Spaghetti Nightmares oggi: l’horror italiano degli anni 2000

il bosco fuori locandinaPrologo
Questa storia potrebbe cominciare una sera d’estate del 2000 al cinema Nuovo Sacher di Roma dove Nanni Moretti presentava l’esordio morettiano di un’attrice-autrice. Dopo la proiezione si alza in piedi Gabriele Albanesi: critico, studente al CSC, cineasta in erba posseduto dal fuoco dell’horror. Spara ad alzo zero: contro il film, contro la regista, contro l’organizzatore della serata.
Seguono bagarre e sipario.
Nel gesto provocatorio di Albanesi c’era la rabbia di una generazione di autori, ansiosi di sperimentare oltre i binari tracciati da un’industria cinematografica limitata e desiderosi di rompere la dicotomia dramma/commedia per giocare con visioni truci e immaginari violenti.
Una fucina di passionali squinternati pronti ad affrontare molti sacrifici e poche soddisfazioni, disposti ad arrangiarsi con low-budget, autoproduzioni, circolazione carbonara via festival o via web con l’obiettivo di tenere in vita un cinema artigianale, ruvido e scorretto.

I pionieri: dall’artigianato al grande schermo
L’abbozzo primigenio agli albori del genere è forse l’amatoriale Medley-brandelli di scuola (1996), allestito alla buona dal diciassettenne Gionata Zarantonello tra i banchi del Vicentino.
Amena goliardata al di là del bene e del male che all’epoca accese i riflettori sul trash italico, approfittando per la prima volta del tam-tam della rete per conquistare le sale e la Troma.
Altro antesignano dei pionieri è certamente l’udinese Lorenzo Bianchini che nel 2001 realizza nei ritagli di tempo Lidris cuadrade di tre: un perturbante incubo scolastico con dialoghi in dialetto friulano, girato insieme a un gruppo di amici nell’istituto dove il regista lavorava come tecnico.
La poetica di Bianchini crea un universo orrorifico locale che attinge al folclore e alle leggende popolari nel mediometraggio I dincj de lune (1999) e nell’evocativo Custodes Bestiae (2004), tanto povero quanto ben scritto e attento a sfruttare le suggestioni del fuoricampo.
Guida invece la pattuglia proprio Gabriele Albanesi: romano, classe 1978, autore di corti prima dell’approdo al lungometraggio con Il Bosco Fuori (2006) sotto l’egida dei Fratelli Manetti.
La vicenda di questo film è esemplare: prodotto con la risibile somma di 50.000 euro e punito da un eccessivo V.M. 18, arriva all’home video praticamente senza passare dalle sale. Il film però viaggia e cresce sottotraccia fino al boom: la Ghost House di Sam Raimi decide di diffonderlo negli USA e in Giappone entra nella classifica dei dieci titoli più venduti.
La ricetta del pasdaran Albanesi è truculenta ma sapida: amore per i classici da Hooper ad Argento, stile aggressivo (zoom a raffica, macchina a mano, fotografia accesa), cattiveria anti-familista e personaggi repellenti, il tutto condito dagli effetti speciali ultra-gore di Sergio Stivaletti.
Un biglietto da visita convincente che gli ha permesso il passaggio alla più misurata opera seconda Ubaldo Terzani Horror Show (2011) dove il thriller kinghiano e la satira dell’ambiente cinematografico tentano una complicata convivenza.
Sempre nel 2006 ha luogo il curioso esperimento di Alex Infascelli, già regista di Almost Blue (2000) e Il siero della vanità (2004): distribuire il suo H2odio in allegato al quotidiano La Repubblica per aggirare le restrizioni del mercato cinematografico. Nonostante la scommessa produttiva possa dirsi vinta la storia delle cinque ragazze recluse su un’isola purtroppo non avvince, perdendo mordente attraverso immagini levigate che suppliscono alle fragilità narrative di un intreccio monocorde.

