Keitel: “uno dei suoi ruoli più impressionanti e più documentari, nel senso che il film è anche una sorta di ritratto dell’autore attraverso il personaggio del cattivo poliziotto che impreca, si masturba, si droga ed è preda dei suoi demoni”, per usare la parole di Serge Toubiana, direttore della Cinémathèque e curatore della retrospettiva. Certo guardandolo a Deauville, quei giorni apparivano lontani: uno splendido settantatreenne con i capelli grigi, corti e curati, gli occhiali e l’abito scuro, mentre firmava autografi e parlava con i giornalisti del suo piacere per il cibo e di quanto “ami i croissants francesi così diversi dai biscotti al cioccolato che mangiavo nella mia infanzia”. Un’infanzia trascorsa a Brooklyn dove forse sarebbe rimasto se non fosse stato irresistibilmente attratto dal cinema: “vedevo film di grandi autori e mi chiedevo come potessero riuscire a farmi comprendere storie così diverse da quelle che conoscevo. Per me era questa la magia del cinema ed ho voluto farne parte. Così ho attraversato il ponte e sono andato a Manhattan ad iscrivermi all’Actor’s Studio”.

Ha poi parlato dell’importanza che ha avuto nella sua carriera la visione de L’orologiaio di Saint-Paul e la successiva collaborazione con Tavernier, della passione per gli sketch dei Three Stooges, dei fiumi di denaro che Hollywood spreca nel cinema commerciale, della crisi che stanno vivendo alcune cinematografie dal passato glorioso, come quella inglese e di come, invece, il cinema italiano abbia ripreso vigore con grandi film come Gomorra e Il Divo.

(di Antonella Pina)

Postato in Festival, Numero 99.

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