Bad Boy Sean


Sean PennSean Penn è uno dalla pelle dura. Spunta fuori all’inizio degli anni Ottanta dopo aver preso la rincorsa alla fine del decennio precedente apparendo ne La casa nella prateria. Correva l’anno 1974. Sean Justin Penn era nato 14 anni prima a Santa Monica, California. Figlio del regista Leo Penn e dell’attrice Eileen Ryan, che ha lavorato con Sean nel remake di Tutti gli uomini del re e in Mi chiamo Sam, fratello dell’indimenticabile Chris Penn, memorabile ne Le iene e in Fratelli di Abel Ferrara, si fa notare per la prima volta in Taps, squilli di rivolta di Harold Becker, un regista che solo gli amanti del cinema americano di una volta sembrano ormai ricordare. Al fianco di Timothy Hutton e Tom Cruise, Sean mette subito in mostra un’intensità bruciante che distanzia la sua interpretazione dalla norma dei drammi e melodrammi militari apparsi nel corso degli anni Ottanta come Ufficiale e gentiluomo di Taylor Hackford e Top Gun di Tony Scott (per limitarci a citare solo i più noti).

Il vero punto di svolta della carriera d’attore di Sean Penn è dato da Fuori di testa ossia Fast Times At Ridgemont High di Amy Heckerling (la regista del dittico Senti chi parla), commedia musicale sceneggiata da Cameron Crowe, ex critico rock cui spettava un futuro registico di un certo interesse. In un momento in cui nel cinema americano emergevano, contemporaneamente, nomi molto amati dal pubblico giovane come Judge Reinhold, Rob Lowe, Michael J. Fox, Tom Hanks, Ralph Macchio, Thomas C. Howell e Tom Cruise, Sean Penn ha subito saputo evitare il rischio di essere confuso nella mischia della covata adolescenziale che avrebbe modificato in maniera determinante il rapporto divo-regista e divopubblico condizionando nel corso di questo processo in maniera irreversibile le modalità di produzione stesse.

In fuga dal modello belli & simpatici, due anni dopo Taps, Sean Penn interpreta Bad Boys, un crudo dramma carcerario diretto dal carpenteriano Rick Rosenthal nel quale l’attore fa rivivere la nera, vulnerabile e sensuale ormonalità da juvenile delinquency di Sal Mineo e John Cassavetes, di Dick Smith e del Jack Nicholson cormaniano di The Cry Baby Killer.

Film dotato di una violenta energia filmica, Bad Boys sdogana Penn dalla pattuglia dei divi ottanteschi aprendogli le porte di film considerati a tutt’oggi dei classici.
A partire da Il gioco del falco di John Schlesinger, nel quale Penn ritrova Timothy Hutton, l’attore presterà sempre grande attenzione alla qualità dei progetti nei quali accetta di essere coinvolto. Ed è proprio in questo periodo che il suo leggendario caratteraccio inizia a colpire l’immaginazione dei tabloid, grazie soprattutto alla sua relazione super burrascosa con Madonna, all’epoca ancora più diva di oggi.

Nello stesso anno di A distanza ravvicinata, capolavoro di James Foley che vede Sean Penn recitare al fianco di un Christopher Walken assolutamente maiuscolo, l’attore, per amore di Madonna, interpreta quello che a ragione può essere considerato, insieme a Non siamo angeli (remake del classico di Michael Curtiz a firma di Neil Jordan), l’unico (o uno dei pochi…) passi falsi della sua carriera: ossia Shanghai Surprise, uno di quei film che ti fanno dire “fortuna che gli anni Ottanta sono finiti!”
È dunque sulla scorta della credibilità artistica maturata con titoli come Colors – Colori di guerra di Dennis Hopper, nel quale lavora al fianco di Robert Duvall, e di Vittime di guerra, di Brian De Palma, che Sean Penn compie il suo ingresso nel decennio successivo come uno dei pochi valori artistici sicuri del cinema hollywoodiano maturati nel corso dei contraddittori anni Ottanta. Prima di esordire alla regia con Lupo solitario (ma il titolo originale The Indian Runner è infinitamente più bello), l’attore interpreta l’ottimo Stato di grazia di Phil Joanou, regista che si era fatto un nome con gli U2 di Rattle and Hum.

Purissimo film d’attori, dramma nerissimo calato nel mondo della mafia irlandese, il film vanta una triangolazione perfetta con Penn affiancato da Ed Harris e Gary Oldman. Eppure niente di tutto ciò poteva fare immaginare la qualità dell’esordio registico di Sean Penn che, e non ci sarebbe stato niente di male, poteva risolversi pure nell’ennesimo esercizio di vanità attoriale esercitato dietro la macchina da presa. Invece Lupo solitario mette in campo un talento schiettamente settantesco. Tempi dilatati e grande attenzione al lavoro degli interpreti. Senza contare che regala a Charles Bronson il suo film più memorabile dai tempi di L’eroe della strada di Walter Hill, affiancandolo a Viggo Mortensen e David Morse.

