In questo mondo libero…

Dopo la divagazione nella storia della guerra di liberazione irlandese (Il vento che accarezza l’erba), Ken Loach torna a guardare verso la prediletta classe operaia. E lo fa come gli è più congeniale: affrontando l’argomento in modo diretto, mantenendo la cinepresa sempre addosso ai personaggi di cui racconta le vicende umane, rifiutando ogni fronzolo estetizzante senza per questo cadere nella trappola del didascalismo di stile televisivo. In questo mondo libero…(titolo volutamente ironico) parla di lavoro precario e di immigrazione dai paesi poveri a quelli più ricchi, di mano d’opera clandestina e di mancanza di adeguata regolamentazione sociale, del sottile confine che nel mondo capitalistico separa gli sfruttati dagli sfruttatori.

Il tutto raccontato attraverso le traversie di Angie, bella trentatreenne che, licenziata in tronco per aver reagito con veemenza ai volgari palpeggiamenti di un superiore, decide di mettere a frutto l’esperienza fatta nel campo dei contratti a termine, aprendo con un’amica un’agenzia clandestina che offre mano d’opera a basso costo a imprenditori poco seri. Accade così che poco a poco, pur loro malgrado, Angie e Rose passano dalla parte degli sfruttatori e come tali vengono infine trattati dai loro lavoratori, i quali, quando le due ragazze non riescono più a far fronte ai loro impegni a causa della mal riposta fiducia in un industriale avventuriero, non esitano a passare a vie di fatto, fracassando i vetri della loro abitazione, picchiando a sangue Angie e minacciando di rapirle il figlio. Sono le inevitabili conseguenze del libero mercato, sembra voler universalizzare Ken Loach.

Le buone intenzioni personali contano poco di fronte alle spietate regole del profitto, che finiscono sempre per stritolare i rapporti umani e far trionfare la spietata legge della nuova jungla metropolitana. Ambientato in un Londra livida e ben poco attraente con i suoi cortili bagnati, le case umide e le roulottes immerse nel fango trasformate in abitazioni d’intere famiglie di disperati, It’s a Free World… è un film duro e incalzante, privo di qualsiasi componente consolatoria. Mossa da una non mal riposta autostima, Angie si getta a capofitto nella sua nuova impresa, trascinando con sé la pur riluttante Rose. Le sue intenzioni sono buone, poi la dura realtà la costringe a concedersi qualche trasgressione, infine passa completamente dalla parte di chi sfrutta i sogni e le speranze dei diseredati. Loach ne descrive la parabola esistenziale in modo rigorosamente minuzioso.

Angie è bella e simpatica. Ama sinceramente suo figlio e aspira con legittimità a una vita migliore di quella dei propri genitori. In un momento di debolezza sentimentale accetta anche di aiutare una famiglia di clandestini iraniani. Eppure, poco alla volta, si trasforma in un mostro apparentemente insensibile al dolore degli altri, incapace di mantenere l’amicizia di Rose, dominata dall’ansia del profitto sino al punto di accettare di disumanizzarsi. Autore di un cinema esplicitamente ideologico, ma mai arrogante o spocchioso, Loach guarda la sua protagonista e il mondo che le ruota intorno con un misto di partecipazione umana e di distacco critico, e su questo arduo confine costruisce stilisticamente un film sempre molto personale, che costringe lo spettatore a riflettere sul presente e sulle sue contraddizioni.

In questo mondo libero…
(It’s a Free World…, Gran Bretagna – Italia – Germania – Spagna 2007)
Regia: Ken Loach
Sceneggiatura: Paul Laverty
Fotografia: Nigel Willoughby
Musica: George Fenton
Scenografia: Fergus Clegg
Costumi: Carole K.Millar
Montaggio: Jonathan Morris
Interpreti: Kierston Wareing (Angie), Juliet Ellis (Rose), Leslaw Zurek (Karol), Acolin Caughlin (Geoff), Joe Siffleet (Jaime), Frank Gilhooley (Derek), Radoslaw Kaim (Jan), Steve Lorrigan (sergente di polizia), Nadine Marshall (Diane), Raymond Mearns (Andy).
Distribuzione: Bim
Durata: un’ora e 36 minuti

(di Aldo Viganò)

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