“A simple life” di Ann Hui

a simple lifeUna storia semplice
Ci sono due personaggi che vivono – davvero: vivono, li sentiamo veri e vivi – nel film. Lei è una vecchia signora, avanti con gli anni e con gli acciacchi, si chiama Ah Tao, ha fatto la amah, la donna di servizio, per sessant’anni nella stessa famiglia, ha conosciuto nonni, genitori, figli, nipoti, una generazione dopo l’altra, fino alla quinta. Lui è Roger, l’ultimo della famiglia che è rimasto dove i suoi avevano sempre vissuto, a Hong Kong. Adesso che tutti si sono trasferiti negli Stati Uniti, Roger è il solo a essere rimasto ed è il solo che conosce Ah Tao. Non la conosce soltanto: le vuole bene, come a una madre, a una nonna, come a una persona che ha passato la vita standogli vicino senza mai chiedergli nulla e dandogli tutto il proprio affetto e la propria devozione.

È su questo rapporto tra una anziana e umile donna e un giovane che vive una vita attiva che si fonda il film. Roger ha un’attività nel cinema, fa il produttore e ha successo. Sa quanto deve essere riconoscente ad Ah Tao. Così, quando la donna viene ricoverata in ospedale, colpita da una paralisi, e deve essere seguita nella rieducazione, Roger si dedica a lei. La aiuta, la va a trovare, le cerca un posto in una casa di riposo, le fa sentire una vicinanza preziosa e sincera. La porta anche alla prima di un suo film, cosa inconsueta per Ah che si meraviglia che qualcuno possa uscire, poco educatamente, durante la proiezione.

La regista Ann Hui è tutta presa da questo rapporto tra i due personaggi, li ammira, li descrive e li segue come se non fossero dentro un film. Usa uno stile chiaro, preciso, senza enfasi: sa bene come non sia necessario fare qualcosa in più di quello che serve. Il rispetto e l’ammirazione per Roger e per Ah Tao si vedono bene proprio se lui e lei sono seguiti nella più tranquilla serenità, si notano ancor più se i due vengono mostrati come se fossero guardati da una macchina da presa invisibile e potessero così sembrare non attori ma persone, due persone che si vogliono bene. Ann Hui usa uno stile semplice come è semplice la storia che racconta: la semplicità è il suo modo di dire, di rispettare un sentimento, un momento, un gesto. Anche perché A Simple Life è la storia di una fine che si avvicina. Lo sanno sia Roger che Ah Tao. Sanno che è lì che si arriverà e che quel che conta non è quel momento ultimo: contano tutti i momenti, uno per uno, che devono ancora essere vissuti e percorsi da qui dove sono fino a quando si giungerà alla fine. La perfezione del film sta esattamente in questo: nel riuscire a dimostrare come la consapevolezza della fine non fa perdere neppure un istante dell’adesso.

Saggezza confuciana: se si è vivi bisogna vivere bene. Si festeggia con la famiglia tornata apposta dall’America. Si danno dei soldi a un ospite della casa di riposo, ben sapendo che non si tratta di un prestito ma di una donazione a fondo perduto. E quell’uomo, che userà il denaro per andare da una donnina, resterà anche lui legato a Ah Tao e arriverà con un mazzo di fiori per lei che non c’è più. Con Ah Tao se ne vanno tanti ricordi, svanisce un passato, si perdono le tracce di un tempo dimenticato: resta la sua impronta, il suo modo d’essere, la gentilezza, la riservatezza. Roger lo sa: ha imparato tante cose da lei. Una è che non è la morte ad avere senso. La morte non ha senso: lo acquista per come si è vissuto. Per questo la fine di Ah Tao non ha nulla di drammatico. È il mettere un punto a un percorso giusto e meritevole.

Ann Hui ha alle spalle una lunga carriera con tanti film nei quali ha affrontato temi decisivi per un intero e immenso continente, il Vietnam dopo la liberazione in Boat People, poi la vita a Hong Kong colonia inglese, porto franco e ora territorio cinese. Una figura come quella di Ah Tao riassume nella sua lunga e dignitosa esistenza tutti questi sobbalzi della storia che sembrano non aver lasciato tracce evidenti. L’approdo finale è l’essere riusciti a conservarsi liberi e giusti attraverso tante traversie. Ann Hui guarda ad Ah Tao e a Roger con scrupolo e discrezione. Tra l’anziana signora, il giovane uomo, la regista che li segue e noi che guardiamo si crea una vivace circolazione di simpatia e vicinanza. Cosa che non succede spesso al cinema. Mentre si vede Simple Life, che in fondo è una semplice storia di riconoscenza, questo circuito empatico lo sentiamo attivo e felice. Tutto è così tranquillamente vivo. E non ci si accorge quasi che Roger è un grande e famoso attore come Andy Lau e Ah Tao una famosa (in Oriente!) attrice come Deanie Ip, premiata per la migliore interpretazione alla Mostra di Venezia. Si sono entrambi spogliati di ogni traccia di divismo. Insieme a loro, per chi conosce il cinema orientale, appaiono in parti di contorno il fantasioso regista Tsui Hark, l’acrobatico attore e regista Sammo Hung e un altro attore come Anthony Wong. Se non sapessimo che sono loro non li noteremmo proprio. Se un film deve raccontare una vita semplice e piena non ha di sicuro bisogno di mettere i suoi interpreti su un piedistallo. Attori e registi hongkonghesi stanno lì per onorare una anziana signora che è un po’ la nonna di tutti. È una figura che riassume un modo d’essere orientale. Nel film tutti stanno, con modestia, al loro posto, dalla prima che è Ah Tao, al secondo che è Roger, fino all’ultimo dei vecchietti dell’ospizio. A Simple Life insegna che ognuno ha un posto nell’esistenza. Senza smancerie né patetismi. Eppure ti viene alla fine un groppo in gola. Per le tante tranquille emozioni.

(di Bruno Fornara)

Postato in Numero 97, Recensioni.

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