Torino genera emozioni


S’è chiusa il 4 dicembre la XXVIII Edizione del Torino Film festival
Infedele per casoAlto tasso adrenalinico o risate a tutto spiano. Sono due “generi” che, quando riescono, garantiscono la felicità di pubblico, botteghino ed esercenti.
Fra i film presentati all’ultimo Torino Film Festival – un’edizione la 28esima particolarmente interessante – due titoli in uscita sui nostri schermi a febbraio rientrano perfettamente nell’identikit.

127 ore di Danny Boyle, il regista di cult come Piccoli omicidi tra amici e Trainspotting che ha fatto il pieno di Oscar due anni fa con il bollywoodiano The Millionaire, si ispira alla storia vera di Aron Ralston, alpinista americano che nel maggio del 2003 rimase intrappolato sulle montagne dello Utah e fu costretto ad amputarsi un braccio per liberarsi. I cinque giorni di lotta per la sopravvivenza si trasformano sul grande schermo in 95 minuti di terrore, sfinimento, rimpianti, ammiccamenti (forse troppi date le circostanze) da leggersi sul viso del protagonista, il bel (forse troppo date le circostanze) James Franco. Boyle li condisce abilmente con colpi di scena, flash back, inquadrature aeree sul Grand Canyon, effetti speciali, rallenti e accelerazioni di una macchina da presa che è poco definire virtuosistica, tanto che lo spettatore resta incollato alla poltrona come l’escursionista alla roccia in cui è rimasto incastrato. The Infidel – Infedele per caso di Josh Appignanesi parte dalla realtà multietnica della Londra odierna, dove la convivenza di tante professioni di fede spesso porta a un estremo razzismo, per raccontare la storia di un musulmano pasticcione (Omid Djalili premiato come miglior attore al festival di Torino) che un giorno, proprio quando il figlio sta per sposare la figliastra di un integralista islamico, si scopre adottato ed ebreo. Una commedia divertente che finge di essere demenziale per ritrarre con ironia tagliente e scorretta due comunità rivali e arrivare alla morale – scontata ma attualissima – che gli opposti coincidono. Appignanesi, ospite del festival torinese, ha spiegato di aver descritto il protagonista come un “Homer Simpson musulmano” per sdrammatizzare certe assurdità di quella cultura e allo stesso tempo fare in modo che un gran numero di persone potessero sentirsi coinvolte. E il linguaggio delle gag, si sa, è internazionale.

(Francesca Felletti)

Postato in Festival, Numero 91.

I commenti sono chiusi.