Le montagne della Follia: ispirato a H.P.L.
L’affascinante universo del solitario di Providence ha nutrito la vena creativa dei filmakers nostrani, a partire dall’ingiustamente dimenticato Dark Waters di Mariano Baino (1994).
Il massimo esegeta dell’opera di Lovercraft é Ivan Zuccon, ex-assistente di Avati con la passione del genere che ha dedicato una trilogia al Necronomicon: l’Altrove (2000), Maelstrom-il figlio dell’altrove (2001) e La casa sfuggita (2006), a cui possiamo aggiungere il successivo Colour from the Dark (2008).
L’opera di Zuccon prende spunto dai miti di Cthulhu ma segue una poetica personale che scorre come una trance delirante composta da lampi sadici, immagini oniriche e situazioni estreme talvolta confuse dove i tormenti del corpo e dell’anima hanno un ruolo di primo piano.
Zuccon risulta sconosciuto in Italia fuori dalla cerchia dei fan mentre i suoi film sono distribuiti straight-to-video in vari paesi europei e negli Stati Uniti.
Il filone del finto documentario alla Blair Witch Project ha ispirato Federico Greco e Roberto Leggio per Il mistero di Lovercraft-Road to L.. .Partendo dall’ipotesi reale di un viaggio in Italia dello scrittore nella zona del Polesine il film segue le peripezie di una troupe che scopre macabri culti e creature ancestrali nel paese veneto di Loreo. L’intelligente concatenazione di verità e fiction (con un gustoso cameo di Carlo Lucarelli) ottiene risultati originali, penalizzati dal metraggio dilatato e da un ritmo discontinuo.

Strano è bello!
vigasio sexploitationUn altro filone tangente all’orrore è quello che si potrebbe definire con prestito letterario il “New Weird”: evoluzione dell’exploitation pura che guarda al surrealismo e al pastiche divertito, senza disdegnare incursioni nell’hard.
Un brillante esempio di questa tendenza è House of flesh mannequins (2008) di Domiziano Cristhopharo, artista eclettico che spazia dalla recitazione alla regia, dalla composizione alla scenotecnica. Questo suo primo lavoro parte da un fatto di cronaca nera per un’irrazionale sarabanda circense che gira intorno a un fotografo di snuff movies e alla sua misteriosa vicina: freaks, performer di body art e pornostar squarciano il velo dello schermo in un racconto fisico e liberatorio che dimostra una raffinatezza formale non indebolita dalle ristrettezze economiche.
Christopharo dopo il successo nei festival specializzati ha proseguito la sua avventura da cineasta con The Museum of wonders (2009) e con il progetto in lavorazione Bloody Sin-Oltretomba.
Il dittico Vigasio Sexploitation (2010/2011) del veneto Sebastiano Montresor imbocca la strada impervia di un cinema agricolo che prevede totale autonomia artistica e distributiva (i due film sono scaricabili gratuitamente), coinvolgimento di interpreti non professionisti e disgregazione delle strutture diegetiche. Basti vedere la prima parte: un omaggio scombiccherato al noir, in bianco e nero e con i cartelli al posto dei dialoghi, dove alla trama tradizionale si sostituisce una rete di iterazioni grafiche e sonore.

Epilogo?
Dopo tanto lavorio carsico l’horror italiano raccoglie i suoi frutti con produzioni professionali che riescono a raggiungere le sale, seppure fugacemente e prive di adeguate strategie promozionali.
Stefano Bessoni nell’ambizioso progetto internazionale Imago Mortis (2008) guarda a Tim Burton e al fantastico iberico d’atmosfera stile Jaume Balaguerò: chiaroscuri studiati e pause scandiscono la discesa agli inferi di uno studente di cinema che indaga sul segreto della scuola, un’antica macchina da presa in grado di registrare l’istante in cui la vita cede il passo alla morte.
Shadow (2009) di Federico Zampaglione prende di petto la guerra con le sue aberrazioni tramite un fulminante twist finale che illumina a ritroso lo scarno intreccio.
At the end of the day (2011) di Cosimo Alemà porta una compagnia di ragazzi nella campagna assolata a giocare una pericolosa partita di soft-air: l’aggiornamento di Un tranquillo weekend di paura ai tempi di Hostel sferra cazzotti nello stomaco dello spettatore ma non oltrepassa la banalità dell’assunto, i dialoghi tirati via e le caratterizzazioni stereotipate.

Questi esempi dimostrano come la fase embrionale stia lasciando il passo a una vivace maturità cui manca ancora un tassello: conquistare definitivamente la fiducia degli investitori e la curiosità del pubblico di massa.

(di Giacomo Conti)

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