Due anni dopo, con un profilo pubblico di grande rilievo, nutrito a base di dichiarazioni politiche mai concilianti e sempre estremamente critiche nei confronti delle aristocrazie repubblicane del suo paese, Sean Penn ritorna a collaborare con Brian De Palma per il superbo Carlito’s Way. La sua caratterizzazione dell’avvocato cocainomane David Kleinfeld, dai capelli ricci e rossi, rischia di fare ombra persino alla malinconica e sorda interpretazione di Al Pacino.

Il 1995 è un anno contraddittorio per Sean Penn. Tre giorni per la verità, il suo secondo film da regista, subisce unanimemente (ma ingiustamente) decise stroncature
mentre Dead Man Walking, diretto da Tim Robbins e interpretato al fianco di Susan Sarandon, entusiasma senza riserve. E, infatti, giunge la prima nomina all’Oscar che Sean Penn conquisterà nel 2004 per Mystic River diretto da Clint Eastwood e nel 2009 per Milk di Gus Van Sant. Eppure Sean Penn è l’unico regista che riesce a far recitare Jack Nicholson, prigioniero della propria maschera dai tempi di The Shining, con un’intensità che solo Monte Hellman è riuscito a catturare (cosa che sarà confermata anche da La promessa).

Nei sei anni che separano Tre giorni per la verità da La promessa, la sua terza regia cinematografica, l’attore lavora per registi estremamente diversi tra loro come David Fincher, Oliver Stone, Nick Cassavetes, Anthony Drazan, Woody Allen e altri ancora ma è solo con La sottile linea rossa di Terrence Malick e Il mistero dell’acqua di Kathryn Bigelow che il talento di Sean Penn sembra essere nuovamente valorizzato come merita (anche se occorre specificare che il suo lavoro si conserva sempre su elevatissimi livelli qualitativi anche nei film meno convincenti).

Il cessate il fuoco nei confronti di Sean Penn regista giunge solo con Into the Wild – Nelle terre selvagge, film interpretato da Emile Hirsch, che conquista anche gli
scettici circa le sue qualità autoriali.
Nel corso dunque di una carriera quasi quarantennale, iniziata nel 1974, Sean Penn si è affermato come una delle presenze più innovative e appassionanti del cinema statunitense.
Presentandosi sulla croisette di Cannes con due film diversissimi tra loro come This Must Be The Place, prima sortita USA di Paolo Sorrentino, e l’attesissimo The Tree of Life di Terrence Malick, Sean Penn dimostra ancora una volta la sua straordinaria volontà di mettersi costantemente in gioco.

Io , Hollywood e l’ America
INDIPENDENTI
Ho lavorato nel rapporto tipico di un indipendente con uno studio quando Miramax ha prodotto Tre giorni per la verità. Lupo solitario, La promessa e Into the Wild sono fatti in maniera molto più libera, quello che si chiama un “pick-up deal”: gli studios si occupano solo della distribuzione, della vendita dei diritti, non intervengono in nessun modo nella fase creativa. I finanziamenti a livello di produzione sono indipendenti dagli studios.
E’ un’ottima soluzione: così so che il film ha una possibilità di essere visto. Il problema quando si viene prodotti da uno studio, o nella sua orbita, è che a meno di essere una personalità molto potente, bisogna fare dei compromessi. Gli studios
sono anche pronti ad accettare l’idea che voi facciate il film secondo la vostra idea e non la loro. Ma sono pronti ad accettarla solo per bassissimi investimenti economici.
Evito di mettermi in questo genere di situazioni. Preferisco lo schema secondo il quale io lavoro, nessuno si arricchisce, ma il film esisterà così come l’ho voluto, sono io che ho il final cut.

INDIPENDENTI
Non giudico l’indipendenza di un film dal suo basso budget. Mi sono innamorato di un certo cinema che costa più di 20 dollari e meno di 20 milioni.
Amo molte cose, ma non sono un fan del cinema americano sedicente “indipendente”.
Non credo che indipendente sia diventato sinonimo di “non ho nessuna storia da raccontare”…

JOHN CASSAVETES
Cassavetes mi ha diretto. Avevamo lavorato per un anno su She’s So Lovely, ma si è ammalato troppo per dirigerlo. Si sono scritte su di lui molte teorie sbagliate – tutta quest’idea dell’improvvisazione. In realtà creava un ambiente per permettere a quello che scriveva di vivere. Dal momento in cui lo leggevate o iniziavate a lavorare sui dialoghi che aveva scritto, avevate l’impressione di improvvisare. Ci si sentiva molto rilassati nel mondo di John. Era una scrittura sincera. Molto di quello che emanava da lui come regista era legato al fatto che era anche uno scrittore. Era innanzitutto uno scrittore, per il più grande beneficio degli attori.

AMERICA E FASCISMO
Nel 1932 Huey Lang diceva: “Il fascismo arriverà un giorno negli Stati Uniti, ma sotto un altro nome: forse sotto il nome di antifascismo”.
E il mio personaggio in Tutti gli uomini del re, un tribuno popolare diventato politico populista e corrotto, è appunto stato ispirato da Huey Lang. Tutto questo è assolutamente
d’attualità.

PUNTO DI VISTA
Al cinema, c’è voluto del tempo per mostrare la guerra del Vietnam.
I film degli anni ’70 ponevano dei problemi umanistici, ma non parlavano della guerra in sé. Oggi, c’è il rischio di riprodurre lo stesso schema. Succede per ragioni commerciali: il pubblico allevato nella cultura americana è abituato ad avere lo stesso sguardo su tutto quello che succede nel mondo. Ha una coscienza “monoculturale”. I film ispirati dalla guerra del Vietnam non parlano dei vietnamiti, non c’è nessun punto di vista delle vittime. E’ per questo che mi ha molto interessato La guerra dei mondi di Spielberg: quando gli extraterrestri attaccano, si ha un’idea dell’orrore estremo che questo può rappresentare per i civili, ad esempio per gli abitanti di Bagdad durante l’attacco bamericano: una forza che viene dal cielo per distruggere tutto al suo passaggio. Rivedendo questo film, si può avere una sensazione del terrore che hanno provato le persone dell’Irak.

(le dichiarazioni di Sean Penn sono tratte da interviste ai Cahiers du cinéma)

L’ATTORE
Taps – Squilli di rivolta (H.Becker, 1981)
Fuori di testa (A.Heckerling, 1982)
Summerspell (L.Shanklin, 1983)
Bad Boys (R.Rosenthal, 1983)
Crackers (L.Malle, 1984)
In gara con la luna (R.Benjamin, 1984)
Il gioco del falco (J.Schlesinger, 1984)
A distanza ravvicinata (J.Foley, 1986)
Il treno per la vita (R.Benjamin, 1986)
Shanghai Surprise (J.Goddard, 1986)
Colors – Colori di guerra (D.Hopper, 1988)
Berlino: opzione zero (L.Penn, 1988)
Vittime di guerra (B.De Palma, 1989)
Non siamo angeli (N.Jordan, 1989)
Stato di grazia (P.Joanou, 1990)
Carlito’s Way (B.De Palma, 1993)
Dead Man Walking (T.Robbins, 1995)
Prove d’accusa (E.Dignam, 1997)
She’s so lovely (N.Cassavetes, 1997)
U-Turn – Inversione di marcia (O.Stone, 1997)
The Game – Nessuna regola (D.Fincher, 1997)
Piscine – Incontri a Beverly Hills (R.Downey sr.,
1997)
Bugie, baci, bambole & bastardi (A.Drazan, 1998)
La sottile linea rossa (T.Malick, 1998)
Accordi e disaccordi (W.Allen, 1999)
Una notte per decidere (P.Haas, 2000)
Prima che sia notte (J.Schnabel, 2000)
Il mistero dell’acqua (K.Bigelow, 2000)
Mi chiamo Sam (J.Nelson, 2001)
Mystic River (C.Eastwood, 2003)
21 grammi (A.G.Inarritu, 2003)
Le forze del destino (Th.Vinterberg, 2003)
The Assassination (N.Mueller, 2004)
The Interpreter (S.Pollack, 2005)
Tutti gli uomini del re (S.Zaillian, 2006)
Disastro a Hollywood (B.Levinson, 2008)
Milk (G.Van Sant, 2008)
Fair Game – Caccia alla spia (D.Liman, 2010)
Tree of Life (T.Malick, 2011)
This Must Be the Place (P.Sorrentino, 2011)

IL REGISTA
Lupo solitario
(The Indian Runner, 1991)
con David Morse, Viggo Mortensen, Patricia Arquette, Valeria Golino, Charles Bronson, Dennis Hopper, Sandy Dennis

Tre giorni per la verità
(The Crossing Guard, 1995)
con Jack Nicholson, David Morse, Anjelica Huston, Robbie Robertson, John Savage, Robin Wright

La promessa
(The Pledge, 2001)
con Jack Nicholson, Robin Wright Penn, Pauline Roberts, Aaron Eckhart, Benicio Del Toro, Sam Shepard

USA, episodio di 11 settembre 2001
(11’09’’01 – September 11, 2002)
con Ernest Borgnine

Into the Wild – Nelle terre selvagge
(Into the Wild, 2007)
con Emile Hirsch, Marsha Gay, William Hurt, Jena Malone, Catherine Keener, Hal Holbrook

Postato in Attori, Numero 93.